Renzo Rosati, pagina99 21/5/2016, 21 maggio 2016
IL CLIENTE PERFETTO È L’INVESTITORE IRRAZIONALE
«Investire dovrebbe essere simile a guardare la vernice che si asciuga o l’erba che giorno dopo giorno cresce. Se volete qualcosa di più eccitante, mettetevi in tasca ottocento dollari e andatevene a Las Vegas!». A chiusura di Finanza quotidiana, saggio uscito il 19 maggio per Laterza (152 pagine, 14 euro), la citazione di Paul Samuelson, premio Nobel per l’Economia nel 1970 dice come la pensi l’autore Fabrizio Ghisellini, alto dirigente del ministero dell’Economia. Tra i due comportamenti-base degli investitori, l’homo oeconomicus della teoria convenzionale, che ha tutte le informazioni, le interpreta correttamente ma quasi non esiste nella realtà, l’altro mosso dalla gettonatissima “finanza comportamentale”, influenzata da elementi soggettivi e spesso irrazionali, Ghisellini prende atto che l’ortodossia assoluta è pretendere troppo, e l’eccesso opposto nefasto. Ciò che sarebbe giusto è «aiutare ad investire senza (troppi) errori». Tanto più nell’Italia che vanta una ricchezza familiare tra le più alte del mondo – 8.800 miliardi, dei quali 3.500 di investimenti finanziari – e un altrettanto elevato grado di ignoranza.
Le banche non aiutano, anzi spesso fanno l’amico del giaguaro come dimostrano i casi Parmalat, Cirio, Bond argentini, in attesa che si chiariscano le responsabilità di banca Etruria e dintorni. Soprattutto nel piazzare fino all’ultimo obbligazioni e azioni della Parmalat, che si presentava come azienda sana ma della quale la banche conoscevano le difficoltà, al punto che i loro vertici si scontrarono sui crediti da concedere al patron Calisto Tanzi, esempio Banca di Roma (favorevole) e Mediocredito Centrale (contrario): mai però queste informazioni arrivarono allo sportello. Ora banche e fondi si stanno attrezzando sulla finanza comportamentale: elaborano algoritmi e “reti neurali” tipo quelle di Google e Microsoft per profilare i navigatori Online. Speriamo bene: il cinema si è portato avanti fin dai tempi di Gordon Gekko.
Il mix di avidità e disinformazione è testimoniato anche da scandaletti minori tipo quello dei radical chic del Maddoff dei Parioli. Tutte realtà che l’autore conosce da vicino, visto che il Tesoro metterà sul mercato nel 2016 titoli per 238 miliardi, 67 più della Germania. E questione scottante con l’establishment tedesco che (magari strumentalmente) chiede di introdurre il tetto ai titoli di Stato domestici detenuti dalle banche, che in effetti ne hanno in misura doppia rispetto a quanto avviene in Francia e Germania e prima o poi dovranno smaltirli. Molto nasce all’epoca della lira quando, scrive Ghisellini, «c’erano due cose, il conto in banca e i Bot». I Bot-people si vedevano pagare cedole anche del 22-23%, quando però l’inflazione superava il 20. Il guadagno reale era minimo, l’apparenza invece che il gruzzolo aumentasse. Un’illusione speculare a una citazione riportata dal Chicago Tribune del 1965: «Un tipo al ristorante ha chiesto al cameriere di tagliargli la pizza in sei fette anziché in otto, perché non aveva abbastanza fame per mangiare otto fette di pizza».
L’euro e il mercato globale hanno colto i risparmiatori impreparati. I titoli di Stato nei depositi familiari sono drasticamente calati: al 5,2%; restando appunto in pancia a banche e assicurazioni. Eppure il punto e mezzo offerto oggi dai Btp decennali, con inflazione-negativa, è pari al guadagno netto sui Bot negli anni ‘80. E se anche i prezzi tornassero a salire, gli italiani sono convinti che un titolo decennale si debba tenere dieci anni? Ancora più colpisce chi ha venduto nel 2011 «seguendo il gregge», liquidando titoli che offrivano il 5%, rimettendoci in cedole e capitale. Se avesse comprato avrebbe guadagnato il 50-60% di capitale, e interessi tripli degli attuali. Certo, anche alle banche serviva lucidità nel consigliare ai clienti nervi saldi. Anche perché il più clamoroso caso di finanza comportamentale sbagliata è quello della Deutsche Bank, allora la prima banca europea, che dette il via alle danze vendendo 7 dei suoi 8 miliardi di Btp. Un boomerang, forse lanciato consapevolmente – la Db era molto esposta in titoli tossici e seguì il mood del governo di Berlino che intanto salvava le banche tedesche –, forse causato da un altro mito senza fondamento, nato proprio in Germania: quello del “rischio zero”, tradotto nell’investimento in Bund tedeschi con rendimenti sottozero. Errore sul quale si sono poi infranti i bilanci dei colossi assicurativi di Francoforte e Monaco, mentre le banche (Deutsche in testa) hanno ripreso a riempirsi di derivati. La Germania dà la colpa a Mario Draghi e ai suoi tassi negativi: ma come mai questo non è accaduto negli Usa, con il denaro egualmente facile della Federal Reserve? Tutto ciò però non ci assolve dai nostri errori. Abbandonati Bot e Btp le famiglie italiane si sono messe a caccia di altre cedole generose. E hanno scelto le obbligazioni private: a fine 2013 ne avevano per 330 miliardi, il 97% bancarie. Chi lo ha suggerito? La risposta la dà indirettamente Grisellini: «Meglio evitare un consulente esterno se è un funzionario di banca; per quanto possa essere personalmente onesto è vittima più o meno conscia di un conflitto di interessi oggettivo, che lo spingerà a consigliarci i prodotti della banca in cui lavora». La storia di oggi.