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 2016  giugno 06 Lunedì calendario

PROFESSIONE YOUTUBER, COSÌ LA RETE CREA L’INDUSTRIA DEI VIDEO ONLINE

"Dieci ore di scrittura, quattro o cinque per il girato, una ventina montare". C’era una volta un’epoca in cui il motto di YouTube era un inno alla spontaneità: "Broadcast yourself", trasmettiti. Si accendeva la webcam, si registrava, e il filmato era in Rete. Almeno a sentire Daniele Selvitella, 28 anni, lo slogan andrebbe aggiornato: trasmettiti bene, trasmettiti con cura. "Ci investo soldi e tempo, un vero e proprio lavoro", racconta Daniele doesn’t matter, nome d’arte sulla piattaforma per i suoi video di "sociologia comica", dagli Errori imperdonabili alla rilettura moderna dei Promessi sposi. E con questi titoli ha conquistato quasi un milione di seguaci.
Lontano dai picchi di CutiePieMarzia (6,3 milioni) o PewDiePie (44,8), gli "youtuber" così sono stati subito ribattezzati, più seguiti in Italia e nel mondo. Abbastanza per guadagnarci uno stipendio. Con queste superstar del video infatti la società del gruppo Google divide i ricavi pubblicitari: 55 per cento a loro e 45 per sé. "I creator sono il cuore della piattaforma", spiega Federica Tremolada, responsabile delle partnership di YouTube nel nostro Paese. Solo in Europa i creatori sono 3 milioni. In Italia, calcola Deloitte, con i loro video hanno generato 40 milioni di euro di indotto e oltre 500 posti di lavoro. Certo, i videomaker della domenica esistono ancora. Solo che agli inserzionisti pubblicitari, la benzina che alimenta tutta questa economia del video, più che sulla coda lunga
interessa apparire su una minoranza scelta di filmati. "Quelli che generano più visualizzazioni - spiega Tremolada - ma anche più engagement ". Capaci di tenere uno spettatore sempre più volubile e distratto incollato allo schermo.

Non a caso alla fine del 2014 (e lo scorso anno in Italia) Google ha lanciato Preferred, una soluzione che permette alle aziende di fare pubblicità solo sul 5% dei canali più seguiti. Quali? Guardate chi è salito lo scorso 30 aprile sul palco del Brandcast, il raduno annuale in cui YouTube celebra il suo mondo. C’era Big Bird, il volatile giallo della serie per bambini Sesame Street. Sia, la cantante australiana emersa anche grazie ai video online. Il gran capo della Nba (il campionato di basket più famoso del mondo) Adam Silver, che ora pubblica sulla piattaforma tutte le sintesi delle partite. Eccoli i creatori: musicisti, produttori televisivi, leghe sportive. E ovviamente i blogger del video, i vlogger, rappresentati quella sera da Lilly Singh, in arte Superwoman. Con i suoi video comici in salsa punjabi ha raggiunto 8,7 milioni di seguaci e 3 milioni di dollari di entrate annue, stima Forbes. Star hollywoodiane versione 2.0.

E allora non sorprende il proliferare di società, i multi-channel networks (Mcn), che in cambio di una fetta dei ricavi fanno da Studios. Ingaggiano gli youtuber, li aiutano a scrivere e produrre i video, li promuovono online e offline. Qualche mese fa Maker, una di queste scuderie, è stata comprata da Disney per 500 milioni di dollari. "Siamo stati tra i primi in Italia a crederci", racconta Luca Leoni, fondatore di Show Reel, uno dei quattro, cinque network tricolori. Ora i numeri gli danno ragione. Ogni mese i video delle sue stelle sono visti da 43 milioni di utenti. La 19enne Sofia Viscardi, per citarne una, ha appena pubblicato un libro per Mondadori. E ovviamente le aziende fanno la fila per piazzare i loro prodotti all’interno dei suoi video. Le previsioni di eMarketer per gli Stati Uniti aiutano a farsi un’idea. I video online sono il singolo segmento di spesa pubblicitaria che crescerà più veloce, del 20% ogni anno: dai 9,9 miliardi di dollari del 2016 ai 28 del 2020. E con un pubblico superiore al miliardo di persone YouTube (e i suoi creatori) sono in prima fila per papparsi la fetta maggiore. Il grande sorpasso sulla televisione è fatto: "In prima serata raggiungiamo più audience dei primi dieci show televisivi messi insieme, sui dispositivi mobili abbiamo più audience di tutte le emittenti messe insieme", ha esultato proprio durante l’ultimo Brandcast Susan Wojcicki, amministratore delegato della società. Annunciando anche che il colosso della pubblicità Interpublic il prossimo anno sposterà 250 milioni di dollari del suo budget dalla televisione a YouTube.

