Pietro Boragina, il venerdì 10/6/2016, 10 giugno 2016
LA DITTTURA DI GRASSI CHE INVENTÒ UN’ESCLUSIVA SU BRECHT
La storia di una storia. Complicata e semplice. Anche cupamente umana. Quella di un uomo capace di «confondersi» per amore del teatro. Quest’uomo si chiamava Paolo Grassi. La storia è raccontata, con una documentata messe di lettere e documenti inediti, in un bel libro di Alberto Benedetto (Brecht e il Piccolo Teatro, una questione di diritti, ed. Mimesis, p. 190, euro 18). In rilievo l’abilità di Grassi, organizzatore teatrale ante-litteram, che, pur non avendo alcun contratto esclusivo sui diritti dell’opera di Brecht, riuscì a «manipolare» una realtà inesistente, tanto da farla diventare reale quando in realtà mai lo era stata. Attraverso lettere al vetriolo, emergono retroscena insospettabili.
«Ho il teatro nel sangue...». Già... Una indiscutibile dote di Paolo Grassi, protagonista assoluto della vicenda. Interprete principale e regista di questa pièce teatrale extrapalcoscenico volta, essenzialmente, a preservare se medesimo e quel Piccolo Teatro di Milano, primo esempio di Teatro Stabile, che, insieme a Giorgio Strehler, aveva creato nel 1947. Co-protagonisti della pièce: Bertolt Brecht, incauto autore di un messaggio che produrrà soltanto guai e equivoci; Helene Weigel, sua moglie ed erede; Peter Suhrkamp, direttore della Suhrkamp-Verlag, la casa editrice di Francoforte che curava (e tuttora cura) i diritti dei testi brechtiani; il suo successore Siegfried Unseld; Giorgio Strehler, l’amato artista, perennemente in subbuglio esistenziale a causa di «crisi motivazionali». E a completare e ancor più complicare il cartellone della pièce, una folla di attori, registi, direttori artistici, comparse del teatro italiano del secondo dopoguerra. Compresi i cattivi di turno.
Quei tali che, per intenderci, secondo Grassi, tentarono (invano per lo più) di strappare al «suo» Piccolo, primato delle prémiere. Per altro mai acquisito o certificato sulla carta per moltissimi anni. Un primato fittizio. Ma che lasciò intendere come il PiccoloTeatro dovesse essere il Zentrum delle «espressioni e delle rappresentazioni dell’opera brechtiana in Italia, e Strehler il suo regista in Italia».
Una finzione che Grassi lasciò aleggiare con scaltrezza quale verità. Con ogni mezzo. Tanto che molti teatranti, per «timorosa sudditanza», volendo rappresentare Brecht, si rivolgevano prima a Grassi anziché alla Surkamp-Verlag. Un rito. Un omaggio mafioso. E Grassi non ci pensa due volte a far fuori i possibili concorrenti. E con la complice compiacenza di Francoforte che a lui si rivolge per informazioni. Emerge, così, dal libro di Benedetto, ciò che per decenni è stato «indicibile».
«Ci rivolgiamo a Lei per incarico del Dr. Suhrkamp» scrive a Grassi il 22 febbraio 1957 Helene Ritzerfeld della Surkamp-Verlag. «Il Teatro Stabile della Città di Bolzano vorrebbe rappresentare Der gute Mensch von Sezuan di Brecht e, a dire il vero, vorrebbe occuparsi della regia il Sig. Fantasio Piccoli. Il Dr. Suhrkamp gradirebbe volentieri il Suo parere...». La risposta di Grassi, analoga a molte altre per consimili richieste su compagnie teatrali italiane, non si fa attendere. Il 14 marzo risponde: «Il Teatro Stabile della Città di Bolzano è un organismo troppo fragile per poter rappresentare convenientemente Der gute Mensch von Sezuan di Brecht... Oggi, sinceramente, penso che in Italia solo il PiccoloTeatro della Città di Milano sia in condizione di realizzare bene le opere maggiori di Brecht». L’anima buona di Sezuan, ovviamente, andò in scena al Piccolo di Milano nel febbraio 1958 con l’inevitabile regia di Strehler.
