Giampaolo Visetti, Affari&Finanza 6/6/2016, 6 giugno 2016
TOPOLINO A SHANGHAI IN CINA PARTE LA SFIDA TRA DISNEY E WANDA
Shanghai L a Cina acquista anche i sogni dell’Occidente e prepara l’ultimo sorpasso sugli Stati Uniti: quello nel business del divertimento. Calcio, cinema, musica, ma soprattutto i consumi di giovani e famiglie nel tempo libero. Simbolo della corsa globale alla spesa del ceto medio per vacanze e weekend è il nuovo parco Disney a Shanghai, pronto all’inaugurazione- show di giovedì 16 giugno. È il più grande resort tematico aperto fuori dagli Usa dalla multinazionale di Topolino e in Asia l’attesa è tale che l’area occupata dalle attrazioni viene presa d’assalto da un mese, a cancelli ancora chiusi. I numeri sono proporzionali alla dimensione della Cina. Il «Regno Magico» vicino all’aeroporto di Pudong, occupa 400 ettari, è costato 5,5 miliardi di dollari, ha assunto 10mila dipendenti e promette di attrarre 30 milioni di visitatori l’anno per un giro d’affari che sfiora i 4 miliardi di dollari. Vanta una serie di record senza precedenti, da quando la Walt Disney ha lanciato il primo parco divertimenti in California, 61 anni fa: il castello con la torre più alta del mondo (65 metri), il numero maggiore di giostre, le montagne russe più vertiginose, la superficie a giardino più vasta, un lago navigabile, un’offerta ineguagliabile di teatri, sale video, ristoranti, negozi e hotel, tutti orientati ai personaggi dei cartoon. I biglietti delle prime due settimane sono esauriti, previsti 600 mila ingressi al giorno, quasi chiusa
la prevendita fino a settembre. Per He Jianmin, docente di finanza alla Shanghai University, il boom cinese dei consumi nel tempo libero «è la vera rivoluzione sociale ed economica del mondo contemporaneo, più ancora della spesa via e-commerce». I prezzi Disney, per una famiglia cinese, sono da prodotto di lusso. Nei fine settimana l’ingresso singolo costa 67 euro, 50 nei giorni normali. Vanno aggiunti i soldi per salire sul nuovo treno-missile «Maglev » che porta alla fermata interna al parco, o gli 8 euro per parcheggiare l’auto, più il volo a bordo di uno dei nuovi Airbus A330, sempre a tema Disney, che fanno da navetta dalle principali città cinesi. «Senza contare – dice l’economista dell’Accademia cinese delle scienze, Wei Xiang – che ogni visitatore vorrà mangiare, bere e fare shopping. La realtà è che una famiglia normale si appresta a investire in un giorno più di quanto guadagna in un mese ». Il punto è che, a dispetto dei costi, la domanda sembra non avere limiti. Entro le tre ore di viaggio dal Disney Park di Pudong vivono 330 milioni di cinesi, a meno di cinque si arriva a quota 700 milioni. Un passo più in là, nonostante gli storici resort Disney aperti a Tokyo e a Hong Kong, si supera quota 2 miliardi di persone, tra la Siberia russa e il Sudest asiatico. Shanghai fra due settimane promette così di diventare la capitale mondiale del turismo e del tempo libero, staccando Orlando e Las Vegas negli Usa, Parigi in Europa e Macao-Hong Kong in Asia. Ed è solo la punta dell’iceberg. In Cina sono già attivi 2500 parchi a tema e il fatturato cresce di oltre il 10% all’anno. Il sorpasso sugli Usa, in termini di spesa, è previsto entro il 2020, quando i cinesi che accederanno ad un resort dello svago saranno 225 milioni all’anno, il doppio che nel 2015. Entro dicembre nel Paese verranno spesi 4 miliardi di dollari per accedere ad uno dei parchi-divertimento. È un fenomeno di consumo senza precedenti stimolato dalla necessità di Pechino di bruciare le tappe verso una riforma strutturale del modello di crescita. Produzione low cost ed export sono alle corde, il Pil frena al 6,5%, il più basso da un quarto