Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  giugno 03 Venerdì calendario

SE VI PIACE USARE IL TELEFONINO, RINGRAZIATE IL SIGNORE QUI A FIANCO

«Fra dieci, vent’anni potremo comunicare in una maniera straordinaria, imprevedibile oggi, ma capace di cambiare le abitudini sociali molto più di quanto non sia accaduto finora. La ragione è che ogni decennio le capacità di elaborazione aumentano di almeno dieci volte offrendo possibilità inimmaginabili». Andrew James Viterbi sorride lanciando i suoi pensieri nel futuro come se assaporasse le meraviglie dell’innovazione che entreranno nella nostra vita, modificandola in profondità. Indubbiamente non c’è persona migliore in grado di guardare oltre l’orizzonte della tecnologia che già domina il nostro scorrere del tempo. Viterbi, infatti, è l’ideatore dell’algoritmo che porta il suo nome alla base del funzionamento di milioni di cellulari nel mondo consentendone la diffusione. Invitato dalla Fondazione Keren Kayemeth LeIsrael a Milano, siamo seduti in un grande hotel e nell’ovattata atmosfera volti di tante nazionalità scorrono parlando al telefono e altri, rannicchiati in poltrona, lavorano con il computer inconsapevoli della gratitudine che dovrebbero rivolgere al nostro ospite. Non potrebbero né parlare né scrivere se Viterbi nel 1967, allora professore alla School of Engineering ad Applied Sciences della University of California, non avesse concepito un procedimento matematico che rivoluzionava la teoria dell’informazione e le telecomunicazioni. L’algoritmo era scaturito soprattutto per aiutare la trasmissione dei dati con i primi satelliti e sonde spaziali che la Nasa e il Pentagono spedivano nel cosmo dove bisognava affrontare condizioni tanto avverse da causare variazioni dei segnali trasmessi.
«Avevo 22 anni quando varcai la soglia del Jet Propulsion Laboratory, il Jpl di Pasadena in California. Era il 1957 e l’America era in preda alla paura per il lancio in ottobre dello Sputnik, il primo satellite artificiale. Girava intorno alla Terra dimostrando che i sovietici potevano minacciarci dallo spazio. Eravamo in piena guerra fredda e al Jpl il direttore William Pickering progettava la risposta americana ideando il satellite Explorer-1 mentre Wernher von Braun all’arsenale di Huntsville in Alabama costruiva il razzo Jupiter-C per portarlo in orbita. Io mi occupavo in particolare dell’inseguimento in orbita del satellite». Il 31 gennaio 1958, quattro mesi dopo lo Sputnik, l’Explorer volava con successo accendendo la corsa allo spazio che porterà gli astronauti americani sulla Luna “entro un decennio” come aveva chiesto il presidente John Kennedy.
Andrea aveva sei anni quando sbarcò con il padre Achille negli Stati Uniti per sfuggire alla leggi razziali, abbandonando Bergamo dove era nato. Il Cardinale Angelo Roncalli, il futuro “Papa buono”, allora amministratore apostolico a Istanbul, lo invitò a raggiungerlo ma Achille preferì l’America come tanti altri italiani in cerca di salvezza e futuro. Era il 1939 e la famiglia si stabilì a Boston dove Andrea, con il nuovo nome Andrew, si iscrisse alla Latin School.«Da allora il latino l’ho sempre coltivato», sottolinea. Ma era la tecnologia ad attirarlo, così diventò studente modello al Mit, il Massachuset Institute of Technology. «L’esplorazione spaziale e le esigenze della Difesa legate alle armi intelligenti e alle reti come Internet”, racconta, «sono state fondamentali per lo sviluppo delle telecomunicazioni stimolando con le ardue necessità la nostra creatività. Rimasi sei anni al JPL, poi preferii l’insegnamento e la ricerca universitaria e così entrai all’University of California, a Los Angeles». Qui, nella ricca atmosfera culturale del campus, nacque l’algoritmo. «Aveva tante qualità», confessa. «Permetteva di raddoppiare le distanze nelle trasmissioni oppure dimezzare la potenza del segnale richiedendo meno energia e soprattutto le rendeva più sicure, consentendo comunicazioni altrimenti impossibili. Ciò offriva la possibilità di ideare nuove telecomunicazioni come la messaggistica e la determinazione della posizione con i satelliti Gps. Si passava quindi dai sistemi fissi alle comunicazioni mobili con mezzi portatili».
La scalata alla tecnologia era iniziata. Le innovazioni si chiamavano prima Spreadspectre, poi CDMA (Code Division Multiple Access). La loro introduzione non era però facile nonostante le interessanti prospettive offerte. «Quando venivano diffuse in California la crescita era lenta», nota Viterbi. «I coreani di Samsung, invece, ci credettero subito e adottandole conquistarono mercati e fortuna».
Intanto il grande scienziato italiano, ormai cittadino americano, stava andando oltre la ricerca, manifestando un’altra anima, quella del businessman. «Vedevo notevoli opportunità nel commercializzare le mie tecnologie e nel 1968 fondavo assieme ai due colleghi dell’università, Irwin Jacobs e Neonard Kleinrock, prima la società Linkabit che sviluppava applicazioni soprattutto per agenzie governative e nel 1985 la società Qualcomm connessa alla messaggistica». Quest’ultima diventerà un colosso delle telecomunicazioni creando una costellazione di satelliti e il sistema Omnitracs per la localizzazione dei mezzi di trasporto e i collegamenti con le centrali operative. Si apriva il mondo delle comunicazioni cellulari grazie all’impiego dell’ormai famoso algoritmo. Ma Viterbi si sente più scienziato o industriale? «Dopo quasi vent’anni di ricerca nasceva l’interesse intellettuale per dimostrare che si può fare. Creare delle start-up è altrettanto stimolante», risponde evocando in chi lo ascolta lo spirito che aveva animato Guglielmo Marconi brevettando a Londra la sua trasmissione senza fili. L’elenco dei riconoscimenti e delle lauree honoris causa da università nei cinque continenti diventerà sempre più lungo. «Già nel 1975 il Cnr mi assegnò il Premio Cristoforo Colombo: in Italia Francesco Carassa del Politecnico di Milano e ideatore del satellite di telecomunicazioni Sirio credeva in me. Ma ricordo anche con orgoglio lo scrittore Primo Levi, cugino da parte di mia madre, che invitai negli Stati per alcune conferenze». Andrew Viterbi, 81 anni e generoso filantropo, mentre le sue idee trovano applicazioni in campi sempre più vasti compresa la biologia e la linguistica computazionale, continua a vivere le nuove tecnologie con passione unita a prudenza. «Ho una automobile Tesla che si guida da sola», conclude, «ma quando le curve sono strette prendo io il comando. La mia fiducia ha un limite».