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 2016  giugno 01 Mercoledì calendario

GALATEO ADDIO!


Premessa. I gamberi alla buzera (o busara) sono una tipica preparazione istriana, pare (benché anche altri la rivendichino), basata su gamberi (o scampi) cotti nel pomodoro. La tradizione chiede di cuocerli interi nella salsa. Dopo vengono portati in tavola e qui sgusciati e mangiati. Solo che nessuno, neanche il miglior cuoco del mondo, li sa sgusciare con le posate, bisogna proprio usare le mani, ovviamente non appena la temperatura del sugo è umana.
Qual è il problema? Che sono fradici di pomodoro e quindi quando li sgusci questo schizza da tutte le parti: se sei bravo riesci un po’ a contenere questi schizzi, se sei meno abile arrivano al soffitto e oltre.
Oggi molti sgusciano i gamberi, cuociono teste e gusci col pomodoro in modo di insaporirlo bene, poi filtrano e cuociono i gamberi in questo sugo profumato. Onestamente è quasi la stessa cosa ma quello sgusciare a tavola, schizzi inclusi, è il classico rito che amo. L’ho celebrato però poche volte, soprattutto nella Laguna Nord di Venezia (quella Sud è proprio un’altra cosa, ma fermiamoci qui che il discorso diventa complesso...) e all’aperto, sotto pergolati, dove gli schizzi erano un problema meno grave, vestiti esclusi.
Seconda premessa. Ahimè un numero eccessivo di anni fa, in un ristorante di pesce di un certo tono vicino a Brescia che oggi non c’è più, ci proposero dei gamberi alla buzera: la loro specialità, dissero.
Io commentai: e gli schizzi? Nessun problema, risposero, e ci misero al collo degli enormi bavaglini, anzi bavaglioni, per non sporcarci. Erano ottimi, ma alla fine i bavaglioni erano pressoché fradici, la tovaglia pure, e un poco lo erano persino i nostri vestiti, anche se nessuno se ne preoccupava.
Mi venne spontanea una frase: la prossima volta voglio mangiare nudo in riva al mare, per goderli al massimo.
Veniamo a noi. Pochi anni dopo affittai in Turchia, con degli amici, una barca a vela, quella che noi chiamiamo caicco mentre loro la chiamano goletta. L’ho fatto cinque volte in vita mia, sempre con grande piacere. Il viaggio fu perfetto, la barca era bella, il capitano simpatico come lo era il resto dell’equipaggio, il cuoco era bravo ai fornelli e bravissimo a fare i cocktail: fu una vacanza ad alta gradazione alcolica.

UN GIORNO, verso le quattro di pomeriggio, sonnecchiavo sul ponte della goletta che era ancorata non lontano da Kas. Si avvicinò una barca di pescatori, il capitano parlottò con loro. Poi venne da me, che inevitabilmente ero il coordinatore dell’area food, e mi disse: «Ci sono dei pescatori con degli splendidi gamberi appena pescati, due casse. Interessa?». Fu un lampo. Di colpo, mi rammentai quella frase concepita al ristorante bresciano e quindi risposi subito: «Ma certo!». Poi raccontai la storia agli amici e tutti accettarono il mio invito: quella sera avremmo cenato su una spiaggia, nudi. Feci collocare un tavolo e delle sedie di plastica direttamente sulla battigia, in una tranquillissima baia. La salsa di pomodoro l’avevo fatta preparare in anticipo sulla goletta. Misi sulla sabbia dei sassi, sopra di essi appoggiai la teglia con il pomodoro. E su questo arcaico fornello cucinai alla buzera le due cassette di gamberi (togliere tutti i budellini neri fu l’unico dramma, e virilmente lo volli fare da solo, da vero fesso...).
Alla fine, nudi attorno al tavolo, ci gustammo «i gamberi, incuranti degli schizzi di pomodoro, anzi tirandoci goliardicamente addosso i gusci ancora sporchi, tanto bastava un rapido bagno per pulirsi. Un ricordo senza pari. Poche altre cene ho goduto di più nella mia vita.