varie, 7 giugno 2016
Yamato, 7 anni, abbandonato in un bosco per punizione– Dopo sei giorni da solo nei boschi dell’isola di Hokkaido, la più settentrionale e selvaggia dell’arcipelago giapponese, venerdì scorso alle 7
Yamato, 7 anni, abbandonato in un bosco per punizione– Dopo sei giorni da solo nei boschi dell’isola di Hokkaido, la più settentrionale e selvaggia dell’arcipelago giapponese, venerdì scorso alle 7.50 Yamato Tanooka è stato ritrovato sano e salvo [1]. Yamato Tanooka è un bambino di sette anni che era stato abbandonato dai genitori come punizione per i troppi capricci nel corso della gita per raccogliere alcune piante commestibili in un bosco nei pressi di Nanae [1]. La vicenda era iniziata sabato 28 maggio, quando i genitori avevano dato l’allarme dicendo che il bambino si era perso mentre giocava tra gli alberi della foresta. Poche ore dopo però gli stessi genitori avevano ammesso di aver fatto scendere Yamato dall’auto perché si comportava male e lanciava sassi contro altri turisti e le loro auto. «Lo abbiamo lasciato solo per pochi minuti, dopo aver percorso 500 metri siamo tornati indietro ma lui non c’era più» [2]. Yamato al momento della scomparsa indossava solo un paio di calzoncini blu, una maglietta nera e delle scarpe rosse [2]. Nella zona, disabitata e montuosa, ci sono orsi e si è temuto che il bambino fosse stato sbranato. Nelle ricerche sono stati impegnati 200 militari e agenti di polizia che, dopo sei giorni, ormai avevano perso le speranze di trovarlo vivo. Molti soccorritori erano stati richiamati [1]. Yamato ha poi raccontato di essersi inizialmente nascosto per vendetta contro i genitori: «Mi sono infilato in un buco perché dovevano capire cos’è il terrore. Poi ho temuto un altro castigo» [3]. Yamato si è quindi messo in cammino. Dopo aver percorso cinque chilometri ha trovato una base militare vuota: è lì che è stato in questi giorni, dormendo tra i materassi dei dormitori e bevendo da un rubinetto che è riuscito a trovare. Ma non ha mangiato nulla: un bene, secondo alcuni, perché molte delle erbe e delle radici nella zona sono velenose [1]. «Era lì, e si è identificato da solo», ha detto il soldato che l’ha ritrovato. «Era affamato e gli ho dato la mia razione: pane, palline di riso e acqua» [3]. Guido Santevecchi: «Le televisioni e le radio giapponesi hanno seguito la vicenda per giorni, con aggiornamenti continui e sempre più pessimisti. Sembrava impossibile che un bambino di sette anni potesse sopravvivere per quasi una settimana in quell’ambiente ostile dove la temperatura di notte scende a -6 gradi e in questi giorni ha piovuto molto» [2]. «Ho fatto soffrire Yamato per il mio comportamento eccessivo. Ho causato problemi a molte persone. Mi scuso profondamente». Sono state queste le prime parole del padre di Yamato Tanooka, 44 anni, qualche ora dopo il ritrovamento del figlio. Negli ultimi sei giorni la stampa internazionale ha avuto solo una domanda: come possono due genitori lasciare un bambino di sette anni da solo nel bosco, anche per soli cinque minuti? È giusto che una punizione sia così esemplare da finire col mettere a rischio la vita di un bambino? [4]. Giulia Pompili: «Alcuni commentatori hanno cercato una risposta nella disciplina giapponese, nella cultura di un Paese dove a sette anni i bambini sono considerati già abbastanza indipendenti per andare e tornare da scuola da soli, dove il rispetto delle regole dell’etichetta e l’impegno nello studio sono considerate le condizioni necessarie per crescere i figli. In un qualunque Paese occidentale, i genitori di Yamato oggi sarebbero indagati per abbandono di minore. In Giappone hanno dovuto subire il public shame. Perché il Paese del Sol Levante non è più quello di trent’anni fa. Il retaggio della tradizione esiste ancora, eppure da qualche anno il taibatsu, la punizione corporale come metodo d’insegnamento nelle scuole e nello sport, è unanimemente condannato» [4]. Per Massimo Gramellini «in un Paese mediterraneo un genitore moderno avrebbe difeso la creatura dalle vittime della sassaiola (“quante storie, è solo un bambino”) e spiegato al sangue del suo sangue che i sassi vanno tirati senza farsi beccare. Eppure fra i due estremi è ancora preferibile il nostro. Ogni punizione inferta a qualcuno, e in particolare a un bambino, comporta una perdita di umanità. La si sacrifica in nome di qualche valore che si ritiene preminente in quella circostanza: l’educazione alla disciplina, la formazione del carattere, il rispetto delle regole. Ma esiste un limite insuperabile: la punizione non può mettere in pericolo il punito. Il senso profondo dell’essere genitori è la protezione dei figli. Se li metti in pericolo, non sei un genitore. Sei un fanatico. E magari questo spiega anche perché tuo figlio tira sassi alle auto» [5]. Renata Pisu: «In Giappone si tende ancora, assai spesso, a considerare i bambini come proprietà della famiglia, non come soggetti di diritti , anche se forse non c’è paese al mondo in cui siano più viziati e coccolati, almeno fino a quando raggiungono l’età in cui li si obbliga a comportarsi da veri uomini, che è intorno ai sette anni, tanti ne ha appena compiuti Yamato Tanooka» [6]. «C’è un altro aspetto, però, che è stato messo poco in luce di questa vicenda. Yamato, un nome che in Giappone è significativo, perché riguarda i miti ancestrali e la vita di Yamato Takeru, il più antico eroe giapponese, è sopravvissuto sei giorni aspettando pazientemente in un bivacco dell’esercito. Ha bevuto l’acqua, si è coperto dal freddo, come ha imparato durante le esercitazioni in caso di catastrofi naturali. Sopravvivere alla natura. Anche questo fa parte della disciplina nipponica, dell’educazione dei bambini giapponesi: si chiama resilienza» (Giulia Pompili) [5]. (a cura di Luca D’Ammando) Note: [1] Cecilia Attanasio Ghezzi, il Fatto Quotidiano 4/6; [2] Guido Santevecchi, Corriere.it 3/6; [3] Michelangelo Cocco, Il Messaggero 3/6; [4] Giulia Pompili, il Giornale 4/6; [5] Massimo Gramellini, La Stampa 31/5; [6] Renata Pisu, la Repubblica 4/6.