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 2016  giugno 02 Giovedì calendario

IL BURRO ERA STATO BANDITO IN USA. POI FU RIVALUTATO. DOPO QUELLO CHE FU SCRITTO SUL SUO CONTO ERA COME SE ISRAELE RIVALUTASSE HITLER

Quando negli anni ’70 scoprii «Food & Drug Administration» (Fda), l’ente pubblico americano che governava la purezza di alimenti e di farmaci, con un direttore nominato direttamente dal Presidente (sic!), ne rimasi affascinato. Per molti anni credetti alle sentenze che emetteva, mi pareva l’equivalente del metro campione di Parigi («1/10.000.000 del quarto del meridiano terrestre fra il Polo Nord e l’Equatore»). Finita l’epoca d’oro degli Stati Uniti, quella di Reagan, entrati nell’era Clinton, capìto come si era riposizionato il mondo del business americano (liberale in teoria, illiberale nella pratica), l’enorme importanza che via via assunse l’attività di lobbying* (in italiano corruzione diretta/indiretta), non diedi più alcuna importanza alle sentenze di «Fda» e ad alcune altre istituzioni americane.
Sui farmaci non mi pronuncio, ma sugli alimenti lo faccio, focalizzandomi sul concetto ora di moda «heatlhy», cioè quali alimenti possano definirsi sani e quali no. Un tempo il burro era visto con orrore, non però la carne agli ormoni o le pannocchie grondanti ogm, purché fossero americani. Poi il burro fu rivalutato, dopo quello che fu scritto e detto sul suo conto, sarebbe come se Israele rivalutasse Hitler. Due anni fa «heatlhy» si era speso con allegria per le diete a base di salmone e di frutta secca, raccomandate con forza.
Arrivo a NY e «Fda» cosa mi combina? È perentorio, mi avverte di non mangiare frutta secca e salmone, ma nulla mi dice sugli spaghetti al formaggio (confezione in lattina!). Credo di aver capito i criteri che governano «Fda»: i suoi giudizi dipendono dalle azioni di lobbying dei markettari aziendali, a volte colpevolizzando i grassi, altre i carboidrati o gli zuccheri, che entrano o escono, per pure ragioni di business, dal novero degli amici/nemici.
Ridicoli i soloni nostrani che sentenziano come ci si debba fidare del Ttip perché gli americani sono rigorosissimi sul rispetto dei parametri alimentari, avendo loro l’occhiuto «Fda». A NY puoi essere povero e disperato ma hai una certezza, qualsiasi cosa mangi nel breve non ti uccide, lo garantisce «Fda», certo il medio-lungo è nelle mani delle multinazionali alimentari, che rispettano sì il principio di precauzione, ma solo post mortem.
Semplificando, tre tipologie di cibo:
a) materie prime di basso standard (discount), usati dalla quasi totalità delle famiglie, dal food street, sia dei furgoni che dei locali popolari. Hai una certezza, paghi prezzi bassi, ricevi qualità bassissima. Carne gonfia di ormoni e di medicinali, pesce taroccato. Da evitare i finti tonno-spada-squalo, oppure il pandasio, arrivato dal delta del Mekong, appena dalle sue stive vede la Statua della Libertà si fa cernia, così la linguata africana, nel viaggio si fa sogliola. Se sul menù leggi merluzzo, è di certo un miserabile pollack, però almeno viene dal vicino Canada;
b) se appartieni alla classe medio alta la materia prima è accettabile, spesso buona, passi dal km 0 (se sei fortunato le verdure a NY possono essere amish, specie mennonite) al km 10.000 per pesce e carne (privilegiato il Pacifico): parallelo italico, prodotti Eataly (qualità medio-alta, prezzi molto alti);
c) infine il cibo degli Dei, in realtà la materia prima è quella b), la trattano chef stellati, non cucinano più, hanno un solo strumento, pinzette per ciglia finte usate per disegnare piatti, ove tutto è guarnizione, poco materia prima.
Mi soffermo su c), la genialità della business idea consiste nel far pagare all’avventore anche la presenza di clienti celebri. Se invece siete disposti a spendere cifre ancora più folli per una cena d’avanguardia radical chic (origlierete cose orrende su «The Donald», anche se il termine «palle», riferito a lui, ha un che di sognante da parte delle signore) consiglio quella con i batteri, il cibo che qua ha messo d’accordo carnivori, vegetariani e vegani (sono fuori solo i «crudisti» che sognano un ritorno al mondo prima della scoperta del fuoco). Dovete però sapere alcune cose.
Primo, tutti nasciamo con un patrimonio batterico che colonizza il nostro corpo, se siete nati col cesareo auguratevi che in clinica abbiano prelevato un tampone vaginale alla puerpera per strofinarlo sul viso e sul corpo del neonato in modo che prenda il patrimonio batterico della madre, e non del medico (oggi a NY è un must).
Secondo, imparate una locuzione che vi farà entrare nel giro che conta «Follow your gut», un caldo invito a mettervi a disposizione delle vostre budella, che voi non sapevate così ricche di batteri (da ragazzo un’estate mi sono dotato di batteri al mercato fiorentino di San Lorenzo per tutta la vita, mangiando matrice, poppe e centopelle).
Terzo, concordo con Andrea Grignaffini che ritiene l’improvviso amore dei radical chic per i batteri come una ribellione compensatoria alla cultura del germoglio, nella quale da anni convivono.
I radical chic non li invidio, vivono in un mondo di noia infinita.
*NOTA Secondo Angelo Codevilla c’è meno lobbying che moda. Purtroppo, l’uomo (e specialmente la donna) vive e muore secondo la moda del giorno.
di Riccardo Ruggeri, ItaliaOggi 2/6/2016