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 2016  giugno 03 Venerdì calendario

VIA COL VENTO


Era il 30 giugno 1936 quando Via col vento uscì negli Stati Uniti: la New York Times Book Review gli dedicò tutta la prima pagina; il New Yorker lo consacrò come «capolavoro d’evasione»; il NewYork Sun arrivò a paragonare l’autrice Margaret Mitchell a Tolstoj, Dickens eThomas Hardy. In due settimane il romanzo svettò in cima alle classifiche, divenne il regalo per eccellenza (nell’imbarcarsi per l’Europa, una signora ne ricevette nove copie) e finì per monopolizzare qualsiasi conversazione: chi non lo aveva letto era out, non coglieva le battute, veniva snobbato. Chi non poteva permetterselo lo acquistava a metà con altri. E a un mese dall’uscita, erano già state stampate 200 mila copie; ceduti i diritti cinematografici; e gli editori di tutto il mondo si contendevano i diritti di traduzione.
Oggi che Via col vento compie 80 anni, il bilancio è di 30 milioni di copie vendute in 42 Paesi (tradotto in 38 lingue). Mentre il film vanta otto Oscar e il record assoluto di spettatori, con un incasso al botteghino di quasi un miliardo 800 milioni di euro. Ora, ad aprire le celebrazioni dell’anniversario, tra il 17 e il 19 giugno, si ritroveranno nei luoghi del romanzo, ad Atlanta e dintorni, sia i biografi dell’autrice e degli attori del film, sia i discendenti dei maestri che resero indimenticabile la versione di celluloide: dal figlio di David Selznick, ardito e ingegnoso produttore indipendente che batté le major di Hollywood nell’aggiudicarsi i diritti per il grande schermo, al nipote di William Menzies, il geniale scenografo che ricreò l’incendio di Atlanta dando fuoco ai fondali avanzati dal
set di King Kong e altri colossal.
Era una giornalista in panchina Margaret Mitchell nell’estate del ’36, quando di colpo (a 36 anni) diventò una delle donne più famose d’America. E pensare che non avrebbe mai voluto pubblicare quel libro... Tutto iniziò quando un incidente alla caviglia la costrinse per mesi a casa, ad annoiarsi e divorare romanzi. Finché il marito non scherzò: li hai letti tutti i libri disponibili, perché non ne scrivi uno tu? E lei che aveva passato l’infanzia ad ascoltare racconti sulla guerra di Secessione e il tramonto del mondo sudista, delineò una trama. Iniziò a scriverla partendo dall’ultimo capitolo, da quel finale aperto: Rossella riconquisterà Rhett? «... domani è un altro giorno». Per poi procedere a ritroso, saltabeccando qua e là lungo la trama. Man mano che finiva i capitoli, li riponeva in buste separate, che si accumulavano ovunque. Ci lavorò nove anni, parlandone solo con il marito: se qualcuno la andava a trovare, nascondeva carte e macchina da scrivere.
Ad allertare la casa editrice Macmillan a caccia di manoscritti fu una sua amica: ci volle parecchio a convincere Margaret a cedere quelle buste non numerate, colme di fogli corretti a mano. Ma bastò scorrerli per capire che erano oro. Alla firma del contratto, nel ’35, seguirono dieci mesi di riscrittura, tagli, controllo meticoloso delle fonti storiche. Un inferno di lavoro giorno e notte. A forza di sforbiciare si arrivò a 1.037 pagine. Mentre l’editore incalzava e montava il bestseller eccitando i giornalisti, scatenando la curiosità degli editori stranieri, alimentando le aspettative del pubblico senza svelare nulla.
Ostacolo: l’esausta e ritrosa Margaret si rifiutò di partecipare al battage. Un peccato: era carina, brillante, spiritosa. Tant’è che centinaia di articoli uscirono su di lei (a libro inedito) senza un’intervista. Ma la scrittrice non si montò la testa. Neanche quando iniziò a muoversi l’imponente ingranaggio cinematografico. A partire dalla sceneggiatura, cui misero mano decine di scrittori, compreso Francis Scott Fitzgerald: non era facile sintetizzare efficacemente un migliaio di pagine. Tra le modifiche, l’eliminazione della parola «negro» e di un episodio sul Ku Klux Klan, che avevano scatenato polemiche sui media afroamericani. Mentre la regia veniva inizialmente affidata a George Cukor, poi passata a Victor Fleming, quindi a Sam Wood, per tornare a Fleming. Il problema era il maniacale perfezionismo di Selznick, che pretese perfino che le sottogonne nascoste delle dame fossero di vero pizzo. Ma a magnetizzare il pubblico fu soprattutto il casting. Più di mille attrici e starlette furono vagliate per la parte di Rossella: Bette Davis, Katharine Hepburn, Joan Crawford, Lana Turner, ma anche ogni «Miss Non so che» d’America... La selezione diventò un’ossessione nazionale. Mentre nei panni di Rhett il pubblico chiedeva all’unanimità Clark Gable, che però non era affatto interessato alla parte: a convincerlo, un cachet astronomico di 160 mila dollari (più 50 mila di buonuscita alla moglie, da cui voleva divorziare per sposare Carole Lombard).
Di fatto, dopo due anni di preparativi, Selznick aveva già speso 400 mila dollari. Fu a riprese appena iniziate, nel gennaio del ’39, mentre si girava la scena di Atlanta in fiamme con controfigure, che gli fu presentata Vivien Leigh, inglese giunta in America al seguito del suo ultimo amore, Laurence Olivier. Bastò un provino per evidenziare in lei una vitalità ineguagliabile: ambiziosa, determinata, manipolatrice, era la Rossella ideale. Seguirono ore di corsi di dizione perché acquisisse l’accento sudista; le si vietò di convivere con Olivier per non intaccare l’immagine della bellezza vergine. Finì per essere quasi sempre in scena per un compenso di appena 30 mila dollari.
La prima di Via col vento fu ad Atlanta il 15 dicembre 1939 – dichiarato festa nazionale – alla presenza delle star. Un milione di persone, perfino Rockefeller, Astor, Vanderbilt, arrivarono in città per i tre giorni ininterrotti di celebrazioni. Solo lì si ignorava che nel frattempo era scoppiata la Seconda guerra mondiale.
Antonella Barina