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 2016  giugno 01 Mercoledì calendario

GLI OCCHI (TRONFI O TRISTI) DEGLI ANNI ’80

Ero a New York quando ha vinto Trump, quando è morto Prince. Trump è l’incarnazione dell’allegria più grassa, il tipo d’uomo che cialtroneggia e diffonde ottimismo, egotismo, senso del piacere: piacere di darle, di far fuori l’avversario, di dileggiare i nemici, di beffare un’intera nazione con i suoi “tons of money, tremendous amounts of money”, con il suo linguaggio da quinta elementare, la sua astuzia da commerciante in politica. Prince, che era l’altra notizia di quei giorni tumultuosi, contendeva gli schermi dell’informazione e i monitor delle storie in caduta libera al rapace dai capelli arancione, all’uomo che ha in testa uno scoiattolo. Era morto solitario e forse malato o dipendente da medicine e droghe, incassato in un ascensore del suo compound-studio di Paisley Park, in quel nowhere che fu la sua patria originaria, il Minnesota, e da subito era esplosa una mania di dolore e di rimembranza mista a rivelazioni più o meno serie e a gossip frenetici su eredità, archivio, biografia. Trump vince, e siamo negli anni ’8o, gli anni del suo best-seller The Art of the Deal, dove è tutto più o meno scritto: “Sometimes it pays to be a little wild” o “I want to be more aggressive”. Prince muore, e siamo negli anni ’8o di Purple Rain, ma non è come per l’altro il trionfo dell’uomo bianco, blue e white collar, del lavoratore frustrato, è la fioritura dell’androgino nero, dell’uomo elettrico e trasgressivo, del musicista che si fa globale dalla base di Minneapolis, amico di Miles Davis e ammirato da Freddie Mercury.

Ma la vera differenza è negli occhi. Quelli di Trump sono gli occhi della soddisfazione di vivere per se stessi in una dilatazione dell’Ego, della politica come esito degli affari e loro complemento, della famiglia tradizionale moltiplicata per tre, dell’agenda fitta di transazioni e di cocktail nel favoloso mondo del Real Estate di Manhattan e della sua proiezione nazionale e mondiale. Quelli di Prince sono occhi invariabilmente tristi, malati di malinconia anche nei momenti talk, rari e imbarazzati, occhi pieni d’ombra e di sensuale corruzione dell’arte e della vita. Mi sono domandato se il rock, o come altro vogliamo definire la musica a larga capacità di fuga di un artista come Prince, abbia in sé la tristezza di quegli occhi, sia qualcosa di cupo e tremolante come un presagio del destino. Prince è morto a 57 anni, tardi per gli standard della maggioranza dei musicisti dell’Ottocento, prestino direi per gli standard o aspettative di vita dell’Occidente di questo secolo. Aveva una famiglia allargata, una corte da star, ma nessuna famiglia. Poco prima di morire, una breve in poche righe aveva segnalato la sosta in emergenza del suo aereo non-so-dove, per cure necessarie.

La vita maledetta come un’arte di morire a tempo indebito è quasi una costante della musica pop-rock e dei suoi eroi, questo si sa ed è perfino banale. Salvo eccezioni commerciali, il successo è nell’effimero, nel precario, nell’esperienza di unicità e passaggio così più importante dell’essere e del permanere. La festa mortuaria per Prince aveva qualcosa di surreale nei media televisivi. Il demonio alto uno e cinquantotto, l’esclusivo costruttore di mitologie sessuali e orgiastiche, l’artista dall’identità incerta circondato da simboli e leggende da sottocultura pseudoreligiosa, insomma la pop-rock star ricca e amata dalle folle, ma incastrata nella vita, ecco, Prince diventava nelle evening-news e nelle all-news una specie di virtuoso e pedagogico inno alla storia di successo, ma quegli occhi tristi sembrava li vedessi solo io, un europeo sazio di tutta quell’allegria scintillante emanata dall’altro emergente degli anni ’8o che ora vuole fare il Presidente degli Stati Uniti. Negli spezzoni documentari, dal celebrato al privato, dove Prince era mezzo nero poi mezzo bianco e cambiava look con una versatilità iconoclasta che ha il suo parallelo solo nella figura eccessiva di Michael Jackson, tutto sembrava possibile, sesso, guerra e incandescenza, tranne un sorriso di amore e di tregua.