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 2016  giugno 03 Venerdì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - DOMANI LE ELEZIONI COMUNALI ROMA MILANO NAPOLI TORINO BOLOGNA TRIESTE CAGLIARI REPUBBLICA

APPUNTI PER GAZZETTA - DOMANI LE ELEZIONI COMUNALI ROMA MILANO NAPOLI TORINO BOLOGNA TRIESTE CAGLIARI REPUBBLICA.IT ROMA - "Domenica si vota per le città, per i sindaci. La partita vera per il governo la giocheremo a ottobre con il referendum". Matteo Renzi tiene distinti i due piani - le comunali da un lato e la consultazione referendaria per la riforma costituzionale dall’altro - parlando a Napoli dalla Mostra D’Oltremare in sostegno della candidata del Pd Valeria Valente, in uno dei pochi appuntamenti in grandi spazi. Oggi, infatti, è la giornata di chiusura della campagna elettorale nelle principali città italiane, dove si voterà domenica per il rinnovo delle amministrazioni comunali. Un finale in verità un po’ sotto tono, anche se l’obiettivo è convicere i milioni di indecisi. Tranne pochissimi casi come Virginia Raggi a Roma, i candidati infatti hanno evitato il classico comizio finale in una grande piazza cittadina, al quale sono stati preferiti incontri con cittadini in luoghi più ristretti. Scendono in campo in ogni caso i leader nazionali, come Matteo Renzi che già questa mattina è stato a Napoli e poi è volato in Emilia Romagna. Silvio Berlusconi è andato a Ostia per Alfio Marchini, mentre salta l’appuntamento di Milano per Stefano Parisi, dove, invece c’è Matteo Salvini. LO SPECIALE: ELEZIONI COMUNALI, TUTTO SU LISTE E CANDIDATI Il tour dei leader. Renzi dopo Napoli è arrivato a Bologna, accanto al governatore Bonaccini, e quindi a Rimini e Ravenna. Silvio Berlusconi nel tardo pomeriggio è arrivato a Ostia, per la chiusura della campagna di Alfio Marchini. Il leader di Forza Italia salta l’appuntamento a Milano (si collega solo telefonicamente con lo Store Replay), dove invece c’è Matteo Salvini, nell’evento di chiusura della campagna di Stefano Parisi. Il leader della Lega, che aveva in programma un altro tour, lo ha modificato proprio per essere accanto all’ex Cavaliere con Parisi, ma i programmi sono cambiati di nuovo, hanno confermato fonti all’interno del partito dell’ex Cavaliere. Roma. Nella caccia al voto, che determinerà la vittoria o la sconfitta di diversi candidati, nonché molti ballottaggi, a cimentarsi nel comizio finale è Virginia Raggi, che chiude in piazza del Popolo, assieme a Dario Fo, Fiorella Mannoia e Claudio Santamaria, con un possibile videomessaggio di Beppe Grillo. Una scelta coraggiosa dato che la piazza per essere riempita richiede 30 mila persone. Roberto Giachetti, in sella alla sua moto, fa una chiusura itinerante toccando dieci piazze, per lo più in periferia, da Casalotti alle 10 fino a borgata Finocchio alle 20:30, con una festa finale all’Ex Dogana, a San Lorenzo. Periferie anche per Alfio Marchini, appunto ad Ostia con Berlusconi e diversi artisti. Giorgia Meloni, ha chiuso invece ieri pomeriggio a Tor Bella Monaca. Milano. Spazi chiusi anche a Milano. Parisi ha scelto il concept store della Replay, in piazza Gae Aulenti, vicino al trendy corso Como. Beppe Sala, ha invece optato per un lounge bar in zona Bicocca, periferia Nord. Torino. I tre candidati principali a Torino, il sindaco uscente Piero Fassino, la pentastellata Chiara Appendino e Osvaldo Napoli, chiudono anch’essi con il format dell’incontro con i cittadini, senza palco che crea distanza. Napoli. Il capoluogo partenopeo è in controtendenza. Oltre al comizio odierno di Valente con Renzi, hanno chiuso ieri con questo format anche il sindaco uscente Luigi De Magistris e Matteo Brambilla del M5s. Il primo ha posto il palco al lungomare Caracciolo, dove sono saliti molti artisti; il secondo, a piazza Matteotti, sostenuto dai leader nazionali del movimento Luigi Di Maio e Roberto Fico. Gianni Lettieri tiene questa sera ha programmato una serie di incontri in alcuni locali fino a notte fonda. Festival di Trento. Una ’coda’ di campagna