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 2016  maggio 21 Sabato calendario

L’EROICA SCALATA DEL MERCATO DELLE BICICLETTE D’ANTAN


(vedi appunti)

Quello del ciclismo «è un mondo buono e d’altri tempi, paesano, polveroso e generoso, dove s’incontrano incanutiti, ma sempre uguali a se stessi, Garrone e De Rossi, la piccola vedetta lombarda e gli aneddoti dei nostri babbi». Per chiudere la sua ultima corrispondenza dal Giro d’Italia del ’47, l’inviato del Corriere della Sera si appellava senza troppi pudori al Cuore di Edmondo De Amicis: l’autore era un Indro Montanelli sorprendente e nostalgico, appena reintegrato a via Solferino e subito mandato dal lungimirante direttore dell’epoca (Guglielmo Emanuel) a seguire la corsa rosa perché «si tenesse lontano dalla politica».
L’Italia usciva barcollante da cinque devastanti anni di guerra e venti di fascismo, sotto la guida di quel Benito Mussolini di cui pochi ricordano il pessimo rapporto col ciclismo: il Duce detestava le biciclette e mal sopportava quello sport troppo popolare (e faticoso) per poter essere addomesticato alla retorica di regime.
Settanta anni dopo, le parole di Montanelli suonerebbero perlomeno ironiche se riferite al ciclismo professionistico, che ha fatto di tutto e di più per perdere la sua sacralità. Mentre intonano il claim ideale per uno dei fenomeni più interessanti degli ultimi anni: il boom del ciclismo vintage, esploso in tutte le capitali dell’Occidente opulento e decadente del nuovo millennio proprio vagheggiando un universo etico che sembrava smarrito.
Fenomeno dentro il fenomeno, naturalmente. E qui bisogna aprire una parentesi. Perché a monte c’è un ritorno alla bicicletta con numeri che fanno pensare alla crisi petrolifera di metà anni Settanta, quando la domenica si andava a piedi o, appunto, a pedali. Il sorpasso nelle vendite di biciclette rispetto a quelle di automobili in Italia (1.750.000 contro 1.748.000) fu un mezzo scoop del 2012: da allora si è ripetuto altre due volte, ma ormai non fa quasi più notizia. Secondo un recente report di Ecf (European Cyclist Federation) nell’Unione europea il mercato diretto (produzione e vendita di bici e accessori) vale oltre 18 miliardi di euro annui mentre il valore complessivo generato dall’uso della bicicletta è stimato in circa 200 miliardi: abbastanza per far uscire definitivamente la crisi greca dalle pagine dei quotidiani e dalle agende di Bruxelles. Sempre Ecf calcola in 650 mila i posti di lavoro a tempo pieno collegati alla bicicletta e ne stima la crescita fino a quota un milione entro il 2020.
Merito, certo, anche dei dazi anti-dumping imposti sulle importazioni dall’Asia, in vigore fino al 2018. In Usa e Giappone, per esempio, che invece hanno lasciato aperti i cancelli ai telai made in China, l’industria nazionale è stata letteralmente spazzata via con la produzione crollata da 14 milioni di biciclette a poche centinaia di migliaia. Ma oltre i dazi c’è sicuramente dell’altro, molto altro. E per capirlo è importante guardare dentro a questo curioso trend del ciclismo vintage.

