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 2016  giugno 05 Domenica calendario

CANI DA GUARDIA

Nella lunga e ricca intervista che Salvatore Merlo del Foglio ha fatto a Carlo De Benedetti, quest’ultimo a un certo punto spiega che cosa sia secondo lui il suo quotidiano, Repubblica.

«Il severo e talvolta impietoso “watch dog” del potere. Ricordiamoci che Repubblica è stata contro un certo modo d’essere democristiani, poi è stata contro Craxi, in fine è stata contro Berlusconi. E’ il giornale che ha denunciato, in tutte le sue forme, il disprezzo di Berlusconi per ogni regola istituzionale. Guardi, Repubblica è sinonimo di battaglia politica e civile».

Mi è rimasta in testa tutto il giorno quell’espressione, “watch dog”, un modo di dire antico e da tempo esportato come si vede anche fuori dalla lingua inglese; che ormai è tanto comune da generare la stessa reazione di molte altre frasi fatte o cliché: che uno non pensa più al suo significato reale, ma solo a quello metaforico.
Infatti ci ho messo qualche ora a realizzare che se “watch dog” significa cane da guardia, allora il suo uso metaforico deve aver compiuto uno scarto, a un certo punto. Un cane da guardia infatti sorveglia qualcosa da eventuali malintenzionati (che non riesce sempre a distinguere benissimo, come sanno i postini). Quindi, in questo caso, il “cane da guardia del potere” può essere due cose: o un cane che protegge il potere dai malintenzionati – ma escluderei che De Benedetti, e gli altri utenti del modo di dire in ambito giornalistico, intendano questo -, o un cane che protegge qualcosa dal potere, il quale potere è quindi il malintenzionato (rimuoviamo qui i dubbi sul diffuso uso generico e demagogico della parola “potere”).
In realtà, ora che ci riflettiamo, non è a nessuna delle due cose che ci si riferisce quando si dice così: quello che si vuol dire è che un giornale, o il giornalismo in genere, deve essere una specie di sorvegliante nei confronti di qualcuno: di secondino nel peggiore dei casi, di guida e controllore nel migliore. Bada al singolo ladro (tant’è vero che lo ha già individuato, “il potere”), non alla potenziale refurtiva. Non è lì per impedire un attacco di nemici esterni, ma per tenere a bada che nessuno all’interno si comporti male. Non è un cane da guardia, ma piuttosto una via di mezzo tra un cane da cieco e uno di quei cani usati per intimorire i prigionieri: insomma, non è la metafora giusta – volendo rimanere nello stesso ambito, forse “tenere al guinzaglio il potere” avrebbe più senso – ma evidentemente a qualche punto della storia qualcuno l’ha introdotta e poi nessuno si è più fatto domande.
Anche perché per fare il cane da guardia, devi avere avuto un’investitura: qualcuno ti deve avere mostrato la casa e averti detto “bada che nessuno la tocchi”: un giornale che si vede “watch dog” invece si nomina protettore di un’idea arbitraria di bene comune dagli attacchi del “potere” (che viene descritto malintenzionato e malfattore per definizione). Con due rischi. Il primo è quello che riguarda ogni ruolo poliziesco: di vedere ovunque il male e dare per scontato di essere il bene (un giornale “sinonimo di battaglia politica e civile” difficilmente aiuterà a capire il mondo). Il secondo è di trasformarsi esso stesso – molto più pretestuosamente del potere politico, che almeno è legittimato democraticamente – in un potere assai maggiore: come sanno i postini, che la posta la devono consegnare. È infatti abbastanza indiscutibile che – viste le sorti recenti delle nostre classi politiche – le nostre classi editoriali e giornalistiche abbiano dimostrato di essere molto più immuni a essere messe in discussione o sotto accusa, o a prendersi responsabilità o rischi. L’impressione – a leggere autocelebrazioni come queste – è di un potere che si pensi dobermann, più che pastore.