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 2016  maggio 30 Lunedì calendario

ARTICOLI SULLE ELEZIONI AMMINISTRATIVE DAL SOLE 24 ORE DI LUNEDI’ 30 MAGGIO I dati degli ultimi turni elettorali dicono che la passione politica degli italiani si sta via via spegnendo, ma i numeri delle liste suggeriscono il contrario

ARTICOLI SULLE ELEZIONI AMMINISTRATIVE DAL SOLE 24 ORE DI LUNEDI’ 30 MAGGIO I dati degli ultimi turni elettorali dicono che la passione politica degli italiani si sta via via spegnendo, ma i numeri delle liste suggeriscono il contrario. Domenica prossima si andrà al voto in più di 1.300 Comuni e nelle urne aperte nelle regioni a Statuto ordinario - oltre che in Friuli, Sicilia e Sardegna - si sfideranno più di 77mila candidati per agguantare uno dei 22.542 posti messi in palio dalla politica locale: in pratica, un candidato ogni 162 elettori. Certo, non tutti ci sperano davvero. L’elenco sterminato dei politici locali e degli aspiranti tali, però, disegna una politica sul territorio estremamente articolata, che abbraccia tutte le età e i ruoli sociali e soprattutto si allontana dalla polarizzazione che caratterizza il dibattito nazionale. In tanta ricchezza, si aprono due falle: le donne in corsa sono ancora in netta minoranza e i senior sono più numerosi dei giovani. A correre per la poltrona di primo cittadino sono in 3.602: 2.974 uomini e 628 donne. Il candidato sindaco medio, sulla base dei dati raccolti dal ministero dell’Interno - che tengono conto delle pronunce dei Tar nei confronti delle liste escluse, ma non dei verdetti del Consiglio di Stato - è un maschio cinquantenne. La media, naturalmente, è figlia delle situazioni più diverse. A Santa Maria Capua Vetere (Caserta) si incontra il candidato sindaco più anziano d’Italia, Elio Sticco, che a novembre compirà 89 anni e intanto guida la lista civica «Lo specchio». A Triggiano, in provincia di Bari, Claudio Campobasso ha invece appena compiuto i 18 anni indispensabili per tentare la corsa in testa alla lista del Partito comunista dei lavoratori. In media, le candidate sono un po’ più giovani dei loro colleghi maschi (48 anni contro 51), ma sono soprattutto pochissime: solo il 18% delle liste propone una donna alla guida del Comune, con il risultato che nemmeno dopo l’ondata dei rinnovi il panorama di genere dei primi cittadini riuscirà a scostarsi dal quadro attuale, in cui l’83,7% dei Comuni è amministrato da un uomo. Decisamente più variopinto è il panorama delle liste e dei simboli che affolleranno le schede elettorali, non solo per il fatto che nelle grandi città i votanti dovranno destreggiarsi nella piegatura dei sempre più ampi lenzuoli di carta. Un segno nuovo dell’evoluzione dei partiti, che diventano più leggeri al punto da “staccarsi” dal terreno. Nei Comuni medio-piccoli le insegne della politica nazionale si trasfigurano in versione locale oppure, ancora più spesso, lasciano campo libero alle liste civiche, spesso completamente slegate dai concetti di destra e di sinistra. Su 4919 liste in gioco (i candidati sindaci possono essere ovviamente sostenuti da più liste) le civiche vere e proprie sono 3.794, cioè qualcosa più del 77%, e in altri casi sono i partiti o le coalizioni a darsi una coloritura civica. La sigla nazionale più presente, allora, diventa quella dei Cinque stelle, anche per la forza del brand e l’assenza di alleanze, che domenica comparirà sulle schede di 230 Comuni. Il Pd in forma classica è presente invece solo 135 volte (ci sono poi 80 liste di centrosinistra in composizione varia), mentre Forza Italia sarà su 89 schede (ma ci sono 90 articolazioni del «centrodestra»), contro le 82 della Lega, alla quale si affiancano 25 Comuni in cui corre «Noi con Salvini». **** Si vota dalle 7 fino alle 23 e subito dopo inizia lo scrutinio – Tutto in un solo giorno: i seggi delle elezioni amministrative rimarranno aperti solo domenica prossima, dalle 7 alle 23. E così sarà anche per l’eventuale ballottaggio, che si terrà due settimane più tardi, il 19 giugno. Eventualità questa che interesserà i Comuni con più di 15mila abitanti, mentre in quelli con una popolazione inferiore la possibilità dello “spareggio” si potrà concretizzare solo nel caso - piuttosto remoto - di parità di voti tra i due candidati sindaco con più preferenze. Alle elezioni ci si deve preparare per tempo. Se non altro per cercare e verificare lo stato della tessera elettorale. Sarebbe seccante - oltre che impegnativo - scoprire proprio il giorno