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 2016  giugno 02 Giovedì calendario

DINASTIE IN SALSA RUSSA

C’è la Russia di Vladimir Putin, che non ama essere definito zar, benché l’Occidente pensi che il soprannome gli calzi a pennello. E c’è quella dei clan, la preferita dai cremlinologi, appassionati di lotte di potere. I luoghi comuni continuano tra guerra fredda, matrjoske e balalajke, pozzi petroliferi e belle donne, ma guardando bene, si trova qualcosa di davvero inatteso in Russia: le dinastie. Più antiche dei soviet. Più durature dei clan. Più discrete degli oligarchi. Famiglie sopravvissute a mutamenti epocali, in un Paese che ha spazzato via una famiglia reale e, 70 anni dopo, l’élite comunista.
Punta dell’iceberg sono i Mikhalkov. Ci sono i fratelli registi Nikita Mikhalkov e Andrei Konchalovskij, c’è il padre Sergey Mikhalkov noto per aver scritto e riscritto l’inno nazionale: la prima volta su commissione di Josif Stalin, la seconda approvato da Putin nel dicembre 2000. Ma le radici di queste star risalgono alla Russia zarista, con il traduttore ed editore Petr Konchalovskij e il pittore Vasilij Surikov i cui quadri svettano nella galleria Tretjakovskij di Mosca. Da cinque generazioni influenzano non solo sulle arti visive: il premio Oscar Nikita fino al 2011 presiedeva il Consiglio pubblico sotto il ministero della Difesa, commissione di vigilanza civile delle attività delle Forze armate.
Anche i geni di Lev Tolstoj continuano ad avere un peso, al di là di Guerra e Pace. I rami arrivano sino in Italia: la nipote preferita, Tatjana Mikhailovna, sposò Leonardo, figlio di Luigi Albertini, storico direttore del Corriere della Sera. Ma è in Russia che i discendenti hanno un ruolo. Il pronipote Vladimir Tolstoj è consigliere culturale del leader del Cremlino, che pare lo scelse per la schiettezza: denunciò il disboscamento intorno a Yasnaja Poljana, la tenuta dove visse ed è sepolto il grande scrittore, e che tornò grazie a lui a essere un centro culturale, diretto oggi dalla moglie Ekaterina: qui ogni due anni, dal 2000, si riuniscono tutti i discendenti. Quest’anno, ai primi di agosto, in prima fila, ci sarà come sempre, anche il cugino di Vladimir, Pjotr Tolstoj (vedi intervista a fianco), il cui ramo, trasferito in Serbia dopo la Rivoluzione, venne poi costretto da Stalin a rientrare in Urss. Oggi Pjotr, come la cugina Fjokla, è uno dei volti della tv russa. Ma nel suo albero genealogico non c’è solo il romanziere: è omonimo del capo della Cancelleria segreta di Pietro il Grande, che gettò le basi dei sevizi segreti russi. Uno 007 del ’700 che fu anche incaricato dallo zar nel 1717 di partire per Napoli e trovare lo zarevic Alessio, scappato con l’amante.
Da un ramo minore del casato, ma non da Lev, discende Artemij Lebedev, blogger alternativo, proprietario dello studio di web design più importante di Mosca e tra gli inventori della tastiera Optimus. La madre Tatjana Tolstaja è un’affermata scrittrice e se qualsiasi adulto in Russia ha navigato sui siti creati da ArtLebedev, qualsiasi bambino conosce Buratino, adattamento di Pinocchio di Aleksej Tolstoj, tre volte premio Stalin.
Shuvalov e Narishkin non sono i soli cognomi aristocratici nella politica russa, tanto che si era paventato «un ritorno della nobiltà» al potere. L’unica appartenenza confermata è quella di Alexander Zhukov, ex vicepremier, dal 2010 presidente del Comitato olimpico russo e membro del Cio dal 2013. In realtà persino Lenin ereditò un titolo nobiliare dal padre e di tutti i governi sovietici il suo fu quello con più «aristocratici». Ma già con Stalin, Krusciov e Breznev erano emerse nuove dinastie. Se dal 12 aprile 1961 l’eroe russo per antonomasia è il cosmonauta Yurij Gagarin, dal 12 aprile 2001 il direttore generale dei musei del Cremlino, su nomina di Putin è Elena Gagarina, figlia maggiore del primo uomo nello spazio, e la coincidenza delle date non è casuale.
Guida la commissione parlamentare per l’Educazione Vyacheslav Nikonov, nipote e omonino per nome del ministro Molotov, famoso per il patto Molotov-Ribbentrop.
I legami di sangue sono più forti della storia. Sopravvivono ai secoli, silenziosi e discreti. Sembrano calpestati dal clamore delle rivolte, stracciati dalle insurrezioni, dissolti dal tempo, ma mantengono in vita quella metafora della grande famiglia che è il patriottismo.