elettorale, che probabilmente rinfocola ulteriormente il dibattito, è prevista al Festival dell’Economia di Trento con la presenza, nella giornata di sabato, della candidata sindaco M5S a Roma Virginia Raggi e quella, domenica mattina, del ministro delle Riforme Maria Elena Boschi. Entrambe parlano alla kermesse condotta dal presidente dell’Inps Tito Boeri a pochissime ore dal voto e con il silenzio elettorale in vigore, dando vita agli ultimi ’fuochi’ pre-voto ad un Festival caduto a ridosso delle tornate elettorali degli ultimi anni. TRIESTE "Tercovich non fa più parte del gruppo che mi sostiene. Chiedo di non esprimere preferenze per lui. Non ho il potere di espellere nessuno dal M5s ma posso dire che, per quanto mi riguarda, Fabio Tercovich non fa più parte del gruppo di persone, candidati e attivisti, che in questi mesi hanno sostenuto la mia candidatura a sindaco. Chiedo quindi esplicitamente di non esprimere alcuna preferenza nei suoi confronti al momento del voto". Inizia così il durissimo comunicato del candidato sindaco pentastellato al Comune di Trieste, Paolo Menis. Poche righe che arrivano dopo l’articolo di Repubblica.it sul collega del M5s Fabio Tercovich, dipendente della Regione e candidato anti-immigrati che propone di "sospendere ogni forma di aiuto umanitario a quei Paesi dai quali arriva questa marea di persone". Auspicando che l’Italia "dichiari lo stato di guerra a difesa dei confini marittimi". "Fabio Tercovich, con le sue reiterate esternazioni pubbliche, ha dimostrato di non rispettare l’impegno sottoscritto al momento della presentazione della richiesta di certificazione da parte del gruppo di attivisti che a Trieste sostiene la mia candidatura a sindaco della città: ovvero quello di sostenere e rispettare il programma elettorale - aggiunge Paolo Menis - Come ho già fatto, mi dissocio totalmente dalle sue dichiarazioni razziste. Si possono avere idee diverse sulla gestione dell’immigrazione del nostro paese ma mai deve mancare il rispetto di tutti gli essere umani e sempre ne deve essere difesa la dignità", sottolinea il candidato sindaco grillino. Va detto che le esternazioni di Tercovich non sono recenti: "Nel caso dei clandestini - scriveva il 30 maggio - più tolleriamo che entrino nel nostro Paese orde di semplici migranti economici africani che si spacciano per profughi di guerra, senza un permesso preventivo, anzi, mantenendoli, e più ne arriveranno in futuro, fino a raggiungere numeri incontrollabili e destabilizzanti per la nostra società". Ed eccone un altro, del 29 maggio: "Il principio deve essere quello secondo cui chi vuole entrare a casa di qualcun’altro (testuale, con apostrofo, ndr), deve, prima, chiedere il permesso, e solo dopo viene, eventualmente, accolto. A quanti cercano di entrare senza permesso preventivo andrebbe negato, a prescindere, ogni diritto all’accoglienza". Affermazioni che Tercovich non smentisce ma, anzi, rilancia sempre sulla sua pagina Facebook: "Il programma elettorale del M5s Trieste, sul tema - specifica ora Menis - prevede l’imposizione di un limite massimo al numero di richiedenti protezione internazionale accoglibili sul territorio, progetti per coinvolgerli in attività di volontariato a vantaggio della collettività e maggior trasparenza nella gestione delle risorse pubbliche. Tra l’altro Tercovich - conclude il candidato sindaco - pur avendone la possibilità nel corso di tutta la campagna elettorale e con diversi mezzi, non ha mai presentato osservazioni o richieste di modifiche al programma approvato da tutti i candidati del MoVimento 5 Stelle". I LEADER (dal CdS) RENZI C’ è chi dice che il premier abbia deciso di accelerare la campagna tambureggiante sul referendum costituzionale di ottobre perché i sondaggi indicavano tempesta sul fronte delle Amministrative. Ma i voti reali possono riservare sorprese, come è accaduto spesso in passato. Se il candidato a Roma Roberto Giachetti riuscisse a battersela alla pari (e addirittura prevalere) con Virginia Raggi sarebbe per Renzi un