8 giugno 2016
APPUNTI PER GAZZETTA - IL DELITTO DI ROSARNO REPUBBLICA.IT Un extracomunitario che tenta di accoltellare un carabiniere, il militare reagisce e spara un colpo di pistola che uccide l’aggressore
APPUNTI PER GAZZETTA - IL DELITTO DI ROSARNO REPUBBLICA.IT Un extracomunitario che tenta di accoltellare un carabiniere, il militare reagisce e spara un colpo di pistola che uccide l’aggressore. Tragedia nella tarda mattinata nelle tendopoli di San Ferdinando, alle porte di Rosarno, baraccopoli di braccianti che nel periodo invernale ospita migliaia di immigrati impegnati nella raccolta delle arance nella piana di Gioia Tauro. Il militare è intervenuto insieme ad un collega per sedare una lite tra due ospiti del campo. Alla vista degli uomini in divisa, uno dei due avrebbe estratto un coltello e si sarebbe scagliato contro uno di loro. Il carabiniere però ha reagito e contro l’uomo ha esploso un colpo di pistola mortale. Questa almeno è la prima ricostruzione ma via via emergono nuovi elementi, non tutti concordi. Il bracciante ucciso da un colpo di pistola allo stomaco si chiama Sekine Triore, 26 anni, ed è originario del Mali. La lite sarebbe scoppiata all’interno di una sorta di bar abusivo allestito all’interno della tendopoli dove vivono centinaia di migranti ingaggiati per la raccolta dei vicini campi agricoli. Rosarno: carabiniere ferito uccide migrante: le immagini della tendopoli dopo la tragedia Navigazione per la galleria fotografica 1 di 10 Immagine Precedente Immagine Successiva Slideshow () () "La vittima, stando alle prime testimonianze - dice il Procuratore di Palmi, Ottavio Sferlazza che si trova sul posto - era in evidente stato di agitazione, non si sa ancora se per abuso di alcool o di altre sostanze e quando sono intervenuti i carabinieri l’ uomo si è scagliato contro i militari con un coltello ferendo un carabiniere al volto vicino all’ occhio destro e che è stato curato in ospedale dove gli hanno dato cinque punti di sutura". Un altro carabiniere è rimasto ferito non gravemente. "Il carabiniere dovrà essere iscritto nel registro degli indagati", spiega il Procuratore, "ma il quadro che si delinea é di una legittima difesa da parte del militare". Tutto è accaduto poco prima di mezzogiorno all’ interno dello "spaccio" abusivo allestito dentro la tendopoli, luogo di ritrovo dei migranti quando hanno delle pause durante la giornata di lavoro. Sekine Triore a un certo punto ha cominciato a litigare con altri migranti e ha tirato fuori il coltello. Qualcuno ha chiamato i carabinieri che dopo alcuni minuti sono intervenuti sul posto per tentare di sedare la lite. Ma sarebbero stati aggrediti con il coltello ed a quel punto uno dei tre carabinieri ha sparato un colpo di pistola che ha raggiunto Triore allo stomaco. Il giovane è morto sul colpo. ARCHIVIO Quella rivolta dei diseredati Subito è scattato l’allarme e sul posto sono intervenuti, oltre al procuratore Sferlazza anche i vertici del Comando provinciale dei Carabinieri di Reggio Calabria. Ora chi indaga sta ricostruendo cosa sia accaduto anche col racconto dei molti testimoni. E la dinamica non è stata ancora del tutto chiarita. La lite sarebbe scoppiata forse perché uno aveva cercato di derubare l’altro o forse solo per una sigaretta negata. Quando gli uomini in divisa hanno riprovato a riportare la calma tra i due, da parte di uno di loro, il giovane originario del Mali, sarebbe partito un lancio di oggetti contro gli uomini in divisa, anche un grosso pezzo di ferro ha colpito alla fronte uno dei militari, procurandogli una ferita. Poi è apparso un coltello, con cui lo straniero si sarebbe avventato contro il carabiniere, colpendolo al volto con almeno 3 coltellate, una delle quali lo ha ferito ad un occhio. Poi avrebbe minacciato altri immigrati che vivono nella tendopoli. E si parla anche di almeno un altro collega del carabiniere rimasto ferito, con la mandibola fratturata nella colluttazione nata con l’immigrato nel tentativo di immobilizzarlo. Attualmente la tendopoli ospita almeno 500 persone, ma alcuni parlano di mille, la gran parte impegnate nella raccolta di agrumi e ortaggi. La