Luca Gialanella, La Gazzetta dello Sport 7/6/2016, 7 giugno 2016
BASSO: «COSI’ STUDIO DA MANAGER» – «Ivan, ma divide ancora la stanza con Contador?». «No, però anche quest’anno sono stato più con lui che con la mia famiglia
BASSO: «COSI’ STUDIO DA MANAGER» – «Ivan, ma divide ancora la stanza con Contador?». «No, però anche quest’anno sono stato più con lui che con la mia famiglia. Tutte le corse insieme, dall’Algarve ai Paesi Baschi, più due lunghi ritiri sul Teide. E’ come se mi fossi preparato anch’io per il Tour». Ivan Basso, un anno dopo. Torna in Francia dopo l’annuncio-choc per il tumore al testicolo. In questi giorni è in Alta Savoia al Giro del Delfinato, dall’ammiraglia della Tinkoff sta guidando Alberto Contador leader in maglia gialla. Poi dal 29 giugno sarà alla Grande Boucle, il sogno rimasto irrealizzato da corridore. Il varesino è alle prime stazioni del suo programma di studio da dirigente sportivo. Con la stessa meticolosità e attenzione di sempre. Dalla bici alla scrivania. Ivan, qual è il suo principio? «La credibilità. Cercare di essere credibile, sempre. Io mi sono voluto spogliare di tutti i privilegi che avevo avuto da corridore, venivo da una carriera di predestinato, dove tutti facevano tutto per te, e mi sono immerso in questa sfida: aiutare i corridori, lavorare sui conflitti e sui problemi degli altri» Come sono i corridori? «Hanno sempre qualcosa da raccontare, da dire. Il corridore non è solo un file con i numeri. E tu devi preparare i singoli per migliorare il collettivo». Va ancora in bici? «Diciamo che con Contador vado in bici quando fanno l’uscita-caffé, un’ora e mezza a una velocità alla quale puoi chiacchierare. Altrimenti li seguo in moto. A casa, mi divido tra bici e corsa a piedi. Ho parlato con Cassani, mi ha spiegato tutto, è diventato il mio c.t. per la corsa a piedi. Io sono uomo di sport, mi alzo presto, verso le 6, e vado a correre per 40-50’». Contador la aiuta nel suo nuovo ruolo di dirigente? «Molto. Il mio ruolo è aiutare e valorizzare gli altri corridori, ma Alberto è l’esempio da seguire per tutti. La sua motivazione e il suo modo di fare sono unici. Se migliori i singoli, migliori il collettivo. Sa qual è stata la gioia più bella di questa stagione? La vittoria nella cronosquadre in Croazia con un team tutto di giovani, guidando 6 ragazzi che non avevano mai vinto. Ho percepito di aver dato qualcosa di mio. Nella cronosquadre vincono tutti, dall’autista al massaggiatore». Quale aspetto ancora non conosciamo di Contador? «La sensibilità nei confronti degli altri. Percepisce se qualche ragazzo ha bisogno di aiuto, Alberto è il primo ad andare da lui. Perché tu parli a uomini, non a macchine». Com’è il suo percorso da dirigente sportivo? «Da giovane, a scuola, mi sono sempre accontentato. Adesso a quasi 40 anni ho una gran voglia di studiare e di imparare. Sto costruendo il mio futuro». Ci racconti. «Ho iniziato in inverno con Arrigo Sacchi. Ho trovato un professore... Che piacere... mi ha accolto nel suo studio a Fusignano. Doveva essere solo un caffé e alla fine siamo rimasti insieme per tutto il pomeriggio. Pensate che io, giovane tifoso milanista, mi alzavo alle 4 do mattina per vedere le sue partite... Ogni cosa che diceva l’ho fatta mia». Immaginiamo i punti sui quali Sacchi ha insistito... «Il collettivo, “devi credere nel collettivo”, mi diceva, e “devi credere sempre nelle tue idee e portarle avanti, solo così puoi guadagnare in credibilità”. Poi Mauro Berruto, il filosofo del volley, ci siamo sentiti al telefono, anche in pochi minuti ti trasmette energia positiva, ha sempre qualcosa di bello da raccontarti. E poi Antonio Rossi, Mihajlovic, Montella. Otto mesi di studio». E l’Università Cattolica a Milano. «E’ un corso in management sociale per lo sport. Durerà un paio d’anni. E’ la psicologia applicata al gruppo. Unisco la mia professionalità alla didattica. Alcuni giorni frequento, altri leggo e studio. E qui torno al discorso di prima: la squadra è come un’impresa, se le risorse umane rendono al meglio, l’impresa va. Io so che cosa raccontare ai corridori prima di un tappone, ma mi servono le basi. Il ciclismo non è soltanto potenza di soglia e plicometria (misurazione del grasso, ndr), ma per tutta una vita io ho lottato con questi conflitti psicologici dei corridori e ora voglio aiutare i ragazzi. Ho visto ciclisti fortissimi staccarsi per primi in una cronosquadre, perché distrutti a livello psicologico. La tensione, l’ansia da prestazione, stai un mese a dieta e la plicometria non scende, mangi la pasta un po’ più salata e ti senti gonfio. Devo studiare, devo essere credibile quando parlo». Non ci sfugge che tutto questo è funzionale anche per trovare gli sponsor per una squadra. «Esatto. Quando vai a parlare dagli imprenditori, devi essere credibile. I soldi li trovi con la credibilità. Io promuovo il mio mondo, ho creato una rete di persone che, spero, apprezzino il mio modo di lavorare e siano pronte un giorno a investire. Io non sono un manager o un uomo di business, ma amo questo sport e ho una voglia sfrenata di fare qualcosa. E spero che un giorno qualcuno ci creda: perché quando incontri queste persone e vedi i loro occhi luccicare quando parli, sono felice. Gli occhi non mentono».