Marco Ventura, Il Messaggero 2/6/2016, 2 giugno 2016
PACIFICO, SI GIOCA QUI IL RISIKO DEL XXI SECOLO
Si chiama Unclos, acronimo che sta per Convenzione dell’Onu sul diritto del mare, l’incubo di Pechino nelle acque strategiche e sterminate del Mar cinese meridionale che la Cina considera sue al 90 per cento. E si chiama arbitrato unilaterale chiesto dalle Filippine lo spauracchio che si agita in Cina come ultimo capitolo della remota ma attualissima disputa politica, diplomatica, militare e legale per la sovranità affermata da diversi Stati del Sudest asiatico sulla costellazione di atolli, isole, isolotti, scogli e scogliere sparsi nell’oceano, in particolare i circa 750 dell’arcipelago delle Spratly (Nansha in mandarino). Il vero braccio di ferro non è neppure quello che oppone Cina e Filippine (con gli altri paesi dell’area Pechino studia una soluzione negoziale), ma tra Pechino e Washington. La Cina rafforza le proprie difese e gli Stati Uniti intensificano missioni di navi e aerei a ridosso delle aree contese per sottolineare il diritto sancito dall’Unclos (anche se non ratificato dal Senato americano) alla libertà di navigazione e di commercio marittimo. Il risiko del XXI secolo si gioca qui, nel Pacifico, nel Mar cinese meridionale come in quello orientale dove il confronto riguarda principalmente Cina e Giappone. Ma non è un gioco. L’esibizione muscolare si gioca sul filo. I cinesi gridano alla provocazione ogni volta che navi o aerei militari americani si avvicinano troppo, al limite delle 12 miglia nautiche. I satelliti americani fotografano a loro volta guarnigioni militari, installazioni missilistiche e barriere di sabbia che configurerebbero una vera e propria militarizzazione cinese delle Paracel (Xisha in mandarino) e Spratly (Nansha). A complicare tutto c’è il dato di 5 trilioni di dollari di commerci che incrociano in quei mari e la scoperta, nel 1968, di giacimenti di idrocarburi nei fondali. Dal 1953 la Cina ha compilato, sulla base di una mappa che risale al 1947, una propria cartografia, la cosiddetta linea dei 9 punti o tratti, che fissa la sua storica sovranità su atolli fino a 50-40 di miglia nautiche da Stati come Vietnam, Malesia, Brunei e, appunto, Filippine. Nelle varie Spratly (Nansha) si sono create situazioni di fatto. Il Vietnam occupa 6 isole, le Filippine altrettante, la Malesia una, il Brunei si appella all’Unclos per una scogliera. La Cina reclama l’intero arcipelago ma controlla una decina di scogliere e considera cinese anche l’isola rivendicata da Taiwan. La storia di questo risiko si è accesa nei decenni. Le Filippine hanno trasformato in base di marines una vecchia nave arenata, la Sierra madre. Spina nel fianco dei cinesi.
Al ’74 risale una battaglia tra cinesi e vietnamiti nelle acque delle Paracel (Xisha). Speronamenti e cannoneggiamenti di navi nel 2014 dopo l’ancoraggio di una piattaforma petrolifera cinese al largo delle coste del Vietnam. Vita non facile per i pescherecci di varie nazionalità. La Cina risponde alle occupazioni militari illegittime installando batterie di lanciamissili HQ-9 da circa 200 km di raggio a Woody Island (Yongxing) sulle Paracel (Xisha), e con la costruzione nel 2015 di un’isola artificiale, Fiery Cross Reef nelle Spratly, dotata di pista aerea, tanto da far gridare al comandante della flotta americana nel Pacifico, Harry Harris, alla Grande muraglia di sabbia. Gli Stati Uniti, a loro volta, non perdono occasione di punzecchiare i cinesi con sorvoli e missioni navali ravvicinate, anche di spionaggio con ricognitori aerei, e sommergibili Sea Wolf. Nel 2015 un pattugliatore P89 sorvola il Fiery Cross Reef, in febbraio l’inchino del cacciatorpediniere USA Curtis Wilbur. Ora, gli sviluppi dell’iniziativa arbitrale del Vietnam avviata nel gennaio 2013, che pur con i tempi biblici del diritto internazionale comincia a costituire un problema per la Cina. Un pericolo nel Mare del pericolo. Manila si fa forte della prossimità delle isole e si appella all’Unclos e alla sovranità (sia pur limitata) entro le 200 miglia nautiche dalla costa. La Cina usa la storia, la diplomazia e il diritto consuetudinario. Sperando che la disputa non si trasformi in casus belli.