del voto che la tessera è “esaurita”. Non c’è, cioè, alcuna casella in cui apporre il timbro delle nuove elezioni. Possibilità non così remota. A Roma, per esempio, si trovano in una condizione simile diverse centinaia di migliaia di elettori. Scoprirlo per tempo, invece, permette di andare senza troppa ansia all’ufficio elettorale del Comune di residenza e chiedere una nuova tessera. Ricordando che nei due giorni prima delle elezioni gli uffici elettorali osserveranno l’orario continuato: dalle 9 alle 18. I ritardatari potranno chiedere una nuova tessera anche il giorno del voto, quando gli uffici elettorali resteranno aperti dalle 7 alle 23. Ricordarsi, inoltre, di presentarsi al seggio muniti di un documento di riconoscimento. Va bene la carta di identità o altro documento (con foto) rilasciato da una pubblica amministrazione. Ma sono accettati anche i tesserini - sempre, ovviamente, con foto - rilasciati da un Ordine professionale. Una volta dentro la cabina, bisogna fare attenzione alle modalità di voto. Va, infatti, ricordato che nei Comuni sotto i 5mila abitanti si può esprimere una sola preferenza per i candidati a consigliere comunale. In quelli oltre i 5mila abitanti, le preferenze possono essere due, ma in tal caso va rispettata la parità di genere: se la prima preferenza è per un uomo, la seconda deve essere per una donna o viceversa, pena l’annullamento della seconda preferenza. Allo scoccare delle 23 - chi è dentro o in prossimità del seggio può comunque votare - si darà inizio alle operazioni di scrutinio, che verrà effettuato una volta chiuse le urne e dovrà essere completato nelle successive dodici ore. *** L’avanzata delle liste civiche: ai partiti nazionali solo il 27% – C’è l’antipolitica, la rabbia,, la passione (anche calcistica) e ci sono anche centinaia di piccoli interessi locali nella valanga di liste civiche che ha contagiato anche i Comuni capoluogo al voto il 5 giugno. E se a Roma ,per la prima volta, in questa tornata di amministrative sono assenti le classiche liste-civetta Forza Roma e Avanti Lazio, a Torino non manca invece il grintoso Forza Toro e a Bologna G.o.l. (acronimo di Giustizia, onore e libertà) Qualcuno per farsi capire meglio dai proprio concittadini ha scelto il dialetto. A Napoli tra i sostenitori di De Magistris spicca il movimento Ce simme sfasteriate, espressione sconosciuta fuori Regione e anche difficilmente traducibile. Il termine “sfateriate” rimanda a un sentimento misto di rabbia, stanchezza e disillusione. Segue nello stesso apparentamento politico e linguistico, il Mo! Napoli autonoma, quasi a voler indicare il passo successivo (replicata a Caserta con Mo c’è speranza) . Sulla scia della tendenza nazionale, anche nei 18 capoluoghi di provincia al voto domenica prossima le istanze del territorio prevalgono rispetto a quelle dei partiti nazionali: su 344 liste censite nelle città medie, da Benevento a Villacidro (si veda il grafico in alto) ben 219, ovvero due su tre sono espressione di movimenti cittadini portatori di istanze locali. Il simbolo della crisi dei partiti tradizionali - almeno in campo cittadino - è proprio il Comune sardo di Villacidro: qui, si sfidano solo quattro liste, tutte civiche, senza alcun richiamo ai simboli di partito. Spesso poi la lista richiama anche nel nome obiettivi minimi: a Trieste, ad esempio, è nata No Ferriera, per la chiusura dell’impianto siderurgico di Servola. Non mancano poi gli schieramenti che occhieggiano a nomi e simboli più famosi: tra gli altri, il Grillo Parlante a Roma e, sempre nella Capitale, la Lega centro con Giovanni ( e non Matteo) Salvini. Altre volte, invece, la lista civica si presenta fin dal simbolo «congiunta» con i partiti politici tradizionali e a sostegno dei loro candidati. Anche in questo caso con qualche super affollamento: a Cagliari il sindaco uscente Massimo Zedda è appoggiato da 11 liste, mentre a Napoli Luigi De Magistris ne ha dalla sua ben 12. Nelle città medio piccole, comunque, l’affollamento di liste e candidati aspiranti a un seggio in consiglio comunale si fa davvero sentire: a Cosenza il manifesto elettorale riporta 938 nomi (ed è record), uno ogni 780 abitanti, sparpagliatoi su 30 liste. Quasi il doppio rispetto a Milano e solo tre in meno rispetto alla Capitale. Stessa lenzuolata anche a Latina dove, date le dimensioni della citta, il rapporto si riduce a un aspirante alla poltrona ogni 131 abitanti. Imbattibile, però, resta il primato di Napoli. Nella città partenopea, dopo