I creatori assicurano al Tubo quello che sul piccolo schermo era l’intrattenimento da "prima serata". Con la differenza che questo show è accessibile 24 ore al giorno, sette giorni su sette. Il problema è che la battaglia per l’attenzione del videospettatore, e per la torta di ricavi che si porta dietro, infuria da tutte le parti. Sconfitta (o quasi) la vecchia televisione con la rigidità del suo palinsesto, c’è l’assalto di quella nuova, connessa, dalle emittenti tradizionali a Amazon e Netflix. Capaci di produrre serie di culto come House of Cards o Mozart in the Jungle. Non è un caso che alla fine del 2014 YouTube abbia lanciato Red, un’offerta di sottoscrizione che permette di guardarsi i video senza pubblicità e avere accesso a contenuti scelti. Il primo, guarda un po’, è stata una mini serie che aveva come protagonista lo youtuber più famoso al mondo, Scare PewDiePie. Insieme a loro, Google punterà molto sul mondo degli e-sports, i tornei agonistici di videogame, e sui contenuti per bambini, due mercati ricchissimi. Mentre si vocifera del lancio a inizio 2017 di un pacchetto televisivo in streaming, Unplugged.

Ma è su un altro fronte, quello dei social network, che la concorrenza per conquistare gli occhi del mondo è ancora più agguerrita. Marc Zuckerberg lo ha detto chiaro: questo è l’anno del video. I filmati su Facebook hanno raggiunto 8 miliardi di visualizzazioni al giorno, e presto dovrebbe arrivare una forma di spartizione dei ricavi con i creatori simile a quella di YouTube. Instagram, stessa famiglia, ha da poco allungato la durata dei filmati e cominciato a venderli (a peso d’oro) ai pubblicitari. Twitter ha investito sui mini video di Vine e sul live di Periscope, assicurandosi i diritti di trasmissione di alcune partite del football Nfl. Per finire con la variabile impazzita Snapchat, amatissima dai più giovani. Ambienti più "social" di YouTube. Molti, a differenza del Tubo, nati per il mobile, dove la gran parte del consumo si sta spostando. Con una efficacia degli spot maggiore, ma anche stili, formati e metriche tutti da ripensare per il piccolissimo schermo. Gli youtubers devono muoversi su tutte queste piattaforme. "Snapchat permette di comunicare in modo semplice e diretto. Per le dirette uso Periscope", dice Alice Venturi, 26 anni, che come AlicelikeAudrey "vlogga" di trucchi, cucina e di tutto un po’. "Su Youtube faccio dei video di qualità maggiore, per un target più adulto, che è quello che interessa a molte aziende". Negli ultimi tempi YouTube ha lavorato parecchio sul live, introducendo le dirette a 360 gradi, e per rendere più intuitivo l’utilizzo da mobile, per esempio inserendo una funzione che permette di linkare i video sui social senza uscire dall’applicazione. Ma se si parla di contenuti è sempre quella parola, "qualità", a tornare. Vanno lette così le partnership di divisione dei ricavi con emittenti come Mediaset (dopo lunghe battaglie legali) o studi di animazione come Rainbow, la casa delle fatine Winx. A loro viene offerto Content Id, un sistema automatico che segnala i contenuti piratati, e permette di scegliere se cancellarli dalla Rete o monetizzarli. Anche Facebook lo sta per introdurre, dopo le proteste di molti youtubers per i video postati senza autorizzazione sul social network: "Le altre piattaforme le utilizziamo per agganciare gli utenti e rimandarli verso il contenuto principale, che è quasi sempre su YouTube", spiega Luca Leoni di Show Reel. "Youtube è sempre di più il "grande schermo" ". Broadcast yourself? I tempi cambiano.