Giangavino Sulas, Oggi 1/6/2016, 1 giugno 2016
CASO YARA, «SULL’ERBA HANNO DETTO IL FALSO»
Bergamo, giugno
Un uomo delle istituzioni, un colonnello dei Carabinieri, comandante del Ros (Reparto operativo speciale) di Brescia avrebbe detto il falso sotto giuramento durante il processo per l’omicidio di Yara? L’accusa è stata fatta venerdì scorso, nella 42° udienza, da Claudio Salvagni, uno dei difensori di Massimo Bossetti. Lo ha detto usando toni durissimi davanti alla Corte e al Pm Letizia Ruggeri. Nessuno ha chiesto la trasmissione degli atti alla Procura per l’eventuale apertura di un fascicolo.
Che il clima di questo interminabile processo si dovesse surriscaldare era nell’aria ma che si arrivasse a un’accusa così pesante contro uno degli inquirenti era difficile immaginarlo.
La testimonianza risale all’udienza del 23 settembre 2015. Secondo Salvagni, deponendo come testimone sotto giuramento, a dire il falso sarebbe stato Michele Lorusso, maggiore dell’Arma al comando del Ros di Brescia quando Yara scomparve e oggi colonnello e comandante dello stesso reparto a Torino. E lo avrebbe fatto su un episodio di fondamentale importanza, poiché riguarda il luogo e i tempi della morte della piccola Gambirasio.
«Ha parlato di foto che non esistono»
«Nel campo di Chignolo, quando fu ritrovata, il 26 febbraio 2011, Yara stringeva nel pugno della mano destra un ciuffo d’erba ancora radicata al terreno. Lo testimoniano le fotografie agli atti», disse quel giorno Lorusso.
«È falso», ha urlato Salvagni venerdì scorso: «L’erba era avvolta attorno alla mano destra di Yara ma non era radicata a terra. Non esiste alcuna immagine che lo dimostri ed è stato smentito in questa aula dalla dottoressa Cristina Cattaneo che fece i rilievi sul campo di Chignolo la notte fra il 26 e il 27 febbraio 2011. Quindi», ha proseguito Salvagni, «non c’è nessuna conferma che la povera vittima sia morta in quel campo e ci sia rimasta per tre mesi. Agli atti del fascicolo processuale non compare una sola fotografia che confermi questa versione e il colonnello Lorusso non poteva non saperlo. È stato lui a fare le indagini. Ecco perché ha detto il falso».
Cosa accadrà nella prossima udienza, il 10 giugno? Verrà aperto un fascicolo nei confronti dell’ufficiale?
Il colonnello chiamato in causa riferì in aula di aver scoperto questo particolare osservando le fotografie. E non poteva dire diversamente. Chi scrive è stato testimone quella sera di quel che accadde. Michele Lorusso la sera del 26 febbraio 2011 non partecipò alle operazioni di recupero e ai rilievi scientifici sul corpo di Yara. Al campo di Chignolo arrivò la Polizia perché l’uomo che facendo volare il suo aeroplanino scoprì il corpo, chiamò il 113. Titolare di quella parte delle indagini era quindi la Polizia che arrivò in forze con uomini della squadra Mobile di Bergamo al comando dell’allora questore Enzo Ricciardi, dello Sco (Servizio centrale operativo) e della Scientifica fatta arrivare appositamente da Roma con un aereo. La Polizia “blindò” il campo. Nessuno poteva entrare e allo stesso maggiore Lorusso, giunto trafelato da Brescia, fu impedito l’accesso proprio dagli uomini dello Sco: «Lei non può passare». Lorusso si rivolse direttamente al questore Ricciardi: «Ma come non mi fate entrare? Abbiamo sempre lavorato assieme…» e il questore di Bergamo, con un gesto di cortesia, si rivolse ai poliziotti dello Sco: «Fatelo passare». Entrò nel campo da solo, come osservatore.
Gli altri carabinieri rimasero fuori mentre la Scientifica della Polizia, coordinata da Cristina Cattaneo, faceva i rilievi e scopriva che l’erba nel pugno della vittima non era radicata al terreno e che il colletto bianco della maglietta di Yara, malgrado lo squarcio alla gola, non presentava alcuna traccia di sangue. «Segno che prima di ferirla quella maglietta era stata tolta. I filmati di quella notte sul campo di Chignolo parlano chiaro», sostengono i difensori.
«Secondo noi fu tenuta in un luogo chiuso»
«E allora mi chiedo perché l’Accusa ha ribadito nella requisitoria che Yara in uno spasmo della sua terribile agonia si sarebbe aggrappata con la mano destra a un ciuffo d’erba e così sarebbe stata ritrovata tre mesi dopo», ha scandito ancora Claudio Salvagni. «Quel ciuffo d’erba appartiene al campo di Chignolo», ha infatti sostenuto il Pm Letizia Ruggeri. «Io dico, invece, che siccome quell’erba non era radicata, Yara potrebbe averla strappata in un qualunque campo o giardino della zona. Non esiste un solo elemento per sostenere che la ragazza sia morta a Chignolo e soprattutto che sia rimasta per tre mesi nello stesso posto. Anzi gli elementi raccolti dai nostri consulenti dimostrano che a Chignolo è stata abbandonata poco tempo prima del ritrovamento. Prima è rimasta in un luogo chiuso, con pochissimo ossigeno. Altrimenti, come ha scoperto il medico legale Dalila Ranalletta, il corpo non avrebbe presentato fenomeni di corificazione ma di putrefazione e sulle ferite non avrebbe avuto tutti quei filamenti di vario colore che non appartengono ai suoi indumenti. E la stessa Cristina Cattaneo in aula ha dovuto ammetterlo».
Contattato da Oggi, il colonnello Lorusso ha risposto cortesemente ma con fermezza: «Non posso fare alcun commento, non sono autorizzato. Rappresento la mia Amministrazione. È un problema di opportunità: in questo momento non ritengo opportuno fare commenti su questo. Ci saranno altre occasioni per tornare in argomento. Voi avete tutti gli elementi per capire come stanno le cose. Non c’è evidentemente lo sforzo di approfondire: basterebbe far mente locale e le cose sarebbero di una chiarezza cristallina. Ma io commenti su questa cosa non ne posso fare. Dispiace più a me che a voi».