la tornata di esclusioni e riammissioni dellla magistratura, gli elettori dovranno destreggiarsi tra ben 41 liste, più o meno equamente distribuite tra 23 civiche e 18 riconducibili a partiti politici nazionali. E poiché ognuno cerca di riempire il proprio elenco con il massimo dei candidati, per racimolare anche poche decine di preferenze in più, il risultato è che sul manifesto partenopeo devono trovare spazio stavolta oltre 1.500 candidati. *** Il decano ha 92 anni, il più giovane 18 Il gruppo più ampio tra 40 e 50 anni – Ha novantadue anni. Ma deve essere ancora pieno di energia, Attilio Piggianelli. Tra quelli delle grandi città è il candidato che vanta il record di longevità (92 anni e tre mesi)?tra tutti gli aspiranti consiglieri. Ma probabilmente non è il suo unico primato: l’ultranovantenne, infatti, è sceso in campo in due città: a Torino con la lista Forza Toro e a Roma con la Lega centro con Giovanni Salvini (attenzione all’omonimia). Un impegno anomalo e gravoso attenuato dalla posizione in lista (32°?posto a Torino e 19°?a Roma)?che non lascia molte speranze di essere eletto e fa piuttosto pensare alla necessità di saturare comunque le liste che tutti i raggruppamenti minori hanno. Al lato opposto della scala si trovano i neomaggiorenni: tra questi Aldo Maria Biscardi (l’omonimo nipote del giornalista sportivo) che ha compiuto 18 anni solo la settimana scorsa, altri tre diciottenni a Napoli e una neomaggiorenne a Trieste. L’età Guardando all’età complessiva dei candidati nei sette capoluoghi di Regione al voto si scopre che è Napoli la città con più giovani under 30 in lista: in tutto 255. Ma più che per scelte politiche il record deriva dal numero incredibile di pretendenti alle poltrone cittadine: oltre 1500, di cui appunto i giovanissimi rappresentano non più del 16 per cento. Quanto agli aspiranti primi cittadini da segnalare Chiara Appendino, 32 anni, in corsa con il Movimento 5 Stelle a Torino e il milanese Nicolò Mardegan di 33 anni alla guida della lista civica NoixMilano. Ma in generale le grandi città seguono la tendenza nazionale a favorire candidati di mezz’età: il 27% degli aspiranti consiglieri è nella fascia tra i 40 e i 50 anni di età, a cui si aggiunge un altro 25% di uomini e donne dai 50 ai 60 anni. E i giovani si trovano spesso indietro nelle liste. Le donne Nelle grandi città le regole sulla preferenza di genere sono decisive per far aumentare le quote rosa. Nei Comuni con più di 15mila abitanti, si possono esprimere fino a due preferenze, ma una deve essere per una donna. E, infatti, i sette capoluoghi vantano tutti più del 40% di donne in lista. Fanno ancora meglio Torino con il 44,8% e Cagliari con il 44,5 per cento. Dove invece pesa ancora - e parecchio - il gap di genere è per la carica di primo cittadino nelle metropoli: se si eccettua Napoli in cui su 10 aspiranti tre sono donne, nelle altre realtà le donne sono una rarità che non va oltre l’11% (al di sotto anche della media nazionale pari al 18 per cento). Con ben quattro città maglia nera: a Milano, Bologna Trieste e Cagliari si registra solo una candidata a sindaco di sesso femminile. E nella folla dei 17 «pretendenti al trono» di Torino, le donne sono solo due. *** Capoluoghi di provincia, 19 su 25 sono in mano al centro-sinistra – Dei 1.342 Comuni che domenica andranno al voto, la stragrande maggioranza (1.193) ha una popolazione inferiore ai 15mila abitanti. Dunque, sono 149 i municipi medio-grandi che si recheranno alle urne e di questi 18 sono capoluogo di provincia e 7 capoluogo di regione. Sono soprattutto questi ultimi a far la parte del leone, perché da soli chiamano alle urne 6,4 milioni di persone, ovvero il 48,2% dei complessivi 13,3 milioni di elettori impegnati nelle prossime amministrative. Se si considerano tutti i 25 Comuni capoluogo (sia di regione, sia di provincia), si arriva a 7,8 milioni di persone al voto, ovvero il 58,6% del totale. È chiaro, dunque, che gli occhi degli analisti politici saranno puntati soprattutto sui sette capoluogo di regione, perché il risultato delle urne avrà ricadute anche sulla lettura delle prossime mosse dei partiti nazionali. La più fluida è la situazione romana, a partire dai presupposti che hanno portato a questa tornata elettorale. Dopo l’uscita di Ignazio Marino (Pd), il Campidoglio è nelle mani del commissario Francesco Paolo Tronca. Roma è, dunque, uno dei 162 Comuni dove si va al voto per motivi diversi dalla scadenza naturale di giunta e