segnale vincente, una risalita nel luogo più difficile. Ma se perdesse il candidato Sala a Milano nel secondo turno, sponsorizzato e tenuto a battesimo con profusione di grande impegno, allora sarebbero guai seri. Come pure l’eventuale esclusione del Pd al ballottaggio contestualmente a Napoli e Roma: un danno d’immagine irreparabile. E un’occasione insperata per la sinistra pd, che aprirebbe sulla sconfitta di Renzi il suo congresso anticipato. Un po’ di apprensione a Torino. Ma il Campidoglio sarà la madre di tutte le battaglie. BERLUSCONI Dopo lo scivolone Bertolaso, la mossa spericolata di Berlusconi su Alfio Marchini a Roma in contrapposizione alla Meloni ha un obiettivo minimo: nel primo turno almeno un voto in più della leader di Fratelli d’Italia. Questo voto rappresenta per Berlusconi, che pure ha più volte manifestato l’intenzione di pilotare una successione per la sua ventennale leadership, lo spartiacque tra la sconfitta definitiva e la rinascita: se a Milano dovesse spuntarla Stefano Parisi, trionferebbe l’idea di un centrodestra a guida moderata e non trainata da Salvini, e così con una eventuale (che sarebbe strepitosa) vittoria di Marchini. E così anche a Napoli il destino del candidato Lettieri che dovesse superare la candidata del Pd in funzione anti de Magistris. Altrimenti saranno i giorni dell’addio alla leadership berlusconiana, e la consegna del centrodestra nelle mani di Salvini: una catastrofe per un progetto politico che da centrodestra diventerebbe destra tout court. SALVINI Il leader della Lega ha accettato, con la figura di Stefano Parisi a Milano, una guida non arrabbiata e non estremista, con un’alleanza che addirittura ingloba i «nemici» di Alfano. Ha ingaggiato però un braccio di ferro mortale con Berlusconi sulla piazza romana. Il prevalere di Alfio Marchini su Giorgia Meloni suonerebbe come una sconfitta squillante per il progetto di una Lega non più ancorata al Nord, ma che sia il frutto maturo di un lepenismo all’italiana. Al contrario, con un Berlusconi umiliato e con dei numeri confortanti addirittura nel cuore di quella che fu «Roma ladrona», la corsa alla leadership dello schieramento anti Renzi risulterebbe senza ostacoli grazie all’eventuale disfatta berlusconiana. Con Giorgia Meloni sindaco sarebbe l’apoteosi, invece la prospettiva di non arrivare al ballottaggio, con un candidato come Marchini che pure aveva trionfato nei gazebo leghisti suonerebbe come la campana del disastro per l’Opa con cui Salvini vorrebbe scalare il centrodestra. FASSINA La sinistra che si contrappone al modello di Matteo Renzi si deve contare e ha scelto due città per farlo: Roma, con Stefano Fassina, e Torino con Giorgio Airaudo. Una sfida che vale come test decisivo per le future ambizioni politiche di un’area che si sente schiacciata da una tenaglia, tra un Pd in cui si riconosce sempre meno e un Movimento 5 Stelle che ha cannibalizzato quasi in toto il voto di protesta che un tempo si esprimeva nei partiti della sinistra «radicale». Se la somma delle sigle che si muovono nella sinistra, senza una leadership riconosciuta, non dovesse conseguire un risultato significativo, sarebbe la dimostrazione che a sinistra di Renzi i numeri sono e continuano impietosamente ad essere nemici implacabili. Sarebbe inoltre un segnale di scoraggiamento per la sinistra interna al Pd, frenata lungo la strada di eventuali velleità scissionistiche e senza una sponda futura su cui fare affidamento per le battaglie dei prossimi mesi, dopo tante sconfitte. Un requiem, oppure l’inizio della rivincita. GRILLO Beppe Grillo ha detto che si sarebbe «suicidato» se Virginia Raggi non fosse diventata sindaco di Roma. Era una battuta scherzosa, paradossale, ma non del tutto. Stava a indicare che sulla battaglia del Campidoglio il leader dei Cinque Stelle si gioca tutto. Un’occasione irripetibile, in una città in cui il Pd era sprofondato nella crisi e la destra si è impantanata nelle sue divisioni. Hanno scelto la candidata ideale, non aggressiva, non con il volto