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 2016  giugno 03 Venerdì calendario

IL LUNGO TRAVAGLIO DEI FRANCESI IN-FLESSIBILI

La Francia oggi è un Paese diviso. In particolare, sulla "Loi travail", la riforma del lavoro, presentata da Myriam El Khomri, ministra del governo Valls. Un progetto che ha sollevato proteste e scioperi, senza soluzione di continuità. Nonostante le modifiche apportate dal governo. La "Loi travail", in effetti, echeggia il Jobs Act, approvato dal governo Renzi, due anni fa. Ma sta provocando reazioni ancor più accese rispetto a quelle che hanno mobilitato l’Italia, nell’autunno del 2014. D’altronde, era prevedibile che questa riforma avrebbe avuto un impatto pesante, in Francia. Anche se si tratta di un passaggio obbligato – e tardivo. Affrontato dovunque, in Europa. Progetta di modificare i principali tratti del lavoro. Dall’orario al sistema negoziale e salariale, alla medicina del lavoro. Ma, soprattutto, punta sulla flessibilità. Sul "decentramento". Mentre la Francia è un Paese "frammentato" . E, al tempo stesso, "centralizzato". Molto diverso dall’Italia. Dove la flessibilità è implicita in un contesto industriale differenziato sul piano territoriale. Caratterizzato dalla presenza diffusa di imprese piccole e piccolissime. La Francia, invece, è un Paese con identità, organizzazione e istituzioni orientate - e centralizzate - su base "nazionale". Non è un caso che l’opposizione più intransigente alla Riforma venga espressa nei confronti dell’art. 2. Che fa prevalere gli accordi aziendali rispetto a quelli di settore. Rovesciando il modello (e la cultura) dei rapporti fra centro e periferia a favore della periferia. Cioè delle imprese e del territorio.
Le tensioni sono acuite da questa fase storica particolare. Segnata da attacchi terroristi sanguinosi. Alla vigilia dei campionati europei: una vetrina prestigiosa (anche per le proteste). Per questo, ad alto rischio. Mentre, a meno di un anno dalle elezioni presidenziali, si è già in piena campagna elettorale.
Tuttavia, lo scontro sulla Legge coinvolge anzitutto la Sinistra. Meglio: le Sinistre. Infatti, oppone il governo socialista al sindacato. In particolare, alla CGT, insieme a Force Ouvrière. Ma divide il sindacato stesso, visto che la CFDT, seconda Confederazione in Francia, per la base rappresentata, non è contraria al governo e alla Loi travail. I dissensi, d’altronde, emergono anche dentro il PS, nel quale circa trenta deputati "frondeurs" hanno espresso apertamente la loro opposizione. Alla Legge. Per indebolire il governo. Ma il legame tra la legge e il governo è talmente stretto che il governo e il Presidente non possono arretrare. Com’è avvenuto di recente sulla "decadenza della nazionalità" ai terroristi. Due "ripensamenti" su questioni tanto importanti sarebbero insopportabili, per François Hollande e Manuel Valls.
La CGT, i "frondeurs" socialisti e della sinistra ostili alla riforma, in ogni caso, confidano nella pressione dell’opinione pubblica. Secondo un recente sondaggio dell’IFOP, infatti, solo il 13 per cento dei francesi si dice d’accordo con la riforma El Khomri, nei termini attuali. Mentre il 46 per cento (ma il 51 fra i simpatizzanti di sinistra) non ne vuole sentir parlare. Neppure se rivista ed emendata. Ma neanche la CGT, né il suo leader, Martinez, dispongono di credito.
Così, la protesta magmatica che attraversa e scuote la Francia, in questa fase, rispecchia il disagio della società di fronte alla "montée des incertitudes" (ben delineata dal sociologo Robert Castel). Mentre loro, i francesi, sono ancorati a riferimenti istituzionali e culturali "certi". E radicati. Li aiuterebbe, forse, la nostra tradizionale "arte di arrangiarsi". Ma sono troppo in-flessibili, per prendere (anche solo) in considerazione questa possibilità.
La faticosa marcia della Loi travail, però, riflette anche (soprattutto) le difficoltà del governo, del Presidente, della Sinistra. Dello stesso sindacato. In altri termini: la debolezza della politica. Per fare un confronto: Renzi riuscì a imporre il Jobs Act, compresa l’abolizione dell’art. 18, nell’autunno del 2014. All’indomani delle elezioni europee. Quando la sua popolarità personale e il consenso del governo avevano raggiunto il massimo livello. Per questa ragione ho il sospetto che, oggi, le cose andrebbero diversamente anche in Italia.