VARIE 14/6/2016, 14 giugno 2016
APPUNTI PER GAZZETTA - IL PUNTO SUI BALLOTTAGGI DI DOMENICA PROSSIMA
Più si alza la posta in gioco e più volteggiano le promesse nel cielo delle città, come inevitabili coriandoli nel vortice del carnevale elettorale dove tutto è facile, vero, buono, bello, giusto e magari perfino conveniente, per tutti e in tutti i sensi.
Funivia semiperiferica (Raggi) e raddoppio delle corsie prefenziali (Giachetti) a Roma. Zero case comunali sfitte (Sala) e sgombero di quelle abusive (Parisi) a Milano. A Torino il centrosinistra s’impegna con Fassino per una Casa della Salute in ogni circoscrizione, mentre il M5S di Appendino garantisce un grande Parco della Salute.
A Napoli, dove in tema promesse si sconta l’indimenticata fantasia elettoralistica di Achille Lauro con le sue banconote tagliate e le sue scarpe spaiate, oltre al reddito di cittadinanza Gigino de Magistris ha preso a rivendicare una polemica autonomia fiscale e finanziaria della città - anch’essa, guarda caso, cavalcata a suo tempo dal Comandante - ma anche il suo contendente Lettieri non scherza e per non rimanere indietro ha escogitato una sanatoria sulle tasse non ancora prescritte, ma difficilmente riscuotibili - là dove il colpaccio sta nell’avverbio "difficilmente".
Dio salvi dunque gli elettori, ma più ancora i cittadini dalle promesse. Che non solo un po’ si assomigliano fra loro, ma l’una tira l’altra, per giunta al rialzo, o meglio allo scavalco lungo un orizzonte e secondo uno schema, più o meno primitivo, che spesso si arricchisce di calcoli tanto completi e meticolosi quanto più irreali, e testimonianze di esperti, e studi di fattibilità, fino all’arma estrema del procurato convincimento a doppia risultanza: il referendum. Vedi quello sulle Olimpiadi, ovviamente virtuose, quindi pulite e a basso costo.
Così, fra i tanti preziosi sondaggi che si sono ordinati e pagati prima e dopo i ballottaggi, sarebbe interessante effettuarne uno per saggiare il grado di credulità dell’elettorato nel tempo della massima crisi di credibilità della politica.
Ma intanto a Bologna Merola (Pd) è per allargare la fascia del ticket gratuito sul bus agli studenti delle medie, che non si capisce bene perché non l’abbiano già fatto; così come la sua rivale di centrodestra chiede di chiudere tutti i centri sociali, quasi che la faccenda si potesse liquidare in una città eminentemente universitaria con una semplice ordinanza. Rimarchevole, in questo senso, anche l’approccio per così dire programmatico-filosofico del moderato Parisi, secondo cui gli stranieri "accolti" da migranti sotto la Madonnina dovranno "fare propri i valori della cultura greco-romana e della tradizione giudaico-cristiana", alè! - e mancano solo i Celti.
Baratto, d’altra parte, pannolini lavabili e guerra agli involucri di plastica nella Città Eterna, se vinceranno i cinquestelle. Far pagare le tasse ai rom, secondo quegli altri, altra soluzione a portata di mano. Tevere navigabile, se possibile, e riapertura dei Navigli contro gli ingorghi. Meno tasse per tutti, infine, classico bipartisan della spudoratezza dell’ultima, penultima e perenne ora prima dell’ordalia elettorale.
Difficile sentirsi in colpa nel far sfoggio di scetticismo. "Promettete, promettete - suona un’antica sentenza del potere - perché la speranza sarà sempre più viva della gratitudine". Insomma, da sempre si fa, anche con profitto.