arrabbiato e rissoso, capace di parlare con mondi di versi dal solito insediamento grillino. Con una sconfitta a Roma, Grillo incasserebbe un colpo ancora più micidiale di quello subito dolorosamente nelle elezioni europee del 2014: «Vinciamo noi» e invece fu l’apoteosi del nemico Matteo Renzi. Queste Amministrative potrebbero essere la consacrazione dei Cinque Stelle come il protagonista del nuovo bipolarismo. Altrimenti per Grillo non basteranno le pastiglie di Maalox ingurgitate in diretta due anni fa. MELONI Per Giorgia Meloni le elezioni romane costituiscono un bivio fatale. Se non riuscisse nemmeno ad andare al ballottaggio sarebbe una sconfitta senza possibilità di recupero, con in più la certificazione che il radicamento della sua destra a Roma è più una leggenda che un fatto reale. Con il ballottaggio ma con la sconfitta dignitosa al secondo turno, sarebbe un arretramento ma comunque la possibilità per la sua formazione politica di giocare un ruolo decisivo nella battaglia per la leadership del centrodestra. Con la vittoria finale nella corsa al Campidoglio, per Giorgia Meloni si spalancherebbero le porte di un ruolo nazionale importante, insieme all’umiliazione inferta al Silvio Berlusconi che l’aveva ripudiata. È la battaglia decisiva per uscire dal minoritarismo oppure per acquisire un rango paragonabile a quello di Matteo Salvini, suo non sempre affidabile alleato che vorrebbe fare della Meloni la sua articolazione sotto il confine del Po. PEZZO DI MARCO CREMONESI PER CORRIERE MILANO Avrebbe potuto essere la foto simbolo del finale di campagna: Silvio Berlusconi e Matteo Salvini insieme. Stretti intorno a Stefano Parisi, il candidato di un centrodestra altrove assai poco unito. Un’immagine di prospettiva per un’alleanza da ricostruire. E invece, così non sarà. Entrambi i leader parteciperanno sì alla chiusura della campagna di Parisi, ma non si incroceranno. Saranno con Parisi in orari diversi. In piazza Gae Aulenti, scenario diventato il simbolo stesso della Milano proiettata verso il domani, arriverà prima Matteo Salvini. Intorno alle 19, al Replay (non più all’aperto causa maltempo), per un bagno di folla dopo un presidio al campo rom di via Chiesa Rossa. E prima di ripartire per Varese. Peccato che alla stessa ora Berlusconi sarà ancora a Roma, per tirare la volata ad Alfio Marchini. Arriverà a Milano, giurano intorno al Cavaliere. Ma è difficile che possa accadere prima delle 21.30. E, in ogni caso, non prima che il segretario leghista abbia già salutato i presenti. Giusto ieri Salvini si è presentato in piazza Maggiore, a Bologna, imbavagliato e drappeggiato con lo striscione «Liberiamo Bologna», in compagnia della candidata Lucia Borgonzoni. Una protesta contro la decisione del prefetto di non concedere per l’evento piazza Verdi. Le motivazioni del rappresentante del governo erano d’ordine pubblico. E infatti, anche ieri, il capoluogo emiliano è stato teatro di duri scontri tra i militanti della sinistra antagonista e le forze dell’ordine. Un gruppo di dimostranti è infatti riuscito ad avvicinarsi alla piazza del comizio leghista e la polizia ha dovuto disperderli con una carica. Ne è seguito un lancio di oggetti e petardi da parte degli antagonisti. Il segretario leghista, dopo aver promesso «ruspe» non soltanto per i campi rom ma anche per i centri sociali, ha promesso che «l’impegno dei sindaci della Lega sarà avere in Italia immigrazione zero. Al contrario di quello che ha detto il segretario generale dei vescovi italiani, non c’è più spazio per nessuno, a casa tutti quanti». Al di là dell’incontro mancato in chiusura di campagna, la distanza tra Salvini e Berlusconi è emersa anche ieri. Il fondatore di Forza Italia, ospite di L’aria che tira su La7, ha infatti ripetuto quello che pensa da tempo. E cioè, che se al referendum costituzionale di ottobre prevalessero i no, «Forza Italia è pronta per un governo di unità nazionale. Anche con il Pd». Il tutto, in vista di «un’emergenza», e cioé il cambiare la legge elettorale. Di più: «Forza