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 2016  maggio 21 Sabato calendario

IL MITO DI MARCO A TORRE ARGENTINA

Tra poche ore, quando la bara di Pannella verrà portata a piazza Navona per le laiche esequie, anche l’ultima storica sede della politica italiana resterà vuota come il guscio di una conchiglia. Perché lì, dove amici e compagni di Marco ne hanno vegliato la salma per l’intera notte, proprio in quello stanzone al terzo piano di via di Torre Argentina numero 76, si sono concepiti diritti, provocati scandali, lanciati digiuni, commessi reati, sfidati regimi, ospitati barboni, intrecciati amori di cui Pannella è stato il protagonista per oltre mezzo secolo.
La sua stanza sta in fondo al corridoio, un ambiente piccolo che si riempiva in fretta di fumo del sigaro, e comunque lui non stazionava mai là dentro: quando c’era, occupava ogni angolo dei 600 metri quadri che proprio nulla avevano in comune con le cattedrali opache degli altri partiti, da Botteghe Oscure a Piazza del Gesù, perché la sede radicale è stata sempre un fenomeno di modernità, il primo caso in Italia (forse nel mondo) di politica multimediale. Venticinque anni fa era già tutta cablata, con i computer in ogni ambiente, i ponti radio, le cabine di traduzione simultanea per gli ospiti stranieri, il primo provider nazionale di internet e un sistema telefonico all’avanguardia. Un bel passo avanti rispetto al caos creativo e un tantino bohémien della precedente sede che si trovava a pochi passi, sempre in via di Torre Argentina però al numero 18. Quello era il regno della militanza irregolare, un luogo dove poteva capitare entrando di scavalcare gli homeless dormienti dentro i sacchi a pelo ai quali Pannella spalancava le porte. Negli anni di piombo quelle stanze si riempivano di manifestanti in fuga dagli scontri degli autonomi con la polizia. E poi di ex terroristi, omosessuali, lesbiche, obiettori di coscienza, preti spretati, antimilitaristi, non violenti e anche matti, matti veri usciti da Santa Maria della Pietà, che avevano dato vita a un Comitato per l’abolizione dei manicomi (il Carm). Rispondevano spesso al telefono. Cosicché un bel giorno chiamò di persona il presidente della Repubblica appena eletto, il quale si presentò educato, «sono Sandro Pertini». E dall’altro capo del filo il leader del Carm secondo la leggenda gli rispose «sì, e allora io sono Giuseppe Garibaldi...».
La prima sede, quella al numero 18, era un ambiente infrequentabile per la confusione. «Scopate pure», era l’unica regola imposta da Marco, «purché non lo facciate sul ciclostile». La produzione di volantini non si doveva interrompere, nemmeno in quel caso. Venne a trovarlo Bettino Craxi, e il disordine era tale che fu giocoforza accoglierlo nella stanza del tesoriere, Paolo Vigevano, con il leader socialista francamente disgustato. Arrivò lo sfratto dai proprietari del palazzo, Pannella e i suoi furono costretti a traslocare nel 1989, ma ci volle quasi un anno per prendere possesso della nuova sede (per la storia, ce n’era stata anche una terza, che in ordine di tempo era la prima, in via XXIV Maggio, sulle rampe che conducono al Quirinale). All’inaugurazione fu presente Spadolini. Qualcuno giura di avere visto transitare in seguito Cossiga e Romiti. Molto più facile imbattersi nel sindaco della Sarajevo bombardata dai serbi, o nei tanti dissidenti dell’Est che popolavano il Partito radicale transnazionale: Vladimir Bukovskij, reduce dei lager comunisti, o Leonid Pliusc, matematico russo finito in cura psichiatrica per le sue «manie riformiste». È da via di Torre Argentina 76 che sono partite spedizioni per liberare gli ebrei perseguitati in Urss e soprattutto Ida Nudel (interpretata da Liv Ullmann nel film di Bolognini «Fuga da Mosca»). Il Dalai Lama si può dire che a via di Torre Argentina fosse di casa. E Papa Francesco, se il suo amico Marco fosse sopravvissuto, chissà se anche lui...