tendopoli, realizzata dalla Protezione Civile regionale, non è al momento gestita da nessuna organizzazione, a causa della mancanza di fondi. E una drammatica richiesta d’aiuto è arrivata dal sindaco della cittadina: "Chiederò un incontro ad Alfano. Per quanto la nostra sia una comunità abituata e solidale, anche in una condizione di forte crisi dell’agricoltura, non siamo in grado di garantire un lavoro e una accoglienza dignitosa a una mole così grande di persone. Chiederò dunque di smantellare la tendopoli, non è possibile che delle persone vivano in quelle condizioni". Dei braccianti di Rosarno, i disperati dei campi di Gioia Tauro, si era a lungo parlato nel gennaio del 2010, quando, in seguito al ferimento di due di loro con una carabina ad aria compressa, diedero vita ad una notte di guerriglia urbana. Armati di spranghe e bastoni, attarversarono le strade di Rosarno distruggendo auto, finestre di abitazioni e incendiando cassonetti dell’immondizia. Solo l’intervento di carabinieri e polizia in assetto antisommossa riportò la calma, dopo cariche di alleggerimento e sassaiole. Gli immigrati allora erano baraccati in una fabbrica dismessa alla periferia della cittadina, e furono poi trasferiti nella tendopoli nel comune di San Ferdinando, allestita dalla Regione Calabria. DON PINO DEMASI Rosarno, Demasi (Libera): "Nella tendopoli vita è difficile, ma è stato episodio isolato" "È stato un episodio che è andato al di là di quello che si poteva immaginare", afferma don Pino Demasi, referente di Libera per la piana di Gioia Tauro, nel commentare il dramma avvenuto nella tendopoli dei migranti a Rosarno: un uomo ha accoltellato un carabiniere ed è stato ucciso. "Da cinque anni - dice Demasi - nell’accampamento la gente vive nel degrado ma le varie etnie riescono a dialogare tra loro e si vive in una situazione pacifica. Certo, però, che non si può considerarla una normalità" ENERGIA ELETTRICA FORNITA DA PROVINCIA E CHIESA NUOVA TENDOPOLI LEGGI REGIONALI REPUBBLICA.IT POLISTENA – Nella Piana dove l’economia fa conto quasi esclusivamente sullo sfruttamento brutale di giovani dalla pelle nera che raccolgono agrumi, magari sopravvissuti alla "selezione naturale" delle traversate via mare, il riconoscimento della loro dignità c’è solo quando possono contare sulle strutture ambulatoriali di Emergency, o di altre organizzazioni che in qualche modo cercano un ruolo supplente alla assenza imbarazzante di ogni forma di servizio pubblico, sia esso di trasporti, sanitario o di altro genere. Quello che segue è la testimonianza di una mediatrice culturale, Alessia Mancuso Trizitano, che è anche coordinatrice dell’ambulatorio di Emergency di Polistena, 15 chilometri da Rosarno. Molti restano nonostante la raccolta sia finita. “Oggi siamo noi che con alcuni pullmini a 9 posti andiamo a raccogliere queste persone nella tendopoli di San Ferdinando o nel campo-container di Rosarno, per portarli qui nel presidio sanitario di Polistena, gestito da Libera e dalla Cooperativa Valle del Marro, oltre che dalla Fondazione "Cuore si scioglie" di Unicoop Firenze, che si trova in un edificio sequestrato alla ‘ndrangheta e che solo a maggio s’è preso cura di oltre 500 pazienti, quasi tutti lavoratori immigrati. La raccolta degli agrumi è terminata, ma da qui molti e in numero maggiore rispetto agli anni scorsi, tendono a rimanere”. Le "navette" per l’ambulatorio. “Va tenuto conto del fatto – dice ancora la coordinatrice di Emergency - che qui tutto si svolge in un contesto in cui manca ogni forma di assistenza pubblica: non ci sono trasporti, né altri luoghi di assistenza sanitaria, né altri possibili servizi alla popolazione. E questo ha indotto noi ed altre organizzazioni impegnate nella zona a piantare cartelli lungo le strade con su scritti gli orari dei passaggi delle “navette” che trasportano le persone qui in ambulatorio. Un servizio usato anche da molti altri lavoratori comunitari, rumeni o bulgari in prevalenza, che vivono da queste parti alloggiati in qualche modo, e che si arrangiano qua e là con lavori precari”. La legge del Caporalato. Ma chi vive a ridosso di questi luoghi senza