Pino Allievi, La Gazzetta dello Sport 2/6/2016, 2 giugno 2016
VENT’ANNI FA LA PRIMA DI SCHUMI
Il ricordo del 2 giugno 1996, quando Michael Schumacher conquistò la prima vittoria con la Ferrari, è fatto di abiti fradici di pioggia e di champagne distribuito a tutti quelli che passavano dal box. Un evento atteso con ansia, perché era chiaro che nel momento in cui Schumi e la Ferrari si fossero sbloccati, i successi sarebbero poi arrivati a raffica. E così è stato.
Vent’anni come oggi: la Nazionale italiana di calcio stava andando in ritiro per gli Europei, gli Usa si preparavano alle elezioni presidenziali mentre la Juve aveva appena conquistato la Champions. Schumacher ovviamente non sapeva che il 2 giugno era anche la festa dalla nostra Repubblica, ma che gl’importava? Le bandiere col Cavallino per la prima volta erano scese in piazza per lui. E lui aveva intuito che era l’inizio di qualcosa che avrebbe stravolto la sua carriera e la storia della Ferrari. Il piano quinquennale messo in atto da Montezemolo cominciava finalmente a dare frutti. Chi gioì più di ogni altro, a Montmelò, fu Bernie Ecclestone, l’uomo che aveva convinto Schumacher, fresco dei due titoli mondiali con la Benetton (Michael nella sua carriera ha vinto soltanto con macchine italiane), ad accettare la ben remunerata scommessa Ferrari, dopo aver dirottato a Maranello anche l’altro cardine dei successi arrivati a raffica sino al 2008: Jean Todt. Un mix diabolico che ha dato a Schumacher cinque titoli in rosso, cui ne è seguito un altro con Raikkonen quando alcuni degli uomini-chiave già se ne stavano andando.
«Con il trionfo in Spagna capii che cosa fosse la Ferrari. Prima, lo ammetto, non me n’ero reso pienamente conto», ci raccontò Michael a distanza di anni. Un discorso che si può allargare, perché anche la Ferrari tastò con mano l’immensa bravura di Schumacher, al pari degli italiani che ancora guardavano con diffidenza quel pilota tedesco molto atletico e molto teutonico nei modi, non conoscendolo affatto. Carattere chiuso e sospettoso, in realtà Michael si aprì in Ferrari diventando un altro, scoprendo che una squadra poteva anche essere una famiglia cui dedicare affetti, attenzioni, sensibilità. Non è un caso che proprio con la Ferrari abbia espresso il meglio di sè, stupendo il mondo con record e prodezze. Una identificazione pilota-team così intensa non c’è più stata né forse mai ci sarà più. Anni di magie, di primati, di salti sul podio e tanto altro. Poi il buio in cui Michael giace oggi e nel quale, forse, rivive certi momenti nella quiete, in una dimensione senza tempo né contorni, con la speranza che siano proprio i ricordi surrogati dal pensiero silenzioso di tutti ad aiutarlo a ritrovare pian piano una strada di ritorno.