Ma in tutta onestà e con il sussidio di qualche esperienza, c’è pure da dire che la tecnologia professionale del marketing politico ha vieppiù incarognito l’andazzo degli impegni a parole, per non dire delle chiacchiere regolarmente a vuoto; e che nell’Italia dei "patti" e poi dei "Contratti" firmati in seconda serata tv, vent’anni di berlusconismo in agevole, contrastata, in ogni caso controversa continuità con un triennio di renzismo non hanno certo frenato o reso più aderenti alla realtà le strategie elettorali.
Per cui, tra giovani da dedicare all’alfabetizzazione informatica degli anziani (Parisi a Milano), nuovi marciapiedi (Merola, Bologna), nuove telecamere (Borgonzoni, Bologna), nuovi treni con l’aria condizionata (de Magistris a Napoli) e task force di vigili modello New York (Lettieri, sempre a Napoli), beh, da un lato le promesse fanno pensare alla scimmia di culture politiche insieme estenuate e improvvisate; ma dall’altro, alla rovescia, finiscono per rivelare la miseria crescente, il dramma della casa, le paure, la sfiducia, la piaga della corruzione.
E nessuno mai che tenga presente il pericolo delle promesse non mantenute: la "spirale di malessere", spiegava già Norberto Bobbio, che determinano, la "cerimonia cannibale" che secondo Christian Salmon, l’inventore dello story-telling, i leader sono costretti ad allestire per se stessi in questo tempo di crudo e imprevedibile carnevale.
SCRUTINI DA RIFARE
ROMA - Scrutatori stanchi, sottoposti a lunghissimi turni di lavoro a causa del voto concentrato in una sola giornata. Aggiungi la complicazione del voto disgiunto che ha rallentato il lavoro, portando in molti casi all’annullamento delle schede. Il risultato è stato che, in alcune città, i conti non tornavano. E così i magistrati hanno ordinato il riconteggio delle schede. Spoglio pasticciato anche nella Capitale: a più di una settimana dal voto ancora non sono disponibili i risultati definitivi degli eletti nei municipi. Solo in Friuli Venezia Giulia lo scrutinio è cominciato direttamente alle 8 di mattina di lunedì 6 giugno, a mente più fresca e riposata. Ecco i principali casi di "anomalie" dalla Calabria alla Lombardia.
Roma. Il Comune ha preteso che lo spoglio venisse eseguito subito e per intero. I seggi hanno lavorato tutta la notte e completato le operazioni la mattina del 6. Per il personale, una maratona di oltre 24 ore di lavoro: facile commettere errori. Dopo lo spoglio nelle varie sezioni, le urne sono state sigillate e portate al seggio centrale di via dell’Arcadia, nell’area dell’ex Fiera, dove sono state riconteggiate quasi integralmente in un clima di tensione e contestazioni da parte di diversi rappresentanti di lista, al punto da rendere necessario l’intervento delle forze dell’ordine. Tra verbali non compilati, in bianco o incompleti, sezioni commissariate, intere urne da scrutinare ex novo scheda per scheda, voti che non coincidevano con quelli dei rappresentanti di lista in almeno 30 sezioni sono state riscontrate anomalie.
Bologna. Nella città delle Torri il comitato del presidente uscente del quartiere Santo Stefano, Ilaria Giorgetti, sconfitta alle urne, ha deciso di chiedere il riconteggio dei voti contro quello che chiamano "il partito delle schede bianche". È la stessa Giorgetti a spiegarne i motivi: "Il mio comitato ha chiesto il riconteggio delle schede perché abbiamo notato che c’è qualcosa di strano, un’incongruenza tra il voto per il Comune e quello per il Santo Stefano. Le schede bianche del quartiere sono il quadruplo rispetto a quelle per il consiglio comunale, è impossibile. È come se ci fosse un partito delle schede bianche in Santo Stefano. Per questo vogliamo vederci chiaro, chiediamo solo verità e giustizia". Il voto nel quartiere, in effetti, conta ben 2.059 schede bianche, mentre in tutto il Comune di Bologna per le elezioni del consiglio comunale sono state 1.846.