regole, dove la legge del caporalato è ancora quella che prevale su ogni altra e dove, insomma, non sembra che cambi mai nulla, sa anche che non ci sono solo le tendopoli di San Ferdinando o i container di Rosarno ad ospitare questi nuovi schiavi. Ci sono anche altre “situazioni abitative gravissime – aggiunge Alessia Mancuso Trizitano – come quella in una ex fabbrica vicino la tendopoli di S. Ferdinando, un luogo spettrale, uno scheletro di cemento, dove gli “infissi” sono fatti con i teloni di plastica, dove non c’è acqua, né elettricità e dove ogni tanto va a fuoco qualcosa per l’uso di bombolette da campeggio utili per cucinare e scaldarsi un po’”. Arrivanio sani e si ammalano qui. Le patologie più frequenti di chi arriva all’ambulatorio di Polistena hanno tutte origine dalle condizioni di lavoro e di igiene. “E’ gente sana, forte, sono giovani dai 18 ai 30 anni – dice ancora la mediatrice – che dopo un viaggio lungo e stressante, hanno subìto una specie di selezione naturale. Ma è qui che si ammalano di patologie gastro intestinali, respiratorie, muscolari, proprio perché soggetti a fatiche fisiche assai pesanti per 12-13-14 ore al giorno”. Nell’ambulatorio sono state organizzate anche sedute fisioterapiche, “anche per evitare – ha aggiunto la rappresentante di Emergency – che per i dolori frequenti alla schiena o alle spalle questa gente faccia abuso di farmaci antidolorifici”. La sensazione di essere dei falliti a vent’anni. L’aspetto più delicato resta comunque quello psicologico, della percezione di sé che ognuno di questi ragazzi finisce per maturare, di fronte a situazioni in cui viene quotidianamente calpestata la loro dignità. “Se diventa la tua condizione di vita permanente – dice Alessia Mancuso Trizitano – finisce per credere di non valere nulla, fino a prevalere in molti di loro la sensazione di non aver ormai più nulla da perdere. Insomma, la psiche di ognuno di queste giovani persone viene minata dal non vedere all’orizzonte futuri diversi da questo presente agghiacciante, di sopravvivere con la sensazione di aver fallito un progetto di vita che nessuno, appena messo piede su uno di quei gommoni, poteva immaginare andasse a finire così”. INCHIESTA DI REP.IT (5 aprile 2016) ROSARNO – Il bilancio è negativo anche quest’anno per la stagione agrumicola nella Piana di Gioia Tauro. Tra i braccianti immigrati, curvi a raccogliere frutta non si sente altro che dire: "Da queste parti non cambia nulla". Nonostante l’aumento dei controlli nelle aziende, per iniziativa della Prefettura e dell’Ispettorato del Lavoro, sono infatti rimaste disastrose le condizioni di vita e di lavoro dei braccianti stranieri. Lo si evince dai dati raccolti da Medici per i Diritti Umani (Medu) Uche hanno diffuso oggi i risultati di una lor ricerca sul campo. Dunque, è stata una stagione dove, tra l’altro, sono tornate le aggressioni ai migranti impiegati in agricoltura, simili a quelle avvenute del dicembre scorso Otto anni fa, Medici senza Frontiere denunciava le drammatiche condizioni degli stranieri impiegati in agricoltura nel rapporto "Una stagione all’inferno". Troppo poco è cambiato da allora. Il lavoro della clinica mobile. Dai dati raccolti dalla clinica mobile di Medici per i Diritti Umani (Medu) – che ha operato nella Piana di Gioia Tauro da metà novembre 2015 a marzo 2016, prestando assistenza sanitaria ai lavoratori stranieri stagionali - emerge un quadro che di poco si discosta dalla stagione precedente. Dei 471 pazienti visitati (774 visite mediche totali tra primi, secondi, terzi e quarti accessi), l’86% ha meno di 35 anni. Si tratta, quindi, di una popolazione giovane – in media 29 anni – proveniente principalmente da Mali (36%), Senegal (23%), Gambia (12%), Costa d’Avorio (8%) e Burkina Faso (6%). Sbandati e vulnerabili nonostante la "protezione internazionale". La maggior parte dei pazienti (95%) è dotata di regolare permesso di soggiorno. Di questi, più della metà (54%) è già titolare di un permesso per protezione internazionale (asilo politico e protezione sussidiaria) o per motivi umanitari. Il 33%, invece, pur essendo regolare nel territorio italiano è in