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 2016  giugno 08 Mercoledì calendario

INTERVISTA A ENRICO RUGGERO

Roma, giugno
Duro e tosto come il sound del suo primo gruppo musicale, gli Josafat. Irregolare e punk come i Decibel, la band che gli ha regalato le prime soddisfazioni professionali. Dark come la sua voce, malinconico come il mare d’inverno. Enrico come Ruggeri, tanta è la somiglianza tra l’uomo e l’artista. In quanto a narcisismo, Ruggeri come D’Annunzio, scriviamo noi. Accostamento che il cantautore immaginiamo apprezzerà, considerata la sua inaspettata e plateale passione per il Vate: il videoclip di Il Volo su Vienna, il secondo singolo estratto dall’ultimo album, è stato girato al Vittoriale degli italiani di Gardone Riviera. Non solo: Ruggeri ha voluto scrivere di suo pugno un editoriale, con suggestive varianti sul tema, pubblicato in prima pagina su Il Giornale.
«Quelli della mia generazione», scrive sul quotidiano diretto da Alessandro Sallusti, «D’Annunzio non potevano certo conoscerlo a scuola: i banchi di un liceo come il mio, il Berchet di Milano, erano testimoni di altri indottrinamenti. I professori seguivano un programma ben preciso: quello di creare una generazione di giornalisti, magistrati, uomini di potere che instaurassero negli anni a venire una dittatura culturale che avrebbe dato i suoi frutti».
«Dittatura culturale» da cui Ruggeri non solo si è sottratto con stimabile coraggio, ma che ha anche onestamente combattuto pagando, molto spesso, il prezzo di essere relegato come un’artista di destra dagli opinion leader della sinistra da salotto. Quindi, fuori dal coro. Quindi, «non uno di noi». Quindi, non uno di loro (intendendo per loro Quelli che… stanno sempre dalla parte giusta o meglio Quelli che… dal Pci sono passati al Pds, poi ai Ds, per poi sbarcare nel Pd, con e malgrado Renzi).
Sei tornato a rileggere D’Annunzio perché tra gli intellettuali italiani di oggi nessuno ti convince?
«A molti piacerebbe essere come D’Annunzio, ma è difficile. Alcuni ne hanno emulato la dimensione istrionico-mediatica, non di certo lo spessore del contenuto. Purtroppo, oggi la televisione stravolge tutto, pure il pensiero. Prendi Mughini: è un intellettuale che ha scritto molti libri, ma rischia di passare alla storia come quello che rivuole indietro lo scudetto del 2006. Per la gente Mughini è quello che parla di calcio e Morgan è il giudice di X Factor: questo è il motivo per cui io vado in tv e poi non ci torno. Perché ti accorgi che l’unica cosa che la gente conosce e si ricorda è quello che fa quando vai in tv. Oggi è più facile fare il D’Annunzio negli atteggiamenti, anche se poi c’è sempre qualcuno pronto a scavalcarti sia nei modi che nei toni».
Ti consideri più o meno narciso rispetto al Vate?
«Decisamente meno, anche perché lui, a differenza di me, poteva permetterselo. Lui era la star, in assoluto. Ma come per tutti quelli che decidono di scrivere canzoni, andare sul palco a cantarle e che godono del fatto che la gente sotto il palco le canti insieme a te, io vivo da sempre un bel sogno».
Il tuo tuo ultimo album si chiama Un viaggio incredibile. Non mi dire che ti sei messo a fare il nostalgico anche tu, Ruggeri. Sei un artista così giovane e già tracci bilanci della tua carriera?
«Nessun bilancio, è solo che la nostalgia è sempre stata uno degli ingredienti fondamentali della mia scrittura, anche se in questo disco c’è uno sguardo agli altri che io chiamo di pietas. Ho sempre guardato con interesse al mio prossimo, anche se francamente non lo amo come me stesso. Diciamo che mi interessa».
Hai scritto canzoni, le hai cantate, hai vinto Sanremo, condotto trasmissioni tv, pubblicato libri e perfino poesie. Che vuoi fare da grande?
«Quello che già faccio: raccontare storie. Mi diverto a mostrare al mio prossimo che il mondo è più interessante di come spesso ci viene raccontato. Lo faccio principalmente con le canzoni e con le tournée, ma anche con i libri, con la radio e con la tv. Diciamo che faccio delle cose, tante cose, perché mi viene naturale narrare storie».
A proposito di tv. Sei stato giudice a X Factor. Se avessi oggi 18 anni, parteciperesti a un talent?
«Probabilmente sì, ma verrei eliminato e farei il clochard. Anche se probabilmente, oggi, verrebbero eliminati anche De Gregori, Vasco Rossi, Ligabue, Paolo Conte, Fossati, Battiato, Gaber e Jannacci. Verrebbero eliminati tutti».
