Silvia Berzoni, MilanoFinanza 2/6/2016, 2 giugno 2016
ENI VUOLE CRESCERE NEGLI USA – [Intervista a Claudio Descalzi] – Il suono della campanella di chiusura degli scambi dal tradizionale balcone del New York Stock Exchange, il roadshow con investitori e analisti, la decisione di spostare proprio qui, a New York, per la prima volta nella sua storia, l’aggiornamento delle strategie al mercato
ENI VUOLE CRESCERE NEGLI USA – [Intervista a Claudio Descalzi] – Il suono della campanella di chiusura degli scambi dal tradizionale balcone del New York Stock Exchange, il roadshow con investitori e analisti, la decisione di spostare proprio qui, a New York, per la prima volta nella sua storia, l’aggiornamento delle strategie al mercato. Eni punta dritto agli Stati Uniti, come conferma l’amministratore delegato Claudio Descalzi ai microfoni di Class Cnbc. «Per noi è un mercato molto importante. Sta crescendo sempre di più, sia operativamente che finanziariamente». Non nasconde l’emozione mentre celebra i vent’anni dalla quotazione di Eni sulla borsa più importante al mondo, né il sollievo di rivedere, per la prima volta in dodici mesi, un prezzo del petrolio che sembra aver raggiunto un equilibrio e che «potrà superare i 60 dollari entro la fine dell’anno». Domanda. Avete chiuso il primo trimestre con una perdita di 790 milioni. Il calo del prezzo del petrolio è stato bilanciato da un aumento della produzione e un forte contenimento dei costi. Che segnali avete dal trimestre in corso? Risposta. I fondamentali sono in miglioramento. Abbiamo abbassato il nostro break even a 27 dollari. Anche con un prezzo basso, purché non lo sia troppo, stiamo riuscendo a fare bene. C’è ottimismo per il futuro. Il mercato sta migliorando, non solo a causa degli eventi geopolitici ma perché la domanda rimane costante. Purtroppo sono diminuiti gli investimenti e il mercato sta anticipando una riduzione futura della produzione. Con la progressiva riduzione dello squilibrio tra domanda e offerta mi aspetto una crescita del prezzo del petrolio entro la fine dell’anno. D. Cinquanta dollari è un prezzo sostenibile? Molti sostengono che il greggio sia stato spinto da fattori di breve termine: i conflitti in Nigeria e in Libia, l’incendio in Canada, gli scioperi in Francia. E che a questi livelli i produttori di shale oil si preparino a tornare sul mercato. R. Non è completamente sostenibile ma è giustificato dai fondamentali. Oggi l’offerta supera la domanda di 1-1,4 milioni di barili al giorno. Gli Stati Uniti hanno ridotto la produzione di 600 mila barili al giorno, da gennaio l’Opec è stabile, la Nigeria ha perso circa 500 milioni di barili. Lo squilibrio tra domanda e offerta si sta riducendo. Inoltre, anche con il petrolio a 50 dollari, per i produttori di shale oil il recupero non sarà immediato: devono rimettere a regime gli impianti, richiamare contractor e personale, in un uno scenario in cui le banche - con le prospettive di un rialzo dei tassi - saranno meno disponibili a concedere denaro. Non sono un mago per dire se il petrolio raggiungerà i 60 dollari, ma se inizierà un trend positivo potrebbe succedere. D. L’Opec manterrà oggi lo status quo di aprile? R. Non mi aspetto risultati dalla riunione di oggi. L’Arabia Saudita è molto determinata a non trovare compromessi per una stabilizzazione della produzione. Quindi non succederà nulla di nuovo. Ma i prezzi del petrolio sono ormai dettati dai fondamentali, non c’è più nessuno che li controlla. È corretto che Paesi Opec e non Opec, come la Russia, si parlino perché un mercato così importante, come quello energetico, deve avere delle regole. È l’unica precondizione per investire. Se non si sa qual è il floor, il livello minimo del petrolio, diventa difficile investire miliardi. D. Parliamo del piano dismissioni. Che quota pensate di mettere in vendita del giacimento di gas in Mozambico? Chiuderete l’operazione entro l’anno? R. La quota da dismettere è tra il 20-25%. Vogliamo tenere il 25% e rimanere in Mozambico, un Paese su cui puntiamo e da cui non vogliamo andarcene. L’obiettivo è guadagnare riducendo l’esposizione alle nostre quote esplorative. Spero si riesca a chiudere entro la fine dell’anno. D. Qual è, invece, la situazione in Libia? R. La situazione mostra segnali di miglioramento, di stabilità. Il primo ministro sta lavorando per la nuova Libia: ha nominato ministri, costruito un governo, anche se giovane, unificato un esercito, fatto collaborare milizie di diverse origini. Quindi spero che questa Libia che si è riunita, possa essere la migliore risposta al terrorismo internazionale. L’Isis continua a rappresentare una forte preoccupazione, perché rischia di interrompere o ritardare il processo di ricostituzione. Dobbiamo aiutare la Libia a rimanere compatta. D. Sul fronte rinnovabili puntate a diventare il terzo operatore nazionale nel solare. Quali tempi per gli investimenti in Italia? R. Intendiamo rendere produttive aree dismesse su cui non si può più fare nulla. E questa è una grande opportunità. Vorremmo finalizzare e approvare il progetto di investimento entro settembre- ottobre, quindi iniziare le attività entro i primi mesi del 2017 ed essere operativi verso la fine del prossimo anno. È un progetto molto ambizioso ma possiamo farcela. di Silvia Berzoni, MilanoFinanza 2/6/2016