di secolo, e il futuro cinese si aggrappa a urbanizzazione, consumi interni, ricerca e industria hi-tech. Il caso Disney Shanghai è un’icona del cambiamento. La maggioranza, per la prima volta, non è nelle mani della multinazionale dell’intrattenimento Usa. I veri padroni dell’inedita joint venture sono investitori privati cinesi, più il municipio della capitale finanziaria del Dragone, uniti nel consorzio «Shanghai Group Shendi», sostenuto dal governo centrale. Semplificando, significa che Mao ha infine digerito anche Topolino, o che il partito-Stato comunista si è comprato anche la bandiera di Paperino, icona del capitalismo di consumo. Alla vigilia dell’apertura di «Chinadisney» lo stesso presidente cinese Xi Jinping, paladino nazionalista della tradizione, ha così ricevuto il presidente del colosso americano, Robert Iger, esaltando giostre e attrazioni 4D come «l’esempio delle nuove relazioni culturali tra Cina e Stati Uniti, cardine di questo secolo». Accade raramente che un leader di Pechino incontri il capo di una multinazionale straniera nella Città Proibita: si ricordano solo i vertici con Apple, Facebook e Starbucks. Il via libera della leadership rossa, dopo l’«arricchirsi è glorioso» di Deng Xiaoping, per un sesto della popolazione del pianeta equivale al nuovo ordine «divertitevi e consumate », destinato a un impatto mondiale decisivo. Ovvio, considerato il business in palio, che Disney Shanghai rappresenti così l’evento turistico dell’anno, ma che diventi anche il primo teatro della «guerra globale dell’intrattenimento». A guidare il fronte opposto al gigante Usa c’è un altro colosso, guarda caso cinese. Si tratta di «Wanda Group», la multinazionale dell’immobiliare e dell’intrattenimento del miliardario Wang Jianlin, l’uomo più ricco della Cina, famoso in Europa per l’acquisto del 40% dell’Atletico Madrid calcio. Una settimana fa ha bruciato Disney inaugurando il parco divertimenti «Wanda Cultural Tourism City» a Nanchang, nello Jiangxi, costato 6,1 miliardi di dollari. I piani del gruppo, che sta costruendo altri otto resort simili, prevedono 15 maxi-parchi tematici in Cina entro il 2020, più tre all’estero. L’obbiettivo sono 200 milioni di visitatori e 30 miliardi di fatturato annuo, fino a superare la Walt Disney e a diventare la prima industria mondiale del divertimento. Entro un decennio, secondo l’International Association of Amusement Parks and Attractions, i parchi a tema cinesi arriveranno così ad ospitare 350 milioni di visitatori all’anno, cementificando anche le città di seconda e terza fascia, fino a saldare il mercato del mattone con quello del commercio e del turismo. Wang Jianlin, in un’intervista alla tivù di Stato, non ha nascosto che tra Disney e Wanda, tra la cultura del tempo libero Usa e quella cinese, sia scoppiata davvero «l’ultima battaglia per il business socialmente e politicamente più importante del secolo». «Sono certo che trionferemo – ha detto – e garantisco che Disney non farà utili per almeno dieci-venti anni. In Asia non crescerà una generazione che seguirà ciecamente le immagini invecchiate di Topolino e di Paperino ». Impegnati nello stesso scontro, una decina di altri gruppi non solo cinesi, da Fantawild a Carnival, da Haichang a Universal: 21 i parchi tematici aperti negli ultimi dodici mesi, 20 le inaugurazioni fissate entro l’anno, poi toccherà a Tianjin (2018) e Pechino (2019), scelte per diventare il terzo polo dell’intrattenimento «made in China». E’ troppo? Probabilmente sì, il 70% delle strutture oggi è in perdita. Ma per vincere una guerra tanto cruciale, pur se combattuta su una giostra, i caduti sono già messi a bilancio. Walt Disney (1901-1966), l’uomo con cui tutto cominciò.