varie, 14 giugno 2016
DELITTI USCITI SUL FOGLIO DEI FOGLI DEL 13 GIUGNO 2016
Michela Baldo, 29 anni. Di Spilimbergo (Pordenone), cassiera in un supermercato Lidl, «timidissima, tranquilla, riservata, sempre sorridente». Tre anni fa si era fidanzata con Manuel Venier, 37 anni, dipendente di un supermercato a Codroipo con un passato da guardia giurata. I due erano andati a vivere assieme nella casetta accanto a quella dei genitori di lei, ma da un anno il rapporto si trascinava tra alti e bassi e così la Baldo, mercoledì 1° giugno, aveva detto basta. Quel giorno il Venier le aveva restituito le chiavi di casa ed era tornato a vivere con sua madre a Codroipo, una ventina di chilometri più in là. Da allora, però, s’era fatto ogni giorno più cupo. La sera di martedì 7 giugno prese la sua Smith & Wesson da guardia giurata, entrò in casa di Michela usando il secondo mazzo di chiavi che lei celava in una nicchia a lui nota, la aspettò, e quando la vide entrare le sparò un colpo alle spalle e uno al cuore. Mentre la ragazza agonizzava creò un gruppo su WhatsApp chiamandolo «Addio» in cui spiegava ad amici e parenti di aver ucciso l’ex perché «senza di lei non posso vivere». Infine si puntò la Smith & Wesson alla tempia e fece fuoco.
Sera di martedì 7 giugno a Spilimbergo (Pordenone).
Federica De Luca, 30 anni. Sposata con Luigi Alfarano, 50 anni, medico e coordinatore dell’Ant (Associazione nazionale tumori), insieme avevano un figlioletto di 4 anni di nome Andrea. Moglie e marito non andavano più d’accordo e ormai era arrivato il momento della separazione. Per il pomeriggio di martedì 7 giugno la donna aveva appuntamento dall’avvocato per firmare le ultime carte. Più tardi i coniugi, nella casa dove abitavano da quando si erano sposati, iniziarono l’ennesima discussione che si concluse quando lui la prese per il collo e la strangolò. Subito dopo Alfarano prese con sé il bambino, lo fece salire in auto, lo portò nella casa di campagna che usavano quando volevano trascorrere qualche giorno di vacanza e lì gli sparò con una Beretta 98 legalmente detenuta. Infine rivolse l’arma contro se stesso e si ammazzò.
Serata di martedì 7 giugno in un appartamento in via Galera Montefusco a Taranto e poi in una casa di campagna, località Pino Di Lenne, tra Chiatona e Palagiano.
Slavica Kostic, 38 anni. Serba, badante a Trieste, qualche tempo fa aveva lasciato il marito Dragoslav Kostic, 60 anni, che alla fine della storia non s’era mai rassegnato. La sera del 26 aprile costui andò a casa di lei e, convinto che avesse fatto l’amore con un altro, forse la strangolò, forse l’accoltellò, di sicuro andò a gettare il cadavere in una discarica di materiale per l’edilizia appena oltre il confine sloveno, a Kreplje. Quindi tornò a Kucevo, il suo paese. Incastrato dalla polizia, ieri portò gli agenti nella discarica dove Slavica giaceva sotto un cumulo di macerie.
Martedì 26 aprile a Trieste.
Alessandra Maffezzoli, 46 anni. Di Pastrengo (Verona), a detta di tutti «una donna fin troppo buona» che dalla vita aveva avuto più difficoltà che fortune: il padre dei suoi due figli l’aveva lasciata quando il secondogenito era ancora piccolissimo, il lavoro da maestra in una scuola elementare a Lazise non le aveva mai dato l’indipendenza economica che sognava. Lo scorso settembre aveva troncato la relazione con Jean Luca Falchetto, 52 anni, barista di origini svizzere. Lui però non si rassegnava e ogni tanto si ripresentava. Lei s’era quasi decisa a denunciarlo per stalking, poi aveva cambiato idea. Mercoledì sera il Falchetto andò di nuovo a casa sua, forse per chiederle indietro 5.000 euro che le aveva prestato qualche mese fa. Scoppiò una lite e l’uomo, dopo una rispostaccia e uno schiaffo di lei, le spaccò in testa un vaso e poi la infilzò una decina di volte con un coltello. Quindi se ne andò. Ricomparve dopo svariate ore davanti al portiere di notte di un hotel-campeggio a Castelnuovo del Garda, insanguinato e graffiato gli raccontò di essere caduto nel lago. Poi, una volta seduto, gli fece chiamare i carabinieri: «Digli come mi chiamo, mi staranno cercando».
Sera di mercoledì 8 giugno in una villetta in via Maggiore Negri di Sanfront a Pastrengo, nel Veronese.
Sekine Traore, 27 anni. Originario del Mali, ospite nel campo profughi di San Ferdinando (Reggio Calabria), disturbi mentali e un’abitudine alle droghe, l’altra mattina, armato di coltello, provò a ferire altri immigrati. Per calmarlo gli offrirono cibo e sigarette, ma lui non si placò per niente. I profughi chiamarono i carabinieri, arrivò con un collega l’appuntato Antonino Catalano, sposato, un figlio appena nato. Catalano si trovò di fronte Sekine con in mano ancora il coltello, gli andò incontro a mani nude, cercando di immobilizzarlo, e ricevette una prima coltellata al braccio. Provò a tranquillizzarlo parlandogli, ma per tutta risposta si beccò un’altra coltellata, all’occhio destro. Quando Sekine gli si avventò addosso per la terza volta, il carabiniere schivò il fendente, tirò fuori la pistola e sparò senza capire dove, ferendolo mortalmente al torace.
Mattina di mercoledì 8 giugno nel campo profughi di San Ferdinando, provincia di Reggio Calabria.