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 2016  maggio 20 Venerdì calendario

IL MARMO. UN AFFARE PER POCHI, CHE AD ALTRI COSTA LA VITA

Più morti negli ultimi nove mesi che nei dieci anni precedenti. Dallo scorso agosto sono sei i lavoratori rimasti uccisi nelle cave di estrazione o nelle aziende di trasformazione del prezioso marmo di Carrara; uno in più delle cinque vittime registrate tra il 2006 e il 2014. A conferma di uno «stato di emergenza» che, secondo la responsabile del Servizio di prevenzione dell’Asl Maura Pellegri, «è riesploso a partire dallo scorso anno». Sotto accusa i ritmi di lavoro sempre più frenetici determinati dall’uso di macchinari sempre più veloci. I sindacati, infatti, puntano il dito sul tonnellaggio pro capite - la quantità di marmo estratta o lavorata da ogni operaio - che in alcune cave sarebbe assai più alto che in altre.
Le cifre aiutano a capire: oggi i cavatori sono circa mille. Negli anni Cinquanta erano almeno diecimila. Ed è in calo anche il numero dei lavoratori nelle aziende che trasformano il marmo (una stima parla di 1.700). Eppure il «settore è in salute. L’ottavo Rapporto economia e finanza dei distretti industriali pubblicato a marzo da Intesa Sanpaolo colloca terzo, nella graduatoria nazionale, il distretto del marmo di Carrara con fatturati in crescita di oltre otto punti tra il 2008 e il 2014 e un export che nello stesso periodo cresce del 28,9 per cento (l’Istat lo stima 367 milioni di euro). Una performance che si fonda sulle estrazioni dalle 105 cave della provincia (su 170 di tutto il comparto apuo-versiliese).
In questo contesto di alti guadagni «cosa volete che interessi agli imprenditori prendersi una multa da diecimila o anche ventimila euro per inosservanze dei vincoli di sicurezza?» osserva Franco Venturini della Fillea-Cgil carrarese.
Già, ed è bene ricordare che, mentre le ricadute positive sul territorio sono solo un ricordo lontano, oggi ad arricchirsi sono quasi soltanto i pochi padroni della cave, che hanno attirato anche l’attenzione della magistratura: lo scorso febbraio trenta imprenditori sono stati denunciati per frode fiscale, ricettazione e maxi evasione.
Gli operai invece continuano a lavorare a ritmi serrati, e a morire. Il governatore della Toscana Enrico Rossi ha parlato di «carneficina», promettendo che la Regione «non farà mancare nulla in termini di uomini e mezzi» per intensificazione i controlli. Per Rossi, però, «nessuno deve dimenticare che le responsabilità della sicurezza, all’interno di un’azienda, spettano anzitutto al datore di lavoro». Un invito all’«assun- zione di responsabilità» a cui il presidente dell’associazione industriali della provincia di Massa Carrara Eric Lucchetti risponde ammettendo: «In tema di sicurezza non possiamo che fare tutti autocritica». Fino a dove si spinga, però, non è chiaro.
Era la scorsa estate quando sono cominciati a squillare i campanelli di allarme con una serie di infortuni, alcuni dei quali «gravi» e in controtendenza rispetto a un decennio in cui gli incidenti erano andati calando (dai 174 del 2006 ai 73 del 2015). Poi, a fine agosto, la prima vittima: un cavatore sbalzato giù da una bancata - come la gradinata di un teatro romano per Titani - alta otto metri. A novembre un altro cavatore è stato ucciso da una perlina del filo diamantato che si usa per segare i blocchi, che gli ha perforato la testa. Neanche un mese dopo, la caduta di alcune lastre ha schiacciato l’operaio di una segheria. A metà aprile altri due uomini sono stati uccisi dalla frana di una cava a Colonnata (la località che dà il nome al famoso lardo, stagionato appunto in vasche di marmo). Passa poco più di un mese e si registra un altro incidente mortale: questa volta non in una cava, ma in un’azienda del settore.
Un doloroso elenco di lavoratori esperti, tra i 46 e i 61 anni. «Perché il lavoro del marmo non si improvvisa» spiega l’ingegner Pellegri, che punta il dito contro «una tendenza a lavorare con modalità e volumi industriali eccessivi in settori, come la montagna, che non lo consentono».
È infatti un paesaggio dall’equilibrio delicato quello delle cave e della lavorazione del marmo. In continuo mutamento, come capita di vedere osservando le cime delle Apuane da un anno all’altro e come denunciano gli ambientalisti. Secondo i dati del Comune, dalle montagne vengono estratti ogni anno dai tre ai quattro milioni di tonnellate di marmo. Novecentomila sono in blocchi, il resto viene trasformato nel sempre più redditizio carbonato di calcio, con centinaia di usi nell’industria chimica e alimentare: un business che dagli anni Novanta in poi non ha mai smesso di crescere.
Sebbene venga spesso posto il problema della carenza di personale e di controlli, nel 2015 dalla Asl, pur con soli venti addetti, sono arrivati cinquanta provvedimenti relativi alla sicurezza, altrettanti atti prescrittivi e 23 verbali di notizia di reato. Ma non sembrano serviti a molto se anche il procuratore capo di Massa Aldo Giubilaro rileva che «la sicurezza nelle cave è inadeguata», mentre sulla sua scrivania abbondando i fascicoli relativi a sversamento di marmettola, ravaneti (pietraie) abbandonati, piani di «coltivazione» (questo è il termine tecnico) delle cave non rispettati e disboscamento: tutte denunce a carico di aziende del territorio che eludono le leggi paesaggistiche e ambientali nelle operazioni di escavazione.
Alla luce di questo e dell’insufficienza delle multe i sindacati di categoria chiedono che la Regione arrivi alla revoca delle autorizzazioni allo scavo in caso di mancato rispetto delle norme; ipotesi che in linea di principio trova d’accordo il presidente Rossi. Ma per il segretario della Camera del lavoro Paolo Gozzani è soprattutto «indispensabile definire un sistema di contingentamento e razionalizzazione che permetta di entrare nel merito dei ritmi di lavoro, basato sul rapporto tra escavato e numero di lavoratori». Perché, se di sicuro ci sono aziende che rispettano tutte le regole, altre non lo fanno, scavano più del dovuto e fanno leva sul bisogno dei cavatori, che rischiano di pagare un prezzo altissimo.□