Carla Massi, Il Messaggero 2/6/2016, 2 giugno 2016
SACKS, SAGGI DI UMANITÀ
È stato all’alba degli ottant’anni che Oliver Sacks da medico si è fatto paziente. Allora, nel 2013, è entrato di prepotenza l’io tra i protagonisti della collezione letteraria del neurologo, scrittore, divulgatore d’eccezione, scienziato morto ad agosto scorso. Gli ottanta anni insieme all’aggravarsi del tumore ci hanno offerto un Sacks lucido e intimo capace di trasformare anche il suo caso clinico in un caso letterario. Quattro saggi in due anni per raccontare il peso, ma anche la piacevolezza, dell’età che avanza, la malattia (un raro melanoma ad un occhio aveva metastizzato nel fegato) e anche la morte. I quattro saggi, Mercurio, La mia vita, La mia tavola periodica e Shabbat, li ha raccolti Adelphi per la Piccola Biblioteca in Gratitudine che esce proprio oggi.«Non vedo l’ora di compiere ottant’anni» leggiamo in chiusura dello scritto Mercurio del luglio 2013. Un desiderio, un’attesa difficile, la consapevolezza di una nuova era per il dottor Sacks. «Ottanta! Quasi non riesco a crederci. Spesso mi pare che la vita stia per cominciare, ma subito dopo mi rendo conto che è ormai quasi finita».
TIMIDEZZA
Nella brevità del saggio c’è tutto: dal ricordo della madre a quando, a 41 anni, ebbe paura di morire durante un’escursione, al suo libro Risvegli, alla timidezza che lo ha accompagnato, alle parole dei pazienti fino allo spettro della demenza.Il cervello con la memoria, l’attenzione, la potenza del pensiero si ripresenta da protagonista non protagonista. Come nella sua produzione, da Emicrania del 1970 a In movimento uscito poche settimane dopo la sua morte. In Gratitudine non troviamo una vecchiaia polverosa e ripiegata, piuttosto un inno ad «un periodo senza impegni». «Un periodo in cui sono libero di esplorare quello che voglio - si legge in Mercurio - e di legare tra loro i pensieri e i sentimenti di tutta una vita».
IL MALE
All’età si aggiunge la malattia. E Sacks, proprio mentre sta entrando in sala operatoria, nel febbraio 2015, decide di amplificare la sua storia di paziente. In modo garbato e scarno. In La mia vita troviamo i temi ultimativi di un’esistenza. Come il coraggio e la voglia essere chiaro. Senza metafore e senza retorica. «Non posso fingere di non aver paura. A dominare, però, è un sentimento di gratitudine. Ho amato e sono stato amato. Ho ricevuto molto e ho dato qualcosa in cambio: ho letto e ho viaggiato e pensato e scritto».
SENTIMENTI
Il saggio infiamma gli animi, fa conoscere Sacks anche nella sua veste di uomo fragilmente forte. La reazione dei suoi lettori, confessò, gli aveva regalato un’inaspettata gratitudine. Perché il camice del neurologo si era fuso con quello del paziente, la penna del grande scrittore con quella di un uomo solo davanti al male. Dopo l’operazione, riprende fiato. Il dolore sembra sciogliersi. Tanto che si dedica alla scrittura, come ricordano la sua assistente Kate Edgar e il suo compagno Bill Hayes nella prefazione di Gratitudine, al nuoto, al pianoforte e ai viaggi. Un periodo breve ma produttivo. La mia tavola periodica è la sintesi della passione per la scienza. Sacks passa in rassegna i suoi amori, la biologia e la medicina. «Sono state le scienze fisiche a regalarmi il primo incanto, da bambino».
LA CASA
Dalla madre ai sogni da piccolo. Ma anche la nausea e gli improvvisi sfinimenti. Il dominio del piombo il timore di non arrivare al compleanno del polonio (l’ottantaquattresimo).Shabbat, il quarto e ultimo saggio, è uscito due settimane prima della morte. Anche in questo caso, nonostante la consapevolezza di una fine non troppo lontana, la cupezza è nascosta. Dietro i ricordi di un Oliver di religione ebraica, dei suoi genitori «ben coscienti del quarto comandamento»: «Ricordati del giorno di sabato per santificarlo». È tutto un sovrapporsi di immagini casalinghe (la preparazione, il venerdì, del polpettone di pesci diversi), rituali, incontri fuori della sinagoga. La persecuzione verso gli ebrei, la fine dell’osservanza formale della religione, la confessione, al padre, della sua omosessualità. Stigmatizzata dalla mamma con un grido: «Sei abominevole. Vorrei non fossi mai nato».Con una scrittura veloce in Shabbat racconta i ricordi che lo attraversano, sintetizza i suoi grandi eventi. «Scopro che i miei pensieri vanno allo Shabbat, il giorno del riposo, il settimo giorno della settimana e forse anche della propria vita».