Mi stai dicendo che i talent non sanno riconoscere il talento di chi ha qualcosa da dire o da trasmettere?
«No, assolutamente. Non dico questo. Dico che nei talent si tende a premiare e valorizzare chi canta meglio. Quello, del resto, ti viene richiesto dal programma. Poi, in realtà, se guardi la storia della musica italiana, quelli che sono andati lontano e ancora resistono, non sono quelli che cantavano meglio ma quelli che avevano più cose da dire, ognuno con il suo codice e con la sua cifra stilistica. La gente va a vedere Vasco Rossi a San Siro non per il bel canto. Va ad ascoltare Vasco perché si riconosce in quello che dice e che scrive. E questo vale per tutti quelli che riempiono i teatri e i palazzetti. Vale per me, vale per Paolo Conte, valeva per Jannacci e valeva per Gaber».
La Milano di Gaber e Jannacci oramai è solo un bellissimo ricordo. Ora c’è quella di Expo fresca di voto...
«Milano è esplosa, non so per merito di chi o forse per merito di tutti. È diventa un bel salotto. Hanno rifatto la Darsena, tutta la zona di corso Como, è una città più europea rispetto a cinque anni fa. Speriamo che il nuovo sindaco prosegua in questa direzione».
Avresti potuto candidarti anche tu, visto che va tanto di moda la società civile.
«Me lo hanno chiesto un po’ tutti, ma io non sono un politico. Non mi sarei trovato a mio agio e poi non è il mio mestiere. È una cosa seria occuparsi dei propri concittadini, no?».
Grillo, Berlusconi e Renzi. Chi è il meno peggio?
«Ognuno è lo specchio di un periodo. Berlusconi è lo specchio di un periodo che non c’è più, Grillo e Renzi di questo. In realtà tutti i nostri politici sono come noi uomini quando corteggiamo una donna: siamo bravissimi a fare la campagna elettorale, un po’ meno bravi quando una donna ci affida l’incarico. Noi italiani, del resto, siamo degli ottimi promotori di noi stessi».
Ruggeri, facciamo coming out: lei è di destra?
«Non devo fare nessun coming out perché non credo nelle divisioni o negli steccati politici. Non hanno più senso. La penso così: tu mi chiedi una cosa e io di volta in volta ti rispondo sul tema in questione. Per esempio: se mi chiedi cosa ne penso del sistema carcerario italiano o cosa ne penso della battaglia sui diritti civili, ti rispondo che mi sono impegnato al fianco dell’ex terrorista Sergio D’Elia e di Marco Pannella in Nessuno Tocchi Caino. Purtroppo oggi si discute più di persone che di programmi e questo è un limite evidente della politica italiana. Se voti a destra, non voti a destra, ma voti per mandare a casa Renzi: per anni la gente che ha votato a sinistra lo ha fatto, anche se non soprattutto, per mandare a casa Berlusconi. Non è un modo né sano né giusto di approcciarsi alla politica. Poi, se devo dirla tutta, dare una scheda a ogni persona è sbagliato: tu non puoi dare la stessa scheda a un cretino e a uno intelligente. Non siamo tutti uguali, così non può funzionare».
Cito un passaggio di una tua canzone: «Adoro mettermi nei guai». Ti capita ancora?
«Certo. Alla fine i guai sono le cose più divertenti della vita».
Che rapporto hai con la morte?
«Brutto, comincio a pensare di avere in testa più progetti rispetto al tempo che avrò a disposizione per realizzarli. Non a caso non vado mai in vacanza: ho un rapporto compulsivo con il lavoro. Mi fa sentire sempre vivo. Mi chiedo: come faccio ad andare in vacanza da ciò che mi fa stare meglio?».
All’ultimo Festival di Sanremo hai cantato il tuo primo amore. Credi nell’amore eterno?
«Al giorno d’oggi è più difficile. L’amore eterno implica una dose di sopportazione molto alta. Non c’è più l’idea di cambiare e invecchiare insieme. La gente vuole essere stimolata: viviamo in una società dove devi buttare via tutto per andare avanti. Tutta la società è basata sul buttare e ricambiare, e inevitabilmente anche l’amore».
E tu, in amore, hai buttato via qualcosa?
«Io non butto niente. Per mia fortuna ho un rapporto con una persona che stimo molto, ma che non vedo tutti i giorni. In amore è fondamentale non vedersi quotidianamente».
Quindi l’unico tuo amore eterno si chiama Inter?
«Sì. Il calcio, per noi uomini, è il pretesto per tenere vivo il bambino che c’è in noi: è il tributo che paghiamo alla nostra infanzia».