Italia non è soltanto disponibile, ma è necessario che lo faccia». La risposta di Salvini, a distanza, è stata piuttosto brusca: «Che gli italiani votino. Non ne possiamo più di presidenti non eletti, Monti, Letta, Renzi... ». Insomma: «Lo capisca anche Berlusconi: nessun accordo, nessun inciucio, elezioni subito, come Lega siamo pronti anche domani». Su Twitter gli fa eco Giorgia Meloni: «Basta inciuci». Poi però il capo leghista si è addolcito: «Sto girando per tutta l’Emilia Romagna e con Forza Italia si può lavorare bene. Certo, non dove ci sono salti all’indietro: a Roma dove Berlusconi vota con Fini e a Benevento dove vota con Mastella, è molto più difficile». Va anche detto che il capo di FI ha ribadito di non nutrire ambizioni per la leadership di un centrodestra riunito: «Sono stato dichiarato incandidabile per sei anni, e non ho alcuna intenzione di propormi come premier». Nemmeno come marito, a giudicare dal no secco alla conduttrice Myrta Merlino, che gli aveva chiesto se avesse intenzione di sposarsi. Fuorionda la spiegazione: «Con la Pascale abbiamo 50 anni di differenza, pensa davvero che alla mia età possa sposarmi?». RINALDO VIGNATI DELL’ISTITUO CATTANEO SUL CDS DI STAMATTINA S pingersi oltre i propri confini di appartenenza, pescando voti il più possibile in modo trasversale, senza perdere i consensi della propria base elettorale. È il dilemma tra identità e apertura, che giocherà un ruolo chiave nella sfida milanese tra Giuseppe Sala e Stefano Parisi. Tra identità e apertura si sono giocate tutte le sfide elettorali cittadine dal 1993 (prima elezione diretta del sindaco a oggi): e questo appare evidente se si rileggono i flussi elettorali elaborati dall’Istituto Cattaneo nelle Comunali milanesi dal 1993, analisi che permette di cogliere importanti aspetti delle strategie delle coalizioni e sollecita domande sulla collocazione delle nuove forze politiche. È stato il centrosinistra a combattere, in passato, tra identità e apertura, al centrodestra bastava amministrare il vantaggio di partenza. Già nel 1993, come fotografano i flussi elettorali in entrata rispetto all’89: il candidato (sconfitto) di centrosinistra, Nando Dalla Chiesa, pesca quasi esclusivamente a sinistra (metà dei suoi elettori provengono dal Pci, poco meno di 1/5 dall’estrema sinistra e una quota simile dal Psi). Al di fuori di questo bacino, solo briciole. Il leghista Marco Formentini pesca invece in modo più trasversale. E vince. Scottato da questo risultato, il centrosinistra è andato alla ricerca di figure che attraessero voti oltre gli steccati tradizionali, col risultato paradossale di schierare a volte candidati che non tenevano serrati i propri ranghi senza riuscire a sfondare nel campo opposto. Solo nel 2011 con Giuliano Pisapia (favorito dalla debolezza congiunturale del centrodestra e dagli errori dell’avversaria in campagna elettorale), la coalizione trova la quadratura del cerchio. Nel 1997, col confindustriale Aldo Fumagalli, la coperta, tirata troppo al centro, lascia scoperta la sinistra: il bacino che fu di Dalla Chiesa è rosicchiato dal comunista Umberto Gay e dall’astensione. Nel 2001 ci prova il sindacalista cattolico Sandro Antoniazzi, che recupera quasi tutta la sinistra ma, rispetto a Fumagalli, perde voti di cui si avvantaggiano Albertini (il 2,7% del corpo elettorale), gli outsider Antonio Di Pietro e Milly Moratti (il 4% del corpo elettorale) e l’astensione (l’1,3% dell’elettorato). I sostenitori di Gabriele Albertini (centrodestra) rivelano invece una granitica fedeltà. Nel 2006 Letizia Moratti eredita una larga fetta dei voti di Albertini e Bruno Ferrante eredita quasi tutti quelli di Antoniazzi. Molte le novità nel 2011. Pisapia riesce a strappare direttamente una quota rilevante (il 4,4% del corpo elettorale) di voti a Moratti. Quest’ultima subisce una perdita non trascurabile (3,1% dell’elettorato) verso il candidato del centro (Manfredi Palmeri) e verso l’astensione. Riguardo al M5S le stime evidenziano una contiguità col centrosinistra: l’83% dei voti di Mattia Calise proviene da Ferrante e solo il 13% da Moratti. I flussi tra i due turni confermano la contiguità: contrariamente a quanto accade negli anni successivi, quando gli elettori del M5S, se «orfani» del proprio simbolo, preferiscono l’astensione, quasi 2/3 degli elettori di Calise al ballottaggio scelgono Pisapia. Quale storia racconteranno i prossimi flussi? Una delle incognite riguarda proprio il M5S: a chi ruberà più voti? E se sarà escluso dal secondo turno, come si comporteranno i suoi elettori? Fino al 2012, nei ballottaggi le scelte erano movimentiste (contiguità con la sinistra). Tra il 2013 e il 2015 le scelte sono state identitarie (rifiuto di tutti i vecchi partiti). Il 2016 sarà l’inizio di una fase politica, in cui le eventuali scelte al ballottaggio terranno conto degli effetti nazionali del voto?. I comuni al voto Più di 13 milioni chiamati alle urne A Torino record di candidati: 17 ROMA. Renzi garantisce che «non ci saranno ripercussioni politiche»: vada come vada, il governo, il Pd ma anche gli altri partiti non saranno terremotati dal voto per le comunali di domenica. «Non ci sarà nessun segnale politico. Si vota per i sindaci, punto» sottolinea il premier. Tuttavia è impegnato anche lui nel rush finale per trainare i candidati dem. Oggi sarà a Napoli e poi in Emilia. Nel capoluogo campano i democratici sfidano il sindaco uscente e ricandidato Luigi De Magistris, e si accontenterebbero per ora di portarlo al ballottaggio con Valeria Valente. De Magistris reagisce: «Il governo è entrato a gamba tesa, noi come Davide contro Golia». Alle urne domenica sono chiamati 13 milioni di elettori in 1.342 comuni di cui 25 capoluoghi. Tra questi ultimi Milano, Torino, Bologna, Trieste, Roma, Napoli, Cagliari. Voto in un solo giorno dalle 7 alle 23 con incubo astensione. Tanto che le ultime ore di campagna elettorale sono una caccia agli indecisi. A Roma, contesa da 13 candidati (e a Torino sono addirittura 17), i 5Stelle puntano il tutto per tutto e concludono oggi con Virginia Raggi in piazza del Popolo, con Dario Fo e Fiorella Mannoia. Per Giachetti tour di dieci comizi. Meloni in periferia chiude da sola mentre Alfio Marchini oggi farà una iniziativa con Berlusconi. Nella capitale divisioni a sinistra. L’ex sindaco Ignazio Marino, “dimissionato” dal Pd, attacca Giachetti («è agli ordini di Renzi») e pensa al voto disgiunto tra Raggi e Fassina. A Milano Berlusconi e Salvini saranno insieme per sostenere Stefano Parisi. ( g. c.) le elezioni amministrative ROMA Verso una partita a tre Raggi parte in vantaggio GIOVANNA VITALE 1 Una partita a tre. Tanti quanti sono, a Roma, i candidati più accreditati per entrare al ballottaggio. Favorita, stando agli ultimi sondaggi, è Virginia Raggi dei 5Stelle. Tallonata dal renziano Roberto Giachetti, in pista con una coalizione di centrosinistra senza però l’alleato storico di Sel (che ha deciso di sostenere l’esponente di Sinistra Italiana Stefano Fassina), e dalla leader di Fdi Giorgia Meloni, in tandem con la Lega di Salvini, ma senza Forza Italia, che dopo il ritiro di Guido Bertolaso ha preferito convergere - insieme alla Destra di Storace - sul civico Alfio Marchini. 2 Le numerose emergenze di una capitale in grande affanno, accentuate dalla fine traumatica della giunta Marino, sono subito diventate materia di campagna elettorale. Dalle buche, vera piaga cittadina, che ciascuno dei candidati pensa di risolvere con un piano straordinario di manutenzione stradale, al debito accumulato dalle amministrazioni precedenti, che tutti pensano di rinegoziare con il governo. Fino alle Olimpiadi: straordinaria opportunità di sviluppo per Giachetti, Meloni e Marchini, mentre la Raggi ha già detto no. 3 Se come già accaduto in passato il M5S dovesse franare rispetto alle stime dei sondaggi che lo danno nettamente primo partito, potrebbe verificarsi l’impensabile. Ovvero un ballottaggio fra Giachetti e Meloni, con i pentastellati fuori già al primo turno. A pesare sarà perciò l’affluenza: tre