Crotone. La città calabrese è un caso limite perché ancora non si sa bene come siano veramente andate le elezioni. Per ora con certezza si conoscono solo i nomi dei candidati sindaco che andranno al ballottaggio: Rosanna Barbieri del Pd e Ugo Pugliese, sostenuto da quattro liste civiche. Ma i dati relativi alle preferenze sono ancora oscuri. Il 10 giugno il sito del Comune aveva pubblicato i voti ottenuti dalle 25 liste in campo, ma poi li ha cancellati perché sono state riscontrate gravi incongruenze: il numero delle preferenze espresse era superiore a quello dei votanti. Da oltre una settimana la commissione elettorale del Tribunale si sta occupando di terminare lo spoglio di nove sezioni che non erano riuscite a completare le operazioni entro le 12 di lunedì 6. Anche in questo caso ci sarebbero anomalie: dai plichi sigillati sarebbero spuntate fuori schede vidimate superiori al numero dei votanti e i conti non tornerebbero sul numero di schede nulle e contestate.
Milano. Dubbi sui conteggi anche nel capoluogo lombardo, dove in due municipi tra il candidato presidente di centrodestra e centrosinistra lo scarto dei voti è talmente basso che Pietro Bussolati, il segretario Pd, ha chiesto il riconteggio in base alle segnalazioni dei cittadini perché "lo scrutinio è avvenuto in piena notte".
CECCARELLI-DIAMANTI
Manca una settimana ai ballottaggi. Ultimo atto di questa consultazione amministrativa, che tanta attenzione ha sollevato. Perché in Italia non c’è elezione che non abbia riflessi sul piano politico. Nazionale. Naturalmente, la dimensione "locale" conta. Incrociata con quella "personale". D’altronde, 23 anni fa l’elezione diretta dei sindaci è stata istituita e istituzionalizzata, per legge, come risposta a Tangentopoli e alla crisi della Prima Repubblica. Sostituendo le persone - cioè i sindaci - ai partiti. Così l’elezione del sindaco può apparire - e in parte è - anzitutto un giudizio sulla persona. Tanto più nei ballottaggi, quando le persone sono ridotte a due. Tuttavia, il peso delle identità politiche e dei problemi locali si conferma significativo. Si spiega così il risultato ottenuto dai candidati a 5 Stelle, soprattutto in alcune grandi città. Nonostante disponessero di una "popolarità" personale minore, rispetto ad altri concorrenti. Ma il marchio 5 Stelle ne ha rafforzato il significato "politico" di "alternativa" agli altri. Soprattutto, agli esponenti dei partiti "nazionali". Allo stesso tempo, i problemi hanno avuto importanza, in ambito territoriale. Come ha riconosciuto Piero Fassino, quando ha osservato che: "Il voto riflette una situazione di crisi sociale che si è sentita nelle grandi città".
I dati del sondaggio di Demos per Repubblica, pubblicati due settimane prima delle elezioni, confermano e legittimano ampiamente le considerazioni - e le preoccupazioni - di Fassino. Torino risulta, infatti, insieme a Napoli, la città dove la disoccupazione preoccupa maggiormente. Secondo il 40%, circa, dei cittadini (in entrambe le città) è il problema più grave da affrontare per l’amministrazione comunale. A Torino, peraltro, la disoccupazione preoccupa in misura maggiore (di circa 5 punti) gli elettori di Chiara Appendino, del M5S. E ciò ne spiega, in parte, il risultato. Superiore alle previsioni (nostre, almeno). A Napoli, invece, il problema è sentito in misura molto simile dagli elettori di entrambi i candidati al ballottaggio. Tuttavia, la base di Luigi De Magistris si sente maggiormente inquieta, rispetto ai sostenitori di Gianni Lettieri, per la questione della legalità e soprattutto della sicurezza. Un tema particolarmente critico a Napoli.