fase di ricorso contro il diniego della Commissione per il diritto d’asilo. Un dato, questo, in forte aumento rispetto alla stagione precedente e già fotografato da Medu ad inizio della stagione di raccolta (si veda il comunicato del 17 dicembre scorso). Più della metà dei pazienti è, infatti, giunto in Italia negli ultimi due anni e vive una condizione di estrema vulnerabilità determinata spesso dalla totale mancanza di informazioni e orientamento socio-legale nonché dall’impossibilità di leggere e scrivere (il 42% dei pazienti ha dichiarato di essere analfabeta). Senza la tessera sanitaria. Per quanto concerne l’integrazione sanitaria, il 52% dei pazienti regolarmente soggiornanti non ha la tessera sanitaria. Le patologie più frequentemente riscontrate sono: disturbi gastro-intestinali (23%), sindromi delle vie respiratorie (22%), patologie muscolo-scheletriche (13%), traumatismi (10%), patologie della cute (6%). I lavoratori stranieri giungono, quindi, in Italia sani e si ammalano nel nostro paese a causa delle critiche condizioni di vita e di lavoro. Lavoro nero per l’86% di loro. Per quanto concerne le condizioni di lavoro, nonostante l’aumento dei controlli da parte di Prefettura e Ispettorato del Lavoro, è riscontrabile tra la popolazione bracciantile un alto tasso di lavoro nero. L’86% dei lavoratori agricoli, infatti, non ha un contratto di lavoro e i pochi che hanno dichiarato di averlo (12%) non sanno se riceveranno una busta paga a fine mese né se gli verranno riconosciute le effettive giornate di lavoro svolte. La maggior parte dei lavoratori è, infatti, retribuita a giornata o a cassetta (1 euro per le cassette di mandarini e 0,5 per le arance) in media 25 euro al giorno per 8 ore di lavoro ed è reclutata attraverso la “piazza” (47%) – cioè l’attesa dei datori di lavoro o dei caporali nelle piazze e nei principali snodi stradali della Piana - o ricorso diretto al caporale (17%). In tale caso, il lavoratore dovrà farsi carico del costo del trasporto che varia dai 3 ai 5 euro. E si vive in baracche col materasso a terra. Per quanto concerne le condizioni di vita, la quasi totalità dei braccianti incontrati da Medu ha trascorso la stagione vivendo in una struttura abbandonata, in una baracca o in una tenda sovraffollata nella zona industriale di San Ferdinando e dormendo, in più della metà dei casi, in un materasso a terra. Sono stati circa 2.000 i lavoratori che hanno affollato la zona industriale di San Ferdinando, distribuendosi tra la tendopoli e una fabbrica abbandonata in condizioni igienico-sanitarie allarmanti. Stessa sorte per le centinaia di lavoratori che vivono nei casolari abbandonati nelle campagne dei Comuni di Rizziconi, Taurianova e Rosarno, edifici fatiscenti, privi di elettricità (nei casi più fortunati alcuni migranti dispongono di generatori a benzina), di servizi igienici e acqua. Le due fasi di un protocollo d’intesa. A tale proposito, nel febbraio 2016 è stato sottoscritto dalla Prefettura di Reggio Calabria, Regione Calabria, Provincia di Reggio Calabria, Protezione civile regionale insieme con Croce Rossa, Caritas, Emergency e Medu un protocollo d’intesa per la soluzione della situazione del campo di San Ferdinando e Rosarno. Il protocollo prevede un intervento in due fasi. Attraverso uno stanziamento di 300mila euro da parte della Regione Calabria verrà messa in sicurezza e bonificata l’area dove sorge l’attuale tendopoli attraverso la sostituzione delle tende e la verifica degli impianti elettrici, idrici e igienici. La seconda fase, già iniziata con un primo tavolo di confronto, prevede la costruzione di politiche di integrazione dei lavoratori nel tessuto abitativo della Piana di Gioia Tauro. Un piccolo passo verso la dignità. Per tali motivi Medu chiede alle Istituzioni che hanno sottoscritto il protocollo che il tavolo relativo la costruzione di politiche abitative porti alla definizione di soluzioni concrete da avviare già entro la prossima stagione. Si tratterebbe, in questo caso, di un passo decisivo nel ridare dignità ai lavoratori nonché di valorizzare – in un territorio a forte emigrazione come quello calabro – le centinaia di stabili in disuso presenti e di ridare vita ai centri abitati in forte spopolamento. L’eterna battaglia (perdente) con i "caporali". Medu, inoltre, chiede che vengano promossi alcuni strumenti chiave per la lotta al caporalato e al lavoro nero. Tra questi: il controllo della reale operatività delle O.P. (le Organizzazioni dei Produttori), il monitoraggio delle aziende presenti sul territorio e degli ettari messi a coltivo, il potenziamento dei centri per l’impiego come unico ponte possibile tra lavoratore e azienda, l’istituzione di linee agricole che garantiscano il trasporto pubblico da e verso i campi nonché l’introduzione degli indici di congruità. Medu, infine, chiede che venga promosso presso il Ministero dell’Agricoltura un tavolo per il rilancio della produzione agrumicola della Piana e la definizione dei prezzi degli agrumi i quali, comprati ai piccoli produttori tra i 5 e 15 cent/kg rendendo quasi impossibile la copertura dei costi di raccolta, sono poi rivenduti dalla Grande Distribuzione fino a 2 euro al kilo. CORRIERE.IT [Esplora il significato del termine: Forse una questione di soldi il motivo della rissa scoppiata mercoledì mattina al campo profughi di San Ferdinando che è costata la vita a un maliano, ucciso da un carabiniere a sua volta ferito, mentre tentava di sedare gli animi. L’extracomunitario ucciso soffriva di problemi psichici. Problemi psichici Mercoledì mattina, poco dopo le 7 l’africano è andato in escandescenza ed ha iniziato a buttare a terra ogni cosa e inveire contro i suoi compagni con i quali divideva la tendopoli. Poi ha preso un coltello da cucina ed ha iniziato a brandirlo e colpire i suoi compagni. Qualcuno tra loro ha cercato di frenare l’ira del maliano, ma è stato ferito ad una mano. L’extracomunitario ha poi cercato poi di prendere denaro e sigarette dalla borsa dei suoi amici, forse per tentare una fuga. Uno di loro ha chiamato i carabinieri. I due militari intervenuti hanno cercato con ogni mezzo di riportare la calma ma il maliano, ancora con il coltello in mano, sembrava indemoniato. I carabinieri hanno quindi chiesto rinforzi. Alla vista di così tanti carabinieri l’extracomunitario si è scagliato contro due di loro, ferendo al volto un militare. Pronta la reazione del carabiniere che, probabilmente temendo una seconda aggressione e quindi per difendersi, ha estratto la pistola colpendo al torace l’extracomunitario. Il maliano è morto immediatamente. PUBBLICITÀ inRead invented by Teads shadow carousel Rosarno, rissa nella tendopoli: carabiniere ferito spara e uccide un migrante Rosarno, rissa nella tendopoli: carabiniere ferito spara e uccide un migrante Rosarno, rissa nella tendopoli: carabiniere ferito spara e uccide un migrante Rosarno, rissa nella tendopoli: carabiniere ferito spara e uccide un migrante Rosarno, rissa nella tendopoli: carabiniere ferito spara e uccide un migrante Rosarno, rissa nella tendopoli: carabiniere ferito spara e uccide un migrante Rosarno, rissa nella tendopoli: carabiniere ferito spara e uccide un migrante Rosarno, rissa nella tendopoli: carabiniere ferito spara e uccide un migrante Rosarno, rissa nella tendopoli: carabiniere ferito spara e uccide un migrante Rosarno, rissa nella tendopoli: carabiniere ferito spara e uccide un migrante Rosarno, rissa nella tendopoli: carabiniere ferito spara e uccide un migrante Rosarno, rissa nella tendopoli: carabiniere ferito spara e uccide un migrante Rosarno, rissa nella tendopoli: carabiniere ferito spara e uccide un migrante Rosarno, rissa nella tendopoli: carabiniere ferito spara e uccide un migrante Rosarno, rissa nella tendopoli: carabiniere ferito spara e uccide un migrante Rosarno, rissa nella tendopoli: carabiniere ferito spara e uccide un migrante Rosarno, rissa nella tendopoli: carabiniere ferito spara e uccide un migrante Rosarno, rissa nella tendopoli: carabiniere ferito spara e uccide un migrante Rosarno, rissa nella tendopoli: carabiniere ferito spara e uccide un migrante Prev Next La rabbia del campo La reazione dei suoi compagni è stata immediata: gli immigrati hanno accerchiato i carabinieri che hanno dovuto estrarre le