Andrea Greco, Affari&Finanza 6/6/2016, 6 giugno 2016
FONDAZIONI ANCORA AL TRAINO DELLE BANCHE BILANCI MIGLIORATI MA LA BORSA FA TREMARE
Milano Lo stato di salute delle maggiori Fondazioni bancarie, dopo le stagioni critiche degli anni passati, dà cauti segnali di ripresa. Questa è la buona notizia, che emerge dai bilanci 2015 da poco depositati. La cattiva (notizia) è che molti dei progressi recenti sono dovuti alla ripresa di valore delle loro partecipazioni bancarie; a partire da Intesa Sanpaolo, che nell’anno borsistico 2015 ha guadagnato un rotondo 27,6%. Il cordone ombelicale, insomma, non è ancora spezzato: e faranno meglio a sbrigarsi gli enti più esposti nelle conferitarie - come Compagnia di San Paolo e Cariparo per esempio - ad alleggerirsi in banca, nei tempi (fine 2018) e nei termini previsti dal protocollo Tesoro-Acri. Il rischio “siamese” permane, come si vede dal grafico borsistico dei primi cinque mesi del 2016, in cui le banche nostrane hanno perso, spesso con gli interessi, quanto guadagnato l’anno prima. L’assunto resta, ed è più vero, per le Fondazioni minori, in genere gestite peggio delle grandi e con patrimoni esigui, che in caso di crisi delle loro banche si sono ridotti ai minimi termini (i casi Mps, Carige e delle quattro good bank lo dimostrano, e hanno aperto problemi per gli enti azionisti che prima o poi il sistema Acri dovrà affrontare). Segue breve analisi dei bilanci 2015 dei sei enti maggiori. Compagnia di San Paolo E’ il primo azionista bancario in Italia, con il suo 9,34% di Intesa Sanpaolo. Ed è quello che più ha beneficiato del rialzo di Ca’ de
Sass, banca tra le preferite dagli investitori a Piazza Affari. Ma la Borsa dà e toglie. Intesa Sanpaolo vale oggi 2,37 euro, rispetto ai 3,08 euro di fine 2015 (soprattutto, meno dei 2,45 euro di fine 2014). La partecipazione regina dei torinesi è in carico a 2,27 euro: pertanto la plusvalenza latente di 1,21 miliardi si è in cinque mesi quasi azzerata. L’aumento di valore della quota Intesa ha anche fatto lievitare il patrimonio 2015 della Compagnia, che ha superato quello di Cariplo a 7,33 miliardi. Ma la stessa quota rappresenta il 59% del totale attivo dell’ente, a valori correnti. Solo uno 0,13% del capitale della banca è stato venduto finora: Torino deve scendere di circa un terzo entro due anni e mezzo, e non sarà facile in questa congiuntura borsistica. Quanto alla gestione, pochi problemi: l’avanzo è corposo e stabile, le erogazioni salgono a 142 milioni. Fondazione Cariplo Ha perso il primato di ente più grande: sia per la minore incidenza della quota in Intesa Sanpaolo (il 4,34%, che incide per il 30% dell’attivo totale, già in linea con il tetto del 33% posto dal Tesoro), sia perché l’anno scorso la rinomata gestione del patrimonio di Cariplo è stata infruttuosa. I 5,25 miliardi che il gestore Quaestio Sgr ha delegato a 25 gestori tra cui Algebris, Blackrock, Goldman Sachs, Pimco, Schroders, hanno totalizzato nell’anno un rendimento lordo negativo dello 0,52%. E il rialzo di Intesa Sanpaolo, gestita insieme alle altre partecipazioni quotate di Cariplo in un veicolo ad hoc di Quaestio Sgr, non ha portato frutti, perché il rendimento lordo di tale veicolo nel 2015 è stato del -2,78%. Serve un inciso per capire: la quota di Cariplo nella banca è gestita in modo attivo da Quaestio. Significa che è valutata ai prezzi di mercato, ma per ridurre la volatilità è inserita in un meccanismo di derivati che, per coprire del tutto la posizione sulle azioni Intesa possedute, ha diversificato «al 65% in un paniere di azioni mondiali ad alto rendimento». Con l’effetto automatico che se il mercato azionario sale e/o Intesa Sanpaolo batte il suo indice, la gestione perde. E’ stato il caso del 2015, mentre nel 2014 la gestione aveva guadagnato per opposte ragioni. Forse ora il presidente Giuseppe Guzzetti storce il naso: ma così va il mondo delle gestioni attive. Comunque nel triennio 2013-2015 i 6,89 miliardi del patrimonio Cariplo hanno reso «un 24,7% interno triennale», pari al 13,4% a prezzi di mercato post erogazioni. Guardando la gestione 2015 dell’ente, il disavanzo di 39 milioni è stato coperto dal fondo stabilizzazione erogazioni, usato per 135 milioni (circa metà del totale), per consentire all’ente di erogare 159 milioni, sui livelli del 2014. Fondazione Cariparo L’ente padovano ha ancora un 3,3% di Intesa Sanpaolo in carico a 2,01 euro ad azione, livello così basso che cela 564 milioni di plusvalenza teorica nel bilancio 2015 (ai prezzi odierni limati a 190 milioni). L’apprezzamento della quota nel periodo ha fatto crescere il patrimonio netto totale a 2,4 miliardi. Tanta grazia andrà però quasi dimezzata in due anni, perché la quota nella banca pesa per il 56% del totale attivo. L’avanzo di gestione Cariparo è calato da 74 a 39 milioni, ma le erogazioni sono salite da 44 a 51 milioni. Fondazione Caritorino Il suo 2,51% di Unicredit è iscritto a 4,38 euro nel bilancio 2015: così ai prezzi di Borsa la virtuale plusvalenza dicembrina di 109 milioni s’è trasformata in minusvalenza di 200 milioni. La quota nella conferitaria è appena il 21,8% del totale attivo, e c’è ancora un fondo stabilizzazione erogazioni pari a sei volte l’erogato dell’esercizio (una quarantina di milioni, livello stabile da un triennio). Il patrimonio è salito da 2,34 miliardi a 2,58 miliardi. Crt è tra i pochi enti a residuare un debito, da 50 milioni, contratto per seguire le emissioni di Unicredit, su cui l’ente ha puntato circa un miliardo gli anni scorsi. Fondazione Cariverona Il suo 2,83% in Unicredit (che ammonta al 37% del totale attivo) ancora nel 2014 era in carico a oltre 10 euro, cifra che imponeva di lavorare - e svalutare - parecchio. Così si è iniziato a fare nel 2015: usando 455 milioni del fondo rivalutazioni e plusvalenze per svalutare fino a 8,42 euro la conferitaria, e coprire i 132 milioni di perdite per lo 0,67% ceduto. Malgrado ciò, ai prezzi attuali Cariverona incorpora ancora minusvalenze per 916 milioni: più di metà del patrimonio netto, calato di poco a 1.708 milioni. Le erogazioni sono salite da 46 a 57 milioni, e l’avanzo è raddoppiato a 118 milioni. Trattasi però di avanzo “dopato”: 24 milioni arrivano dall’avere iscritto in conto economico come “altri proventi” le azioni distribuite da Unicredit al posto della cedola; e solo contando i 132 milioni persi con la piccola vendita di Unicredit il 2015 sarebbe in rosso.