Stefan Zweig, Verlaine, Castelvecchi, 2015, pp. 90., 20 maggio 2016
Notizie tratte da: Stefan Zweig, Verlaine, Castelvecchi, 2015, pp. 90. Vedi Biblioteca in scheda: mancaVedi libro in gocce in scheda: 2350016Paul Marie Verlaine nacque nel 1844 a Metz da un capitano del Genio militare francese che aveva combattuto a Waterloo
Notizie tratte da: Stefan Zweig, Verlaine, Castelvecchi, 2015, pp. 90.
Vedi Biblioteca in scheda: manca
Vedi libro in gocce in scheda: 2350016
Paul Marie Verlaine nacque nel 1844 a Metz da un capitano del Genio militare francese che aveva combattuto a Waterloo. La madre era una ricca ereditiera. Presto la famiglia si trasferì a Parigi.
Il padre di Verlaine morì nel 1865, non senza aver prima dissipato considerevole parte del patrimonio in speculazioni sbagliate.
Quando suo padre decise di mandarlo in un collegio parigino acconsentì volentieri. Subito rimase disgustato dal freddo e dalla noia del luogo. Scappò per tornare a casa ma il giorno dopo fu riportato in collegio. Nefasto l’influsso dei compagni: «Et là commença la déroute» («E allora cominciò la catastrofe»), scrisse in seguito.
La cugina Elisa, morta prematuramente, molto indulgente con Verlaine. Fu lei a dargli i soldi per stampare i Poèmes saturniens presso l’editore Alphonse Lemerre.
I Poèmes saturniens ebbero sulla stampa un «joli succès d’hostilité».
«L’uomo di lettere, o piuttosto, se volete, il poeta nacque in me precisamente intorno a quel quattordicesimo anno, tanto da poter affