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 2016  giugno 02 Giovedì calendario

Notizie tratte da.Salvatore Merlo, Fummo giovani soltanto allora. La vita spericolata del giovane Montanelli, Mondadori 2016, pp

Notizie tratte da.
Salvatore Merlo, Fummo giovani soltanto allora. La vita spericolata del giovane Montanelli, Mondadori 2016, pp. 226, 20 euro

Montanelli, nome completo Indro, Alessandro, Raffaello Schizogene (cioè generatore di contrasti, di discordie). Nato nel 1909 a Fucecchio «per insù» (la parte nobile del paese).

Papà Sestilio, figlio di fornaio, professore e preside di liceo. Ebbe atteggiamenti socialisteggianti in gioventù, poi si avvicinò al fascismo. Mamma Maddalena, «Mammettina»: famiglia di proprietari terrieri, il padre Alessandro, sindaco di Fucecchio, visse la Prima guerra mondiale come un tradimento di Sua Maestà l’imperatore d’Austria.

Militare di leva a Palermo, il diciottenne Montanelli venne colto da una violenta forma depressiva. Scrisse a casa, la madre si precipitò in Sicilia e rimase con lui cinque mesi, quasi tutto il tempo del servizio militare.

«Gli bastava che io fossi vicina a lui, perché io sola lo capivo e lo curavo. Quando lo riaccompagnavo in caserma, se non lo vedevo tranquillo, io tornavo a farmi vedere in piazza. E lui si affacciava alla finestra della sua stanza e mi vedeva. Allora stava tranquillo, andava a letto» (Maddalena Montanelli nel 1972).

«La mia eredità sono io». Non volle avere allievi, e nemmeno figli nonostante le tante donne e i due matrimoni, con Colette Rosselli e Margarethe de Colins de Tarsienne.

A vent’anni brillante studente di Giurisprudenza a Firenze. Però è irrequieto, come morso da un istintivo e confuso bisogno d’azione. Vuole andare all’estero, ma non per fare il diplomatico come vorrebbe suo padre. Sogna il giornalismo.

A Firenze passava da un amorazzo all’altro, e frequentò molti casini, come avrebbe fatto anche a Milano, nei primi anni al Corriere della Sera.

«In Italia un colpo di piccone alle case chiuse fa crollare l’intero edificio, basato su tre fondamentali puntelli: la Fede cattolica, la Patria e la Famiglia. Perché era nei cosiddetti postriboli che queste tre istituzioni trovavano la più sicura garanzia» (Montanelli in Addio Wanda! del 1956).

A Firenze, probabilmente dopo aver assistito a uno spettacolo al teatro Verdi, s’invaghì di Nanda Primavera, bellissima e allora famosissima attrice di rivista, che aveva undici anni più di lui. Scappò di casa e si aggregò alla sua compagnia teatrale itinerante, con la quale prese anche a esibirsi, in frac e cilindro. Quando si ripresentò in famiglia, non aveva una lira in tasca.

«No, le questioni sentimentali non hanno valore: decisamente non hanno valore, come ci si accorge dopo abbondanti esercizi sessuali (di questi, a Grenoble, se ne fa davvero: è l’unica cosa che si fa)» (Montanelli in una lettera a un amico da Grenoble, dove rimase sei mesi per studiare le lingue dopo la laurea in Giurisprudenza).

«Mi pare di aver letto un vostro articolo contro il razzismo. Bravo!». È il primo complimento che Montanelli ricevette per un suo pezzo, glielo fece Mussolini il 5 luglio 1934. Quel giorno lui e altri giovani e scapestrati redattori dell’Universale, quindicinale fiorentino di avanguardia fascista protetto da Bottai, erano stati accolti a Palazzo Venezia.

«Una schietta anima fascista»: Montanelli nelle referenze dell’Ovra intorno al 1934.

«Noi giovani (di allora) non avevamo “aderito” al fascismo. Ci eravamo nati dentro, e questo ci aveva esentato dalle scelte. […] Per noi la liberaldemocrazia era l’impotenza, il disordine, le divisioni faziose e, da ultimo, la diserzione e la resa» (Montanelli con Mario Cervi in L’Italia littoria).

«Lo confesso, quando vedo Mussolini mi si rimescola dentro, perché sono i miei vent’anni, i miei stupidi e bellissimi vent’anni. E non li posso rinnegare» (Montanelli a Gianni Bisiach nel 1972).