LE TABELLE
A Roma, invece, rispetto alle altre metropoli, prevale la sensibilità per la qualità dei servizi, dei trasporti, per la viabilità e il decoro della città. Ma, soprattutto, è acuta (più che doppia rispetto agli altri contesti metropolitani indagati) l’insofferenza verso la corruzione. Un tema sul quale Virginia Raggi e il M5S appaiono largamente più credibili degli altri candidati. In particolare, di Roberto Giachetti. Ma, soprattutto, del PD e dei partiti di centro-sinistra che lo sostengono. Perché il legame fra candidato e partito resta importante, per intercettare il consenso elettorale in città. La persona: è il volto, il riferimento conosciuto e comunque riconoscibile. Ma il partito, la coalizione, garantiscono identità e organizzazione. Nel bene, nel male. E viceversa. Così, a Napoli, dove la politica si è, tradizionalmente, appoggiata su reti di relazioni personali e spesso clientelari, la domanda di "legalità" appare interpretata - letteralmente - da De Magistris. Un magistrato. Estraneo ai partiti tradizionali. Per stile personale: abbastanza "populista" da risultare "popolare" alla "popolazione". Mentre a Torino e a Roma, in particolare, il malessere contro la politica e le istituzioni di governo - non solo locale - si traduce nel voto a 5 Stelle. Considerato estraneo e alternativo rispetto all’establishment. Locale e centrale. Come la Lega a Bologna, dove è riuscita a imporre la propria candidata - Lucia Borgonzoni - al secondo turno. Non per caso. A Bologna, infatti, il tema considerato più critico dagli elettori è, in misura più marcata delle altre grandi città, la criminalità: indicata dal 35% (e associata all’immigrazione). E il piglio securitario - e autoritario - della Lega di Salvini, sull’esempio del modello francese, di Marine Le Pen, appare assai più esplicito e aggressivo - dunque credibile - rispetto ai concorrenti. M5S compreso. Tanto più rispetto a Virginio Merola. Che interpreta la tradizione post-comunista. Al potere in città.
Resta Milano. La metropoli del Nord. Capitale economica e finanziaria del Paese. Dove diversi problemi sociali gravano sulla percezione dei cittadini. Su tutti: disoccupazione, immigrazione, sicurezza, disuguaglianza sociale. Fra le altre città "indagate", peraltro, a Milano il grado di soddisfazione per l’amministrazione in carica è fra i più elevati. Tuttavia, il sindaco, Giuliano Pisapia, non si è ri-candidato. E i due sfidanti in lizza, Beppe Sala e Stefano Parisi, sono arrivati al duello finale in assoluto equilibrio. Un punto percentuale li ha divisi, al primo turno. D’altronde, hanno un profilo molto simile. Entrambi manager e tecnocrati. Rappresentano, entrambi, soggetti politici influenti, nella metropoli. Sala: il centrosinistra che ha governato negli ultimi 5 anni, con buon livello di consenso fra i cittadini. Egli stesso, alla guida di Expo, un’esperienza di successo. Parisi: indicato dal Centro-destra forza-leghista. Nella Metropoli di Berlusconi e di Bossi. Simbolicamente - e non solo - capitale alternativa a Roma. Ebbene, i due candidati, pur con un profilo professionale simile, riassumono domande molto diverse. Parisi: le paure. Verso la criminalità e l’immigrazione. Mentre Sala attrae la richiesta di legalità. Ma anche di qualità dei servizi sociali e sanitari.
Per questo, più che altrove, a Milano l’esito del ballottaggio appare incerto. Perché i volti dei due candidati non riescono a impersonare due città diverse. E perché non emergono questioni capaci di segnare, in modo alternativo, il presente e il futuro della metropoli.
D’altronde, il 1993 è lontano. I sindaci non sono il volto del Paese che cambia. Al massimo (e non sempre), della loro città.
Per conquistare il governo nazionale, non per caso, il sindaco di Firenze è divenuto Sindaco d’Italia. E si è appoggiato non al Partito dei Sindaci. Ma al PD. In seguito: al PdR. Il Partito di Renzi.