Si potrebbe partire dalle tantissime tweed ride che cadenzano autunni e primavere tra Londra, New York e Parigi (oltre che Milano e Roma): cortei a pedali anarchici quasi come le critical mass, con la differenza che i manifestanti montano biciclette d’epoca e tendono a indossare cappelli di tweed, gilet e pantaloni alla zuava. Oppure raccontare della moda trasversale delle fisse, le biciclette a trasmissione solidale monomarcia, come quelle di fine Ottocento e quelle da pista: senza ruota libera e purtroppo spesso anche senza freni.
Ma il miglior punto di osservazione, quello da cui in fondo tutto è partito e tutto si spiega con chiarezza, è sicuramente l’Eroica. Beehtoven non c’entra: il brand è un richiamo all’età – appunto – eroica del ciclismo, che non ha e forse non è neanche giusto abbia confini storici troppo precisi. Inventata 19 anni fa in un bar di Gaiole in Chianti da un gruppo di amici appena un po’ agè, l’Eroica è rimasta a lungo un rito carbonaro per pochi adepti. Fino quasi a metà anni Duemila, quando il numero degli iscritti ha cominciato a crescere in modo vertiginoso, imponendo il numero chiuso e poi anche il sorteggio. Oggi definirla semplicemente una corsa non competitiva per biciclette d’epoca, benché disegnata in uno dei paesaggi più belli e colti d’Italia, lungo strade bianche conservate come gioielli, sarebbe riduttivo.
Qualcuno, Oltreoceano, l’ha definitala Woodstock del ciclismo. Certo è uno straordinario fenomeno di massa e un rito quasi religioso, che ogni primo weekend di ottobre riunisce a Gaiole e dintorni almeno 15 mila adepti provenienti da tutti i continenti e da quasi 60 nazioni diverse. Tra questi, 5.600 sono gli “eroici” veri: persone comuni, amatori e molti matti che, in maglia di lana e su bici che hanno in molti casi più di cento primavere, pedalano fino a 209 km in un giorno. Dall’alba al tramonto.
Numeri che hanno fatto dell’Eroica anche un grande fenomeno mediatico: con 100-120 giornalisti accreditati è ormai il secondo evento ciclistico italiano, subito dopo il Giro. Difficilissimo calcolare i ritorni economici di una manifestazione di queste dimensioni, ma solo nel Chianti la stima supera i 5 milioni di euro.
Nel 2014 i sette fondatori hanno ceduto il marchio per un milione di euro. Due anni dopo la valutazione è decuplicata: 10 milioni. Oggi Eroica Srl fa capo per 4/5 a Selle Royal, la multinazionale vicentina primo produttore al mondo di selle per biciclette (1.200 dipendenti e oltre 111 milioni di euro di fatturato) che nel 2002 aveva acquisito lo storico marchio inglese Brooks.
La stessa società gestisce altre sette manifestazioni con il medesimo brand in tutto il mondo, calendarizzate tra aprile e dicembre: California, Sud Africa, Giappone, Spagna, Inghilterra, Olanda e Uruguay.
L’anno cruciale è il 2008: da quel momento l’Eroica esplode e, parallelamente, viene imitata. Cominciano a nascere le ciclostoriche, soprattutto in Italia, ma anche in Francia e Spagna. La formula è mutuata dalla manifestazione madre, perfino nei dettagli del regolamento: la Polverosa a Parma, la Carrareccia nella Tuscia, la Mitica nell’Alessandrino, l’Imperiale a Roma... l’onomastica attinge allo stesso milieau. Senza dimenticare l’Anjou Velò Vintage, nata nel 2010 nella Loira. Oggi di ciclostoriche se ne contano più di 80, ma solo una quindicina sono quelle solide e nessuna è paragonabile all’Eroica per dimensioni.
All’interno di questo circuito, l’esperimento più interessante è il Giro d’Italia d’Epoca che consiste nella partecipazione ad almeno 4 delle 15 ciclostoriche selezionate dall’organizzazione (Eroica esclusa). Nato nel 2010 con 600 iscritti, l’anno scorso ha chiuso a quota 6 mila brevettati decuplicando i partecipanti in 5 anni.
Ennesima prova della vitalità di questo settore, che non è dunque forse corretto chiamare di nicchia. D’altra parte se, come sostiene Alberto Gnoli (socio di maggioranza dell’Eroica), «almeno 1/20 di tutto il cycling è vintage», il conto è presto fatto: secondo i dati Ecf già citati, significa quasi 1 miliardo di euro nel mercato diretto Ue e circa 10 miliardi considerando il valore complessivo generato.
Un esempio significativo arriva da un settore particolare: quello dei distributori di componenti per bici, che riforniscono capillarmente i dettaglianti e i negozi di tutta Italia. Bernardi (Forlimpopoli) è uno dei 3 principali player sul mercato: 60 anni di attività, 2.500 clienti, oltre 10 milioni di fatturato. Negli ultimi tre anni ha raddoppiato le dimensioni del catalogo proprio per rispondere alla domanda di vintage: dagli accessori come campanelli, selle di cuoio e manopole di legno, per arrivare alle componenti meccaniche e ai telai cromati realizzati in Italia. Fino a diventare assemblatore in proprio di una intera linea di bici finite stile anni ’50, vendute nei negozi di abbigliamento chic di Milano, Roma, Londra e Parigi.
Ma oltre ai telai, le bici finite, la componentistica, l’abbigliamento e tutto l’indotto turistico, ci sono molte altre voci che contano. A partire da quelle legate ai consumi culturali: prima di tutto, naturalmente, i libri. Non solo le guide tecniche o quelle di viaggio. Ma anche la letteratura e la saggistica umanistica legate al mondo della bicicletta. Ediciclo, nata a Portogruaro 29 anni fa, è una piccola casa editrice, l’unica in Italia specializzata su questi temi. Che vanta oltre 400 titoli pubblicati e un fatturato di 1,milioni di euro. E punta anche sul ciclismo vintage, come spiega il fondatore e amministratore Vittorio Anastasia (un altro dei tanti che pedalano all’Eroica), inserendo in catalogo un paio di titoli dedicati all’anno.
Senza dimenticare operazioni di confine come quella di Steel Vintage: startup fondata da un gruppo di giovani a Berlino rilanciata agganciandosi all’Eroica, che le ha raddoppiato il mercato. Il core business? Recuperare vecchie biciclette di acciaio di alta e altissima gamma in giro per l’Europa, restaurarle in modo meticoloso e filologico per poi metterle in commercio con un dettagliato catalogo online. I clienti migliori? Stati Uniti e Giappone. Basta una veloce occhiata al loro sito per sincerarsi di un sospetto naturale: Masi, Pinarello, Bianchi, Gios, Benotto, Cinelli, De Rosa... i marchi sono tutti, senza eccezione, italiani.