Montanelli nell’inverno del 1934 a Parigi, che gli appare «grandiosa, caotica, tentacolare». Legge con passione divorante La condizione umana di Malraux e Viaggio al termine della notte di Céline. Scrive per la Nuova Italia e poi è assunto a Paris-Soir. Conosce Webb Miller, corrispondente della United Press dalla capitale francese, un mito del giornalismo di guerra.

Ogni sei-sette anni, per tutta la vita, attacchi violentissimi di depressione.

Un rapporto fragile e inquieto con il sonno. Per dormire indossava una mascherina nera e metteva tappi di cera nelle orecchie. «Io parto per il sonno come i crociati partivano per Gerusalemme. Armati di tutto punto» (a Gianni Bisiach nel 1969).

Montanelli a New York, alla United Press, dove «vigeva un solo comandamento: “Scrivi in modo che ti possa capire anche il lattaio dell’Ohio”» (in Soltanto un giornalista, 2002).

«Sappia che io parto per colpa sua. Perché io vado in Abissinia per avere letto Kipling» (dalla corrispondenza con l’amatissimo scrittore coloniale inglese).

Nell’estate del 1935 Montanelli è in Africa Orientale, dopo essersi arruolato nell’esercito con il grado di sottotenente del Corpo truppe coloniali. Nel XX Battaglione eritreo comanda una banda di ascari che si muovono a piedi scalzi.

«Mai si ammirarono immagini di seni così turgidi e puntuti. Gli italiani del Sud, soprattutto, non vedono l’ora di partire; l’Abissinia ai loro occhi appare come una sterminata selva di bellissime mammelle a portata di mano» (Leo Longanesi).

Destà, la ragazzina africana di dodici o quattordici anni che l’attendente procurò a Montanelli. Gli fu compagna per due anni in Etiopia, poi Montanelli la cedette al generale Pirzio Biroli. «Alcuni imbecilli mi tacciarono financo di stupratore: quando chiunque abbia bazzicato i Tropici sa che a quelle latitudini a quattordici anni una fanciulla è donna fatta, e a venti è una vecchia» (in Soltanto un giornalista).

La foto di Destà, per oltre cinquant’anni appesa a una parete dello studio di Montanelli.

Roberto Farinacci, il gerarca che «non trovando nemici contro i quali scagliare bombe, le lanciava contro i pesci del lago Ascianghi: e quando una gli scoppiò fra le mani, per quell’impresa fu insignito di una medaglia d’argento» (in Soltanto un giornalista).

Filippo Tommaso Marinetti, che Montanelli un pomeriggio assolatissimo vide avvicinarsi al suo accampamento nel deserto, massiccio e dolente, barcollando in groppa a un vecchio mulo rachitico. Reliquia di un regime finito.

Le vanità del regime e i morti in battaglia: la crisi di coscienza di Montanelli, in Africa nel ’36, e la fascinazione intatta per Mussolini. «Amarlo. Ma non desiderare di essere le favorite di un harem. Aspirare alla Sua stima, ma non mendicare il Suo encomio. Amarlo: ma senza epilessia e senza il gusto sadico di farsene picchiare e schernire. Amarlo senza umiliarsi – difficile cimento – da quei liberi e forti uomini che debbono essere i figli di Mussolini» (in Mussolini e noi, 1936)

Il diario di Montanelli in Etiopia, XX Battaglione eritreo: recensito con entusiasmo da Ugo Ojetti sul Corriere, ristampato più volte, vende oltre ventimila copie e dà al giovane autore una certa notorietà in patria. Pesanti i tagli della censura fascista: «… che merda, che schifo, che indecenza», il commento di Montanelli in una lettera privata.

Leo Longanesi, «l’uomo più importante della mia vita, quello che più ho amato e odiato, il solo maestro che mi riconosca anche nelle giravolte più rischiose e nei più azzardati zig-zag» (Montanelli sul Corriere della Sera nel 1957). Il primo incontro, nella redazione di Omnibus, di cui Longanesi era direttore, nel 1937.

«Quest’uomo che dopo due ore di conversazione ci rimandava a casa collo spunto per un paio di romanzi, una mezza dozzina di commedie e una decina d’articoli, e che ha fatto scrivere tanta gente, di suo ha scritto poco» (Montanelli su Longanesi).

Su Omnibus scrivevano Mario Praz, Alberto Savinio, Renato Barilli, Corrado Alvaro, Mario Soldati, Alberto Moravia. Arrigo Benedetti faceva critica letteraria, Mario Pannunzio scriveva di cinema, Montanelli di tutto, come apprendista. A rispondere al telefono e a portare messaggi un giovane fattorino: Ennio Flaiano.