pistole per mettere paura ai rivoltosi inferociti per la morte del loro amico. La rivolta è stata sedata solo dopo qualche ora, con l’arrivo di altri carabinieri e poliziotti, accorsi con tenuta antisommossa. Sul posto è arrivato il procuratore di Palmi Ottavio Sferlazza e vertici dell’Arma. Decine gli immigrati portati in caserma per essere interrogati. Nella tendopoli di San Ferdinando c’è tensione. Si teme che con il passare delle ore possa nuovamente scoppiare una nuova rivolta. Le condizioni di vita in questo campo sono al limite della decenza. Immondizia ovunque. L’acqua scarseggia. La vita sociale tra è sempre più difficile anche perché il lavoro scarseggia e tra gli immigrati c’è una vera e propria lotta per accaparrarsi il lavoro nei campi che, comunque, non può essere garantito a tutti. ] Forse una questione di soldi il motivo della rissa scoppiata mercoledì mattina al campo profughi di San Ferdinando che è costata la vita a un maliano, ucciso da un carabiniere a sua volta ferito, mentre tentava di sedare gli animi. L’extracomunitario ucciso soffriva di problemi psichici. Problemi psichici Mercoledì mattina, poco dopo le 7 l’africano è andato in escandescenza ed ha iniziato a buttare a terra ogni cosa e inveire contro i suoi compagni con i quali divideva la tendopoli. Poi ha preso un coltello da cucina ed ha iniziato a brandirlo e colpire i suoi compagni. Qualcuno tra loro ha cercato di frenare l’ira del maliano, ma è stato ferito ad una mano. L’extracomunitario ha poi cercato poi di prendere denaro e sigarette dalla borsa dei suoi amici, forse per tentare una fuga. Uno di loro ha chiamato i carabinieri. I due militari intervenuti hanno cercato con ogni mezzo di riportare la calma ma il maliano, ancora con il coltello in mano, sembrava indemoniato. I carabinieri hanno quindi chiesto rinforzi. Alla vista di così tanti carabinieri l’extracomunitario si è scagliato contro due di loro, ferendo al volto un militare. Pronta la reazione del carabiniere che, probabilmente temendo una seconda aggressione e quindi per difendersi, ha estratto la pistola colpendo al torace l’extracomunitario. Il maliano è morto immediatamente. 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La rivolta è stata sedata solo dopo qualche ora, con l’arrivo di altri carabinieri e poliziotti, accorsi con tenuta antisommossa. Sul posto è arrivato il procuratore di Palmi Ottavio Sferlazza e vertici dell’Arma. Decine gli immigrati portati in caserma per essere interrogati. Nella tendopoli di San Ferdinando c’è tensione. Si teme che con il passare delle ore possa nuovamente scoppiare una nuova rivolta. Le condizioni di vita in questo campo sono al limite della decenza. Immondizia ovunque. L’acqua scarseggia. La vita sociale tra è sempre più difficile anche perché il lavoro scarseggia e tra gli immigrati c’è una vera e propria lotta per accaparrarsi il lavoro nei campi che, comunque, non può essere garantito a tutti. FIORENZA SARZANINI Sarebbe stato raggiunto da almeno tre coltellate, che lo hanno ferito a un occhio e a un braccio, l’appuntato Antonino Catalano e per questo avrebbe reagito sparando un colpo di pistola che ha ucciso Sekine Traore, un extracomunitario di 27 anni proveniente dal Mali, a Gioia Tauro nella tendopoli di San Ferdinando. shadow carousel Rosarno, rissa nella tendopoli: carabiniere ferito spara e uccide un migrante Rosarno, rissa nella tendopoli: carabiniere ferito spara e uccide un migrante Rosarno, rissa nella tendopoli: carabiniere ferito spara e uccide un migrante Rosarno, rissa nella tendopoli: carabiniere ferito spara e uccide un migrante Rosarno, rissa nella tendopoli: carabiniere ferito spara e uccide un migrante Rosarno, rissa nella tendopoli: carabiniere ferito spara e uccide un migrante Rosarno, rissa nella tendopoli: carabiniere ferito spara e uccide un migrante Rosarno, rissa nella tendopoli: carabiniere ferito spara e uccide un migrante Rosarno, rissa nella tendopoli: carabiniere ferito spara e uccide un migrante Rosarno, rissa nella tendopoli: carabiniere ferito spara e uccide un migrante Rosarno, rissa nella tendopoli: carabiniere ferito spara e uccide un