anni fa non superò il 52%. ©RIPRODUZIONE RISERVATA SFIDA CAPITALE Da sinistra a destra Virginia Raggi (M5s), Roberto Giachetti (Partito democratico), Giorgia Meloni (Fratelli d’Italia e Lega), Alfio Marchini (civica e Forza Italia), Stefano Fassina (Sinistra italiana) MILANO Sarà un derby Sala-Parisi a decidere il dopo Pisapia ROBERTO RHO 1 Sarà una corsa a due, a meno di clamorosi ribaltoni che nessuno si azzarda neppure a ipotizzare. Beppe Sala, candidato del centrosinistra (Pd, Sinistra arancione, quel che resta dell’Idv, oltre alla lista civica dei moderati che si riferisce all’aspirante sindaco), contro Stefano Parisi, candidato del centrodestra, a Milano miracolosamente compatto. I sondaggi indicano all’unanimità Sala in vantaggio, pure se di pochi punti percentuali, parecchi meno di quanto si stimasse all’inizio della corsa. L’attesa di domenica notte sarà tutta concentrata sul testa a testa, per capire chi taglierà per primo il traguardo del primo turno e con quale vantaggio. 2 La sicurezza, moschea sì-moschea no, le tasse (che nella stagione Pisapia sono più che raddoppiate), le limitazioni al traffico delle auto private. Perfino l’Expo, che è il biglietto da visita di Sala e che, sul fronte opposto, Parisi considera «un’impresa non troppo complicata da realizzare». Ma la campagna elettorale è stata fiacca, gli entusiasmi hanno faticato ad accendersi, così come l’interesse dei milanesi. Anni luce di distanza dalla passione di cinque anni orsono. 3 L’incognita è l’effetto Cinque Stelle sul ballottaggio. Chi sceglieranno (se sceglieranno) i grillini, stimati poco sotto il 15%, al secondo turno, tra Sala e Parisi? Se il voto nelle altre città, soprattutto Roma, infiammasse l’antirenzismo, allora Sala potrebbe correre qualche rischio in più. ©RIPRODUZIONE RISERVATA IN CAMPO NEL CAPOLUOGO LOMBARDO Giuseppe Sala (Pd, Sinistra x Milano, Lista Sala, Idv), Stefano Parisi (Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia, Ncd, Lista Parisi, Pensionati), Gianluca Corrado (Movimento 5Stelle), Basilio Rizzo (Milano in Comune, che comprende Rifondazione e Possibile) le elezioni amministrative BOLOGNA Merola è il grande favorito ma è allarme astensionismo MICHELE SMARGIASSI 1 Virginio Merola, Pd, sindaco uscente, lotta coi numeri più che con gli avversari. Come cinque anni fa, poche centinaia di voti potrebbero fare la differenza fra il suo ritorno a Palazzo d’Accursio già al primo turno e il ballottaggio. La sfida incerta è piuttosto quella per il secondo posto tra il grillino Massimo Bugani, dalla campagna elettorale stranamente poco aggressiva, e la leghista Lucia Borgonzoni (sostenuta dal centrodestra unito) spinta invece dalle insistenti incursioni di Salvini sotto le Due Torri. 2 Non sono state le discussioni annose sulla viabilità (la nuova tangenziale) a scaldare gli animi di una campagna elettorale senza storia; appena di più la sicurezza e il degrado, argomenti agitati da una destra a trazione leghista, o l’irruzione di temi nazionali come la smarcatura a sorpresa di Merola dal governo Renzi sulle politiche del lavoro (ha firmato i referendum Cgil, compreso il ripristino dell’articolo 18), per recuperare un elettorato di sinistra marcatamente indeciso. 3 Un astensionismo record come quello delle ultime regionali (quando votò appena il 37%) è la grande incognita. Il Pd conta su un elettorato fedele e sembra pensare che una bassa partecipazione al voto favorisca Merola, ma se la disaffezione colpisse più a sinistra che a destra potrebbe invece costringerlo a un ballottaggio più affannoso del previsto, dove l’effetto “tutti contro il Pd, chiunque sia lo sfidante” sarebbe un rischio non facilmente calcolabile, e allora i voti del centrista Manes Bernardini potrebbero rivelarsi decisivi più di quelli della lista di sinistra di Federico Martelloni. ©RIPRODUZIONE RISERVATA TRA BIS E BALLOTTAGGIO Il sindaco uscente Virginio Merola (Pd), Lucia Borgonzoni (Lega, Fdi, Forza Italia e liste civiche) Massimo Bugani (Movimento 5Stelle), il centrista Manes