«Lei ha la stoffa per insegnare lo snobismo agli italiani. Lo faccia» (Longanesi a Mariù Rossi, che ribattezzò Irene Brin).

Nell’estate del 1937 in Spagna: Montanelli scrive per il Messaggero un articolo poco celebrativo sulla conquista di Santander da parte delle truppe italiane intervenute a sostegno di Franco («È stata una lunga passeggiata militare, con un solo nemico: il caldo»). Forse esagera, ma è finito l’innamoramento col fascismo. Lo espellono dal partito e gli ordinano il rimpatrio.

Nell’inverno del 1937 in esilio temperato a Tallinn, in Estonia, direttore dell’Istituto di cultura italiana. «Ai suoi corsi di lingua accorrevano specialmente le signore, perché era un bell’uomo, alto, snello, vestito sempre con eleganza ricercata, capelli neri e occhi grigio-verdi. Era pure un conversatore brillante, all’opposto degli estoni, piuttosto introversi e riservati» (Lydia Stix, una sua ex studentessa russa).

«In Estonia è ancora possibile una sistematica femminile basata sui due concetti capitali – invenzione meridionale e cattolica – della vergine e della prostituta. […] La donna estone è molto meno problematica della scandinava, anzi non lo è affatto: fa all’amore più di quanto ne parli» (Montanelli sulla Stampa nel 1938).

«Non c’è donna che, al di fuori di certi rapporti, non mi faccia rimpiangere la compagnia degli uomini e che a lungo andare non mi stanchi ed esasperi» (Montanelli sulla Stampa nel 1938).

Le donne di Montanelli: Nanda Primavera, la sciantosa con cui era scappato di casa a diciotto anni; una Graziella nel periodo francese; una Ingrid, «disponibile e generosa», in Norvegia; la giovanissima abissina Destà; la nobildonna irlandese Ethel a Londra. Nel 1938 conosce Margarethe de Colins de Tarsienne, Maggie, austriaca di nobili origini, che sposerà nel novembre del ’42 (dopo aver pensato nel ’40 al matrimonio con la ventiduenne finlandese Mary Mandeline).

Nei primi tempi del matrimonio, promise a Maggie di lasciare il giornalismo per dedicarsi al teatro e al cinema.

I matrimoni di Montanelli. Con Maggie durò pochissimo: nell’immediato dopoguerra erano già separati, anche se il divorzio arrivò solo nel 1951, quando lui conobbe Colette Rosselli. Sposò Colette solo nel 1974, quando la loro storia d’amore si era esaurita da anni e lui viveva già con Marisa Rivolta.

«Con Colette eravamo due scapoli che si erano sposati, poi ognuno rimaneva scapolo, ecco. Amo molto la mia vita solitaria, non rimpiango la vita di coppia che non ho mai fatto» (Montanelli nel 2002).

Il 9 settembre 1938 Montanelli firma il suo primo pezzo sul Corriere della Sera: un racconto di ambientazione canadese scritto in prima persona. Non può essere assunto perché non ha la tessera del partito, ma gli danno la qualifica di «redattore viaggiante». Prende meno di duemila lire di stipendio. Condivide l’appartamento in cui vive con Dino Buzzati e Guido Piovene.

Montanelli e Malaparte, che il giovanissimo Indro aveva molto ammirato: entrambi toscani, quando si conobbero finirono per starsi antipatici, e tali rimasero per tutta la vita. Ancora nel 1987, a trent’anni dalla morte di Malaparte, Montanelli lo definì «servo sciocco di Ciano».

«Quello che mi piace è il mestiere vero: la macchina, l’autista, il fango, l’odore della polvere da sparo, la galletta, la borraccia d’acqua, la tenda, la barba lunga, le opinioni del signor generale, quelle del semplice soldato, chi ha coraggio, chi ha paura: la verità: cioè il bello e il brutto insieme» (Montanelli alla moglie nel 1939).

Il mattino del 1° settembre 1939, a Berlino, Hitler parla al Reichstag, poche ore dopo che truppe tedesche hanno varcato il confine con la Polonia. Montanelli è nella tribuna stampa. Il Führer, pallidissimo in volto, veste l’uniforme da soldato semplice, con una sola decorazione. «Cominciò piano, poi la sua oratoria divenne sempre più calda, sovente la sua voce si irrugginiva nella raucedine. […] La sala continuava a restare silenziosa e immobile» (Montanelli in Cronache di guerra).

«Tutti dicono “la guerra sarà lunga”. Ma nessuno, in realtà, lo crede fermamente. Si ha molta fiducia nella nostra incapacità» (Longanesi nel 1941).