Quello di Grassi era ormai il ruolo di censore e garante in Italia dell’opera brechtiana. Scrive il 21 aprile 1958 alla Surkamp-Verlag: «Il Signor Pino Meniconi, Direttore dei Mercoledì dello scrigno – via C. Porta, 3 Milano – vorrebbe rappresentare, con dei dilettanti, ma con l’intervento della critica, un’opera di Bertold Brecht... Mi sono permesso di inviargli una lettera, di cui allego copia, onde impedire una faccenda del genere...». «Caro Grassi» gli scrive il 24 marzo 1962 Giancarlo Sbragia «nel nostro colloquio del 17 gennaio scorso chiesi a Lei, quale esclusivo titolare dei diritti per l’Italia, l’autorizzazione a rappresentare con la compagnia Attori Associati uno dei tre seguenti testi di Brecht: Madre Coraggio, Galilei, Il cerchio di Gesso del Caucaso». Grassi gli risponde il 26 marzo: «Io non sono, come Lei pensa, l’esclusivo titolare dei diritti per l’Italia delle opere di Brecht: si può invece dire che il Piccolo Teatro di Milano è una specie di tutore morale delle opere di Brecht». E, subito, il 13 aprile, allerta Siegfried Unseld della Suhrkamp: «Quella di Sbragia è una compagnia seria e ben affiatata: noi pensiamo però che non abbia la preparazione estetica sufficiente e i mezzi economici sufficienti per realizzare bene un Brecht. Mentre per quanto riguarda Il Cerchio di gesso del Caucaso e Galileo, Strehler ritiene di poterle e doverle realizzare egli stesso al Piccolo Teatro, noi non riteniamo, per i prossimi anni, di poter realizzare Madre Coraggio... In linea teorica, Lei può concedere per quanto ci riguarda Madre Coraggio. È però nostro avviso che la Compagnia non possa produrre una distribuzione di attori sufficienti, fra cui una protagonista all’altezza del ruolo». La compagnia Attori Associati non ebbe alcuna concessione.
Sotto la scure censoria di Grassi, periscono molti altri: Fulvio Fo, Gianfranco De Bosio, Franco Enriquez, Tino Buazzelli, Franco Parenti, Ivo Chiesa, Franca Tamantini, Vittorio Gassman, Aldo Trionfo... Il finto tutor Grassi inizia a dover combattere però su più fronti. Cominciano i primi timidi tentativi di ribellione, le interpellanze in Consiglio Comunale... Si stava intanto diffondendo la moda brechtiana e molte compagnie e Teatri Stabili, visto il successo di quel tipo di teatro, volevano cavalcare la moda anche per i successi del cosiddetto botteghino.
«Sono intervenuto» scrive De Bosio a Grassi il 23 gennaio 1965 «più volte sollecitato dalla rivista Sipario, nella polemica aperta da Squarzina sulla Moda brechtiana in Italia... il mio profondo interesse nei confronti del Teatro di Brecht non può che sentirsi mortificato da impedimenti che, a mio avviso, come già ti scrissi, deprimono ulteriormente la libera ricerca teatrale, già così angustiata nel nostro Paese da anacronistiche costrizioni...».
Perché, si domanda De Bosio e altri come lui, più teatri non possono offrire diversi allestimenti dello stesso lavoro? Ma per il semplice fatto che Brecht è sotto la tutela morale del Piccolo Teatro di Milano che, solo, è in grado di assicurare serietà e capacità. Evitando l’improvvisazione dilagante di «teatri o teatranti inaccettabili».
E pensare che tutto ebbe inizio da due biglietti. Due missive, una per Grassi e una per Strehler. Bertolt Brecht, dopo aver assistito alla trionfale rappresentazione al Piccolo di Milano, il 10 febbraio 1956, con la regia di Strehler, dell’Opera da tre soldi, scriveva il proprio apprezzamento a Grassi: «...lo spettacolo è magnifico. Molte grazie». E a Giorgio Strelher: «Mi piacerebbe poterle affidare per l’Europa le mie opere, una dopo l’altra...».
Pietro Boragina