Rinaldo Frignani, Corriere della Sera 10/6/2016, 10 giugno 2016
La 16enne morta di overdose. La madre: voleva tornare a casa– Su una parete nella casa dei genitori nelle campagne di Santa Severa c’è attaccata una delle lettere che Sara Bosco inviava alla madre dalla comunità di recupero «Piccolo carro» a Ospedalicchio: «Sei l’amore della mia vita», le scriveva la sedicenne trovata morta mercoledì, stroncata da un’overdose di eroina, in un padiglione abbandonato dell’ex ospedale Forlanini, al Portuense
La 16enne morta di overdose. La madre: voleva tornare a casa– Su una parete nella casa dei genitori nelle campagne di Santa Severa c’è attaccata una delle lettere che Sara Bosco inviava alla madre dalla comunità di recupero «Piccolo carro» a Ospedalicchio: «Sei l’amore della mia vita», le scriveva la sedicenne trovata morta mercoledì, stroncata da un’overdose di eroina, in un padiglione abbandonato dell’ex ospedale Forlanini, al Portuense. «La mia Sara era una ragazza libera, vivace certo, ma libera. E fino a un anno fa sorrideva sempre, amava la musica e andare a ballare con le amiche», racconta la madre Katia Neri che l’ha trovata ormai senza vita su una lettiga arrugginita. Il rapporto fra loro era molto stretto. «Eravamo legatissime, lei era una brava ragazza. Mi scriveva sms nei quali mi ripeteva che mi voleva bene. Era il mio amore. Non è vero che era una sbandata, aveva una famiglia, un padre e un fratellino più piccolo», ricorda Katia fra i singhiozzi. Nel 2015 tutto è cambiato. «Frequentava l’Alberghiero a Civitavecchia — racconta —, ha conosciuto un ragazzo che l’ha portata alla stazione Termini. E lì ha incontrato un giovane afgano. Sembrava un tipo a posto, faceva il cuoco. Fra quei due e forse la scuola, non so, Sara ha cominciato a drogarsi. Eroina da subito. In breve è stata bocciata e ha lasciato gli studi». A Termini, Ostiense, Pigneto, e alla fine nei sottopassi del Forlanini, la sedicenne era ormai conosciuta. Anche da polizia e carabinieri. È finita in comunità a Frosinone, da dove è scappata lanciandosi dal terzo piano. «È rimasta tre mesi al Gemelli per riprendersi dalle fratture. È tornata a casa, era pulita e io ero contenta — aggiunge la madre —, ma è scappata ancora per drogarsi. E allora è finita nel centro per minori vicino a Perugia. Ma non ci voleva più stare». L’ex ospedale era diventata la sua seconda casa. La madre lo sapeva e quando si è messa a cercarla da domenica sera — giorno della sua ultima fuga — fino a mercoledì ha puntato proprio su quei padiglioni da incubo. «Sara — conclude Katia — mi telefonava dalle cabine pubbliche, diceva: “Voglio tornare a casa, lavarmi e mangiare. Mamma vieni a prendermi”. Ho segnalato a tutti dove poteva trovarsi, nessuno l’ha fermata. Mercoledì mi hanno detto che stava in quella stanza maledetta. Ho provato a rianimarla al telefono col 118 perché al Forlanini si sono rifiutati di mandarci un’ambulanza interna. Attorno a noi c’era il vuoto, gli immigrati erano scappati tutti». La procura indaga per istigazione al suicidio. La polizia cerca invece lo spacciatore che ha ceduto la dose killer alla ragazza. «Quegli sms sul suo telefonino sono vecchi, di quando stava al Gemelli. “Mi sono stufata di questa vita”, aveva scritto. Ma Sara non si sarebbe mai uccisa: voleva soltanto tornare a casa da me».