Bernardini. In corsa altri cinque candidati tra cui Federico Martelloni della lista di sinistra TORINO Fassino cerca la riconferma pesa il divorzio con Sel PAOLO GRISERI 1 Nessuno dei sondaggi finora circolati ipotizza il passaggio di Piero Fassino al primo turno. Tutti però prevedono la vittoria del sindaco uscente al ballottaggio contro la candidata dei 5 Stelle, Chiara Appendino. Ma nelle ultime rilevazioni Fassino è segnalato in crescita. Così, complice l’harakiri del centrodestra, che si presenta diviso con tre diversi candidati sindaci, l’unica vera incertezza di una campagna elettorale sonnacchiosa è se l’ex segretario dei Ds verrà confermato sindaco il 5 o il 19 giugno. 2 Sicurezza, occupazione, manutenzione delle strade, sono i temi di cui hanno parlato i candidati. Ma la vera posta in gioco è il futuro economico della città, la fisionomia della futura classe dirigente. L’impressione è che il partito della continuità sia oggi più forte di quello della rottura. Sulla classe dirigente il centrosinistra avrà tempo cinque anni per discutere dopo la vittoria elettorale. Si è parlato poco di Fiat. L’unico è stato Renzi che nel comizio con Fassino ha rispolverato lo scontro tra Marchionne e Landini per attaccare il candidato sindaco della sinistra, Giorgio Airaudo. Tra i sostenitori del sindaco uscente si discute se sia stata una buona idea. 3 Il punto interrogativo è quello sull’affluenza. Una partecipazione inferiore al 60 per cento (alle regionali del 2014 aveva votato il 62) potrebbe favorire il passaggio di Fassino già al primo turno. La vera incognita per il sindaco uscente potrebbe venire dal ballottaggio se tutte le opposizioni, arrivate frantumate al primo turno, convergessero sul voto alla candidata 5 Stelle. Ipotesi remota. ©RIPRODUZIONE RISERVATA L’INCOGNITA AIRAUDO Piero Fassino (Partito democratico, Moderati, liste civiche), Chiara Appendino (Movimento 5Stelle), Giorgio Airaudo (Torino in Comune, che comprende Rifondazione e Sel), Osvaldo Napoli (Forza Italia). le elezioni amministrative NAPOLI L’anti-renziano De Magistris spiazza destra e sinistra CONCHITA SANNINO 1 Il sindaco partenopeo è il primo a correre verso la meta. Luigi de Magistris, primo cittadino uscente e alfiere di un ribellismo che vorrebbe incarnare anche le speranze di un movimento anti-renziano, punta al mandato bis. Eletto con il 65 per cento, confida ora nella forbice con cui tutti i sondaggi lo danno in testa, ma non tanto da farcela al primo turno. E la partita per il ballottaggio si gioca con altri tre. Si profila il duello “deja vu” se ce la fa Gianni Lettieri, l’ “imprenditore scugnizzo” sostenuto da Fi che perse nel 2011contro l’ex pm. Risulta in crescita, anche se staccata, Valeria Valente, la deputata Pd sostenuta anche dal Ncd e verdiniani, accanto alla quale torna oggi a Napoli Renzi, che l’ha paragonata al «capitano Bruscolotti». Ma potrebbe riservare qualche sorpresa anche l’ingegnere brianzolo che ama Napoli, Matteo Brambilla del M5s. 2 Non solo sicurezza, decoro urbano, la viabilità senza regole,i servizi - come i trasporti su gomma ridotti in ginocchio - e il completamento del ciclo rifiuti. Il dibattito ha messo al centro il risanamento e lo sviluppo di Bagnoli e di Napoli Est: le due grandi aree ex industrali da cui dipende il futuro della città. Ma ha pesato molto anche il tema degli “impresentabili”. Parenti (incensurati) di camorristi in corsa, nel centrodestra, centrosinistra e liste di De Magistris. 3 Due grandi interrogativi. Uno di questi è il record di astensionismo. Nel 2011, al primo turno, il 40 per cento non andò a votare, al ballottaggio il popolo del non-voto arrivò al 60 per cento. L’altro rischio è un boom di voto disgiunto tra sindaco e consiglieri. ©RIPRODUZIONE RISERVATA IL SINDACO USCENTE CONTRO TUTTI Luigi de Magistris (primo da sinistra), è il sindaco uscente “arancione” di Napoli e corre per il secondo mandato. Lo sfidano Valeria Valente, sostenuta dal Pd, Gianni Lettieri per il centrodestra e il candidato grillino Matteo Brambilla