consiglio. Anche a Milano gli scenari sono aperti. Il sindaco Giuliano Pisapia (centro-sinistra) ha deciso di non ricandidarsi, per cui la partita ora è aperta e se la contendono in particolare Giuseppe Sala (candidato del centro-sinistra) e Stefano Parisi (centro-destra). A Napoli, invece, l’attuale sindaco Luigi De Magistris (eletto con il centro-sinistra), si ripresenta. Così fa Piero Fassino a Torino, Massimo Zedda a Cagliari, Virginio Merola a Bologna e Roberto Cosolini a Trieste, tutti eletti nelle liste del centro-sinistra. Per quanto riguarda, invece, la situazione dei 18 capoluoghi di provincia, le amministrazioni uscenti sono soprattutto di centro-sinistra (13), mentre quelle di centro-destra sono due. C’è poi il caso di Olbia, dove il sindaco Gianni Giovannelli, ex esponente di Forza Italia, alle ultime elezioni è stato sostenuto da una coalizione di liste civiche, mentre a Caserta e Latina sulla poltrona di primo cittadino siede ora un commissario. *** Ai nuovi eletti il compito di gestire 25 miliardi di euro – Il voto di Milano sarà un test per misurare la tenuta del Pd modello Renzi, quello di Roma servirà alle opposizioni per capire qual è il centrodestra più competitivo nella sfida del governo. Ma fuori dalla ristretta cerchia dei più o meno addetti ai lavori della politica, saranno altre le parole chiave delle elezioni: sia per gli aspiranti sindaci e consiglieri comunali, sia per i loro elettori. La ragione è in un numero: gli amministratori che usciranno vincitori dalle urne di domenica prossima, e dai ballottaggi del 19 giugno quando nei Comuni sopra i 15mila abitanti nessun candidato raggiungerà la maggioranza assoluta al primo tentativo, dovranno amministrare qualcosa come 25 miliardi di euro. È una cifra da manovra di quelle pesanti, e si traduce in tasse, tariffe, servizi e gestione del personale. Per misurare il conto bisogna guardare i dati complessivi delle entrate e delle uscite comunali, e parametrarli per ogni fascia demografica alla quota di Comuni interessati dalle elezioni. A far crescere la cifra finale, basata sui numeri degli incassi e dei pagamenti effettivi per dare il quadro realistico della situazione effettiva, sono naturalmente le città più grandi. Roma, Milano, Napoli, Torino e Bologna “valgono” da sole quasi undici miliardi di euro ma, come mostrano i grafici in questa pagina, i valori sono ben distribuiti lungo tutta la filiera degli enti locali. Valori, qui sta il punto, tutt’altro che immutabili, e toccherà ai prossimi amministratori deciderne l’evoluzione. I primi capitoli a cui mettere mano non sarà quella delle tasse o delle tariffe, regine classiche del dibattito ma ora bloccate dalle scelte del governo o di chi ha guidato finora il comune chiudendo il bilancio. Chiuse le bottiglie dello spumante e indossata la fascia tricolore, allora, è bene che i nuovi amministratori guardino subito alla voce “investimenti”: per loro natura, gli investimenti hanno bisogno di tempo per tradursi in realizzazioni, per cui qualche distrazione di troppo all’inizio rischia di essere pagata a lungo. Detta così può apparire un’utenza troppo teorica, ma basta guardare allo stato delle nostre strade o alla condizione di tanti territori a rischio di dissesto idrogeologico intorno ai comuni per capire che il tema è dei più concreti. Depressi per lunghi anni dal Patto di stabilità e da un quadro di finanza locale perennemente precario, gli investimenti locali hanno avviato lo scorso anno un rimbalzo che adesso bisogna consolidare. Per farlo, ai nuovi amministratori toccherà il compito di sfruttare subito le pieghe di una normativa che ancora fatica a trovare un quadro stabile (gli appassionati degli aspetti tecnici possono approfondire a pagina 27) per non rischiare di perdere il treno. E le tasse da ridurre, puntuali a occupare le posizioni di testa nei programmi e nelle promesse dei candidati? Per capire davvero che cosa fare sul tema, i nuovi sindaci dovranno aspettare l’autunno, quando il cantiere della manovra farà intravedere le prospettive del fisco locale per il 2017. Quest’anno il taglio di Imu e Tasi su abitazioni principali, terreni agricoli e macchinari delle imprese è stato affiancato da un assegno statale per compensare i comuni, ma il puntello è temporaneo. L’appuntamento con un riassetto più stabile, per ridare autonomia ai comuni senza aumentare la pressione fiscale complessiva, è stato rimandato alla legge di bilancio per l’anno prossimo. E non sarà un appuntamento facile.