Giacomo Fasola, Style, Corriere della Sera 6/2016, 7 giugno 2016
IL CONFLITTO DEI SESSI
Che poi, alla fine, le parole sciagurate di Raymond Moore rischiano addirittura di fare del bene alla battaglia per la parità di genere nello sport. Perché altrimenti c’era il rischio di dimenticarsi che, in ambito sportivo, la distanza fra uomini e donne è scandalosamente grande: più che in altri ambiti della società.
Ricapitoliamo. Lo scorso marzo, durante Indian Wells, l’ormai ex direttore del torneo Moore dice: «Se fossi una tennista mi inginocchierei ogni sera e ringrazierei Dio che Roger Federer e Rafa Nadal sono venuti al mondo, perché hanno trascinato questo sport». Il tutto condito da qualche commento sessista. Apriti cielo? Macché. Novak Djokovic, numero uno del tennis maschile, rincara la dose: «Dovremmo guadagnare più delle donne». Per comprendere la portata di queste dichiarazioni bisogna tornare al 1973. Quell’anno Billie Jean King, la più forte tennista dell’epoca, fa tre cose che rimarranno nella storia. Sconfigge l’ex campione Bobby Riggs, uno convinto che le giocatrici siano una «razza inferiore»: la partita, ribattezzata «battaglia dei sessi», viene seguita in diretta tv da 50 milioni di persone. Inoltre, fonda il circuito Wta e pretende che lo Us Open equipari i premi femminili a quelli maschili.
Oggi il tennis è una delle poche discipline in cui le donne guadagnano (quasi) come gli uomini. Altrove, l’uguaglianza è un miraggio. Le calciatrici Usa, forti di quattro ori olimpici e tre Mondiali, hanno trascinato la federazione davanti alla Commissione per le pari opportunità: «Il trattamento è sbilanciato a tutti i livelli: strutture, alberghi, voli. L’impegno, però, è lo stesso» dice il portiere Hope Solo. Ne abbiamo parlato con Billie King, che da mezzo secolo si batte per la parità.
Le dichiarazioni di Moore l’hanno stupita?
«Per niente! Ray ha detto a voce alta quello che tanti altri uomini pensano. Magari non ammettono pubblicamente... Ma è quello che si dicono quando sono fra di loro, negli spogliatoi».
Sta dicendo che tutti i giocatori sono d’accordo con quelle frasi?
«Non credo. Le nuove generazioni sono meglio di quelle vecchie. Andy Murray e Stan Wawrinka, ad esempio, si sono dimostrati molto sensibili su questo tema. Anche perché hanno delle figlie».
Ha parlato con Djokovic dopo Indian Wells?
«Abbiamo fatto una lunga chiacchierata sullo sport, le donne e tante altre cose. La questione che è stata sollevata non riguarda solo i soldi e il tennis: il punto vero è se le ragazze possano avere le stesse opportunità dei ragazzi, oppure no».
Cosa vi siete detti?
«Gli ho spiegato che il mondo sarebbe un posto migliore se ci fosse più uguaglianza, e che lui può fare tanto per cambiare le cose. Novak allora mi ha raccontato della sua prima allenatrice, che gli ha trasmesso la passione per lo sport. È una persona intelligente, mi ha fatto un’ottima impressione».
Nel tennis le donne hanno raggiunto la parità economica, o quasi: come ci siete riuscite?
«Sin dagli anni Settanta abbiamo cominciato a lottare per l’uguaglianza. Con un paio di obiettivi ben chiari in testa: mettere a disposizione delle ragazze le strutture per allenarsi e permettere loro, se capaci, di mantenersi con lo sport».
In altre discipline la parità è lontana. Il caso del soccer Usa è paradossale: pur avendo più seguito, il calcio femminile ha meno finanziamenti...
«I fondi sono distribuiti in maniera diseguale:100 agli uomini e 20 alle donne. Ma non è un problema solo americano. In Italia com’è la situazione?».
Il calcio femminile è ancora al livello dilettantistico.
«Non va bene. Quello che manca alle atlete, spesso, è la mentalità imprenditoriale. Se sei o un campione dello sport puoi permetterti agenti e avvocati: le donne, invece, devono fare da sole. Ai tempi della Wta mi presentavo sempre al tavolo delle trattative con qualcosa da offrire. Se hai gli sponsor e i soldi, è molto più difficile che ti rispondano di no».
Avere più donne nelle posizioni chiave aiuterebbe?
«È quello che ho detto a Gianni Infantino, il presidente della Fifa. Oggi nel board ci sono tre donne su 26: per cambiare davvero le cose dovrebbero essere almeno il 30 per cento. Il calcio femminile ha enormi potenzialità di crescita ed è un ottimo momento per spingere su questo fronte, perché la reputazione della Fifa è ai minimi».
Chi sono le sportive più influenti degli ultimi anni?
«Venus e Serena Williams nel tennis. Nel calcio Julie Foudy, ex giocatrice della Nazionale e poi presidente della Women’s Sport Foundation. Penso anche a Danica Patrick, che ha avuto successo in uno sport maschile come l’automobilismo. Il suo esempio è stato importante, anche se non so quanto le importi la causa femminile: alcuni atleti sono interessati solo alle prestazioni e ai guadagni».
Le diseguaglianze riguardano tutti gli ambiti della società. In che modo può contribuire lo sport?
«I campioni possono essere d’ispirazione per i giovani. Ne ho parlato anche con il vostro premier, come si chiama... Matteo Renzi. Ci siamo incontrati all’ultima finale dello Us Open tra Flavia Pennetta e Roberta Vinci. Era volato a New York apposta per la partita e secondo me ha fatto benissimo, perché si è trattato di un evento importantissimo per il vostro Paese: grazie a Pennetta e Vinci, ora tutte le ragazze italiane possono sognare di arrivare fin lì».
Hillary Clinton potrebbe diventare presidente degli Usa. Una sua vittoria farebbe la differenza?
«Certo! Ho anche fatto campagna per lei in Iowa e New Hampshire. Ogni volta che emerge la figura di una leader, come fu Margareth Thatcher e come Angela Merkel, è positivo. Tutte le ragazze devono poter ambire a diventare primo ministro... In Italia c’è mai stata un presidente donna?».