Montanelli contrario alla guerra: ne parlò con Pavolini, ministro della Cultura popolare, che a sua volta ne parlò con Ciano, ministro degli Esteri. Entrambi gli diedero ragione.

«Giovanni Ansaldo mi raccontò che Ciano lo aveva chiamato in preda alla disperazione. “Mussolini non sa cos’è l’America”. E Ansaldo: “Provi a mostrargli l’elenco telefonico di New York”» (Montanelli in Soltanto un giornalista).

La campagna italiana in Grecia: «Fu, come tutti sanno, un seguito di legnate. Mussolini si vendicò impedendo ai giornalisti di raccontarle» (Montanelli nel 1945).

La Resistenza, Salò, la guerra civile: «I più fecero come chi scrive. Cioè nulla. Ci lasciammo portare dagli avvenimenti quasi dissolvendoci in essi, e senza contribuirvi in un modo o nell’altro» (Montanelli in L’Italia dell’Asse).

Dopo l’8 settembre. Montanelli risultò subito nell’elenco dei nemici del fascismo, nonostante il suo fosse stato fino a quel momento un antifascismo intellettuale, da fascista deluso. Sparì in clandestinità, cambiò pettinatura, si fece crescere una barba folta. Per poco non entrò nella Resistenza.

Dopo l’8 settembre. Ugo La Malfa, allora funzionario della Banca Commerciale, fece incontrare a Montanelli Ferruccio Parri e Leo Valiani, Sandro Pertini e Edgardo Sogno. E all’amico Indro stirava pure le camicie e faceva il bucato.

Dopo l’8 settembre. Montanelli frequentò il salotto milanese di Maria José, la moglie del principe Umberto, «la belga», come la chiamava con disprezzo il re. Antinazista, antifascista, trasgressiva. Montanelli non smentì mai troppo le voci che si rincorrevano su una loro presunta relazione.

In contatto con le Brigate Giustizia e libertà del Partito d’Azione e forse anche con Edgardo Sogno, Montanelli si convince di prendere il comando di una formazione partigiana. L’incontro decisivo è sul lago d’Orta, nella villa dell’industriale Mario Motta, finanziatore della resistenza. Ma la villa è circondata dai tedeschi, che arrestano tutti i suoi ospiti. È il 5 febbraio 1944.

Montanelli in carcere a Gallarate. Interrogatori spossanti, ma non gli dicono qual è il capo d’accusa. Gli chiedono continuamente notizie sulla congiura del 25 luglio. Solo molto tempo dopo saprà: i tedeschi (e gli italiani) sospettavano che il complotto fosse nato a Palazzo Reale a Milano, dov’era stata relegata Maria José, e che lui in quel complotto avesse avuto parte attiva.

Mike Buongiorno messaggero d’amore per Montanelli. Vent’anni, biondino e magro, era internato a San Vittore, a Milano, in attesa di essere trasferito nei campi di lavoro in Germania. Riusciva a raggiungere l’ala femminile del carcere, dov’era rinchiusa anche sua madre. Montanelli, allora in infermeria, chiese aiuto al giovane italoamericano, che chiamava Mickey, per scambiarsi alcuni messaggi con la moglie Maggie, anche lei in cella nella sezione femminile.
Il 1° agosto 1944 la fuga da San Vittore. Organizzò tutto, o quasi, la madre Maddalena.

«Ecco perché diventai antifascista. Non perché al posto di Mussolini ci volevo un altro, ma perché non ci volevo nessuno. Io volevo stare alla finestra. […] Volevo avere il diritto di non pensare alla politica, di disinteressarmi della politica, perché la politica la gente dabbene non la fa. La gente dabbene lavora in ufficio, viaggia, commercia, produce, ama una donna che può anche essere sua moglie, ama i suoi figli, ama la sua casa, paga le tasse, e di politica ne parla un quarto d’ora al giorno. Solo i messicani ne parlano dalla mattina alla sera» (Montanelli nel 1945).

Vestiva dal sarto, su misura. Giorgio Torelli ricordò un afoso pomeriggio d’estate, nella stanza della direzione del Giornale, Montanelli al suo tavolo, Enzo Bettiza di fronte a lui. Bussano alla porta, entra «un piccolo uomo con un drappo nero appoggiato al braccio. È il sarto di Indro, porta un vestito nuovo da provare. “Oh, no, non adesso”, si secca subito Montanelli», che in risposta alle preghiere del sarto «si alza e taglia corto: “Capisco, amico, ma la prova non si può fare. Io, l’estate, non porto le mutande”».