migrante Rosarno, rissa nella tendopoli: carabiniere ferito spara e uccide un migrante Rosarno, rissa nella tendopoli: carabiniere ferito spara e uccide un migrante Rosarno, rissa nella tendopoli: carabiniere ferito spara e uccide un migrante Rosarno, rissa nella tendopoli: carabiniere ferito spara e uccide un migrante Rosarno, rissa nella tendopoli: carabiniere ferito spara e uccide un migrante Rosarno, rissa nella tendopoli: carabiniere ferito spara e uccide un migrante Rosarno, rissa nella tendopoli: carabiniere ferito spara e uccide un migrante Rosarno, rissa nella tendopoli: carabiniere ferito spara e uccide un migrante Prev Next L’intervento dei carabinieri Due pattuglie dei carabinieri erano intervenute in una tendopoli dove sono alloggiati circa 400 stranieri – soprattutto nordafricani impiegati nella raccolta di prodotti agricoli - che, secondo la prima informativa trasmessa dagli stessi carabinieri «a seguito dell’aggressione a scopo di rapina subita da un cittadino maliano, da parte di un connazionale, armato di un coltello». La lite e poi l’aggressione L’appuntato, secondo la prima ricostruzione «ha sparato il colpo e ha ferito lo straniero che poi è morto mentre personale specializzato del 118 cercava di rianimarlo». La prima versione fornita dall’Arma parla di «colpo partito accidentalmente», negando così anche la legittima difesa, ma la dinamica non è stata ancora ricostruita esattamente. La Procura: «carabiniere indagato, ma è legittima difesa» Catalano sarà ora iscritto nel registro degli indagati ma secondo il procuratore della Repubblica di Palmi Ottavio Sferlazza «il quadro che si delinea è di una legittima difesa da parte del militare». Sul corpo di Traore verrà effettuata l’autopsia. Il sindaco: «Si poteva evitare». E chiede aiuto a Renzi e Alfano «Quanto accaduto si poteva evitare- dice il sindaco di Rosarno Giuseppe Idà - e questo mi addolora profondamente». Sulla dinamica della tragedia di mercoledì il sindaco preferisce non dire nulla. «Saranno le indagini ad accertare i fatti. Ho il dovere, però, di porre il tema dei migranti ospiti nelle tendopoli di Rosarno e San Ferdinando. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: dopo la rivolta del 2010 e la rissa di oggi sfociata in una tragedia, dobbiamo mettere un punto a questa storia». Il problema, per il sindaco, è nazionale: «Da soli non ce la facciamo abbiamo bisogno, e spero di incontrarli al più presto, del ministro Angelino Alfano e del premier Matteo Renzi». AGGRESSIONI TEPPISTI Dentro il campo di container montato nel 2011 dalla Protezione civile, e ora abbandonato all’incuria, dove vivono – in condizioni disumane – gli «stagionali» CAPO AFRICANO PRENDE TRE EURO SENEGAL MALI BURKHINA FASO GUINEA GIUSEPPE SALVAGGIULO Sbaglia chi dice che a Rosarno, tre anni dopo la rivolta dei migranti, le devastazioni, la controrivolta degli italiani, la caccia all’uomo e infine la deportazione dei neri, tutto è come prima. È peggio. Gli africani sono di nuovo mille, come allora: arrivati in autunno, ripartiranno in primavera dopo aver raccolto agrumi a 25 euro al giorno, anche se adesso i padroni prediligono il cottimo che aumenta la produttività: un euro a cassetta per i mandarini e 0,50 per le arance, in ogni cassetta 18-20 chili di raccolto. Nel pieno della stagione lavorano tre-quattro giorni a settimana, a chiamata, versando tre euro al caporale che li carica all’alba sul pullmino. Nei giorni di magra girano in bici nella piana, fanno la spesa ai discount, cucinano riso e ali di pollo in bidoncini arrugginiti, si ubriacano di birra, litigano tra loro. I due giganteschi dormitori nei ruderi delle fabbriche dismesse non esistono più da tre anni: uno chiuso d’imperio e abbandonato, l’altro demolito. Bisognava rimuovere, non solo psicologicamente. Ma la nuova favela tra Rosarno e San Ferdinando è, se possibile, ancora più raccapricciante. Lamiere di eternit recuperate in qualche cimitero industriale, di cui la Calabria abbonda, fanno rimpiangere gli scheletri di cemento e le pareti di ferro. Ora i tetti sono di cellophane, cartone, plastica di risulta. Come calcestruzzo uno spago di