Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  giugno 01 Mercoledì calendario

EDDIE THE EAGLE

Forse anche voi vi siete appassionati alla storia del Leicester City. Se la vittoria del campionato inglese da parte di una squadra di ex operai e scarti di squadre famose vi ha commosso, dovreste conoscere Michael «Eddie» Edwards. O meglio: Eddie the Eagle, Eddie l’Aquila.
Era il 1988, l’Olimpiade invernale di Calgary. Il trionfo di Eddie non fu una medaglia, ma l’impresa di atterrare in piedi dopo un salto di 70 metri, e arrivare ultimo però con un punteggio riconosciuto che ha fatto di lui un olimpionico a tutti gli effetti.
Perché nel 1986, due anni prima del salto, Eddie era un imbianchino inglese con il sogno di partecipare ai Giochi olimpici. Non aveva talento né fisico né coordinazione ed era pure miope. Aveva solo due possibilità per andare a un’Olimpiade: comprare un biglietto oppure scegliersi l’unico sport per il quale il suo Paese, il Regno Unito, non avesse nemmeno un atleta. Lo sport più pazzo: il salto con gli sci.
Il 2 giugno esce Eddie the Eagle, il film che racconta questa incredibile storia, con Taron Egerton nel ruolo di Eddie e Hugh Jackman in quello del suo allenatore. Il sottotitolo italiano è Il coraggio della follia, e c’era un solo modo per approfondire questo concetto e raccontarvelo: provare davvero il salto con gli sci.
In volo per la Norvegia, penso che mi poteva andare peggio: il film poteva essere, per dire, Revenant, e il «provato per voi» consistere in una lotta con il grizzly. In realtà sono parecchio spaventato e non so che cosa aspettarmi da una disciplina che, vista in Tv, è tanto spettacolare quanto irreale. Come sarà, visto da dentro, un volo di un centinaio di metri? (Spoiler: terrificante, e liberatorio.)
Perché, a saltare, si comincia presto. «Io ho iniziato a tre anni», mi dice Bjørn Einar Romøren, per sei anni detentore del record mondiale, gloria della Norvegia (patria di questo sport, inventato nel 1809 dall’ufficiale dell’esercito Olaf Rye). Poi mi squadra e fa: «Il problema di questo sport non è il volo, ma l’atterraggio». Capisco di essere di fronte a quella variante della comunicazione umana che è l’umorismo scandinavo, e capisco anche che Bjørn ha ragione: il punto non è staccarsi dalla sbarra di metallo con una leggera spinta, sciare lungo il trampolino e saltare. Il punto è atterrare abbastanza integri da poterlo raccontare. Eddie the Eagle non aveva l’aria di uno che l’avrebbe raccontato. E nemmeno io, per quel che vale.
I risultati del salto con gli sci si misurano in lunghezza: «Il nostro vero avversario però non sono gli altri saltatori, è la forza di gravità. Mentre salti non pensi alla gara, alle medaglie, alle misure, pensi solo a non farti tirare giù dalla gravità prima del tempo. Quando tutto funziona nel modo giusto, il tempo lassù si ferma». Il detentore del record del mondo maschile è Anders Fannemel (Norvegia) con 251 metri, quello femminile è di Daniela Iraschko-Stolz (Austria), 200 metri. Il massimo risultato di Eddie fu 70 metri. «Abbiamo 200 ragazze che nelle giovanili saltano già più di lui», dice Erik Stein Johnsen, che a quei Giochi di Calgary vinse la medaglia d’argento. Agli occhi di un professionista, insomma, il risultato di Edwards è una barzelletta. Ma guardo l’Holmenkollbakken che svetta e non mi viene da ridere.
La prima parte dell’allenamento è tutta sulla neve: si cerca l’equilibrio e lo stile saltando da un mini trampolino o tenendosi in equilibrio su una corda tra i tronchi. «Oggi le tecniche vere di allenamento sono più sofisticate, ma volevamo farvi provare qualcosa di autentico».
Il passo successivo è il salto sulla pista da 40 metri, quella dei bambini. Per farmi coraggio, ripenso all’orso di Revenant. Miracolosamente, atterriamo tutti senza fratture e i paramedici che sorvegliano la scena possono continuare a bere caffè bollente. Il giorno dopo toccherà andare all’Holmenkollbakken, il dinosauro.
Dal trampolino, salteremo imbracati a una specie di funivia. Un salto che non ha alcun valore sportivo, ma perfetto per capire la follia di Eddie. La discesa dura circa 6 secondi, il salto leggermente di più, ma non si arriva a dieci. Si superano i 100 chilometri all’ora, e a quella velocità non hai paura di schiantarti perché ti dimentichi di avere un corpo. Quando tocco terra, le uniche prove del fatto che ce l’ho, un corpo, sono il respiro affannato e i battiti impazziti del cuore.
L’impresa di Eddie è iniziata da un sogno. Se però è riuscito a tenere per 18 mesi un ritmo di allenamento da 60 salti al giorno, e a raggiungere un risultato irrilevante nella storia dei Giochi ma così incredibile nell’ordine generale del mondo, è perché voleva rivivere, ancora e ancora, la sensazione che ho appena provato io.