fortuna. Cumuli di terra pressata alti venti centimetri sorreggono i precari giacigli, pronti a inondarli di fango alla prima pioggia. I bagni sono in fondo a destra: due fosse larghe un metro scavate per quaranta centimetri nella terra, a cielo aperto e senza riparo alcuno. Nella tenda più grande, dieci metri per cinque, si contano non meno di cento posti letto tra materassi rancidi e brandine. Un odore indicibile. Non ci sono acqua, fogna, elettricità; solo immondizia a fare da sipario. «Una cosa incivile, vergognosa, uno schifo», urla Domenico Madafferi, sindaco di San Ferdinando che, sulla base di una relazione sui requisiti igienici «praticamente inesistenti» e sulla «situazione dannosa per la salute» di «baracche fatiscenti» e «dimore abusive senza le condizioni minime di vivibilità» che «potrebbero essere focolai di infezioni», ha scritto di suo pugno un’ordinanza di sgombero. «Un modo per mettere Regione e governo spalle al muro, dopo inutili riunioni, appelli e solleciti scritti – spiega -. Ma non è cambiato nulla, solo promesse». Così ieri ha scritto la lettera al prefetto con cui si appresta a eseguire lo sgombero. Un’eventualità drammatica, «perché il ricordo di tre anni fa sarà niente rispetto a quello che potrebbe accadere se arriviamo con le ruspe». Eppure in questo stesso posto, solo un anno fa, le autorità inauguravano un campo modello: 280 posti, ampie tende da quattro persone, stufe a olio, tv satellitare, bagni da campeggio, lampioni nei viottoli, rifiuti raccolti ordinatamente, mensa con cucina, presidio medico. Una Svizzera nella piana di Gioia Tauro. Il materiale era arrivato dal Viminale dopo l’interessamento del ministro per la Cooperazione Andrea Riccardi. La Regione aveva messo 55 mila euro per la gestione. La Provincia pagava la corrente elettrica. I sindaci Elisabetta Tripodi di Rosarno e Domenico Madafferi di San Ferdinando facevano il resto. Le associazioni di volontariato più diverse - cattoliche, laiche, evangeliche - si prodigavano per offrire assistenza, cibo, coperte grazie all’aiuto di migliaia di persone (altro che razzismo). La tendopoli si aggiungeva ai container installati nel febbraio 2011: 120 migranti in moduli da sei con cucinino e bagno in camera. Non solo si smantellavano gli ultimi ghetti, ma l’inedito «modello Rosarno» dava vitto e alloggio a ogni immigrato con 2 euro al giorno, contro i 45 spesi generalmente dalla Protezione Civile. E dunque, pur con numeri ancora insufficienti (400 posti, un terzo del necessario), in una terra dove lo stato di eccezione è permanente (qualche tempo fa i tre Comuni principali si ritrovarono contemporaneamente sciolti per mafia), aver messo tra parentesi l’emergenza pareva un miracolo. Invece a rivelarsi una fuggevole parentesi è stata proprio la normalità. Giugno 2012: finiti i soldi della Regione, la tendopoli viene chiusa e abbandonata, in attesa della nuova stagione agricola. In agosto i sindaci si rivolgono a Regione e governo: bisogna organizzarsi per tempo o tornerà il caos. Cosa che puntualmente accade: a fine ottobre, quando parte la raccolta dei mandarini, la tendopoli priva di gestore viene occupata e saturata dai migranti. Nelle tende si sistemano in sei, ma non basta perché altri ne arrivano. I sindaci reclamano aiuto: non hanno soldi, strutture, personale per farcela. «Regione e governo latitano, il ministro Riccardi non risponde, solo la presidenza della Repubblica dà un segnale di attenzione comprando e mandando coperte, peraltro inadeguate», dice sconsolato il sindaco. In poche settimane anche la mensa diventa un maxi dormitorio. Non c’è più spazio e gli ultimi arrivati cominciano a costruire la favela contigua all’insediamento originario. Senza manutenzione, gli scarichi fognari non reggono a una popolazione quadruplicata, i container con i bagni diventano cloache inservibili, la cucina chiude, i cassonetti dei rifiuti esplodono. Basterebbero 50-70 mila euro per ripristinare la gestione della tendopoli in modo dignitoso, efficiente e controllato fino a primavera. Solo lo 0,000006% della spesa pubblica italiana e delle promesse udite tre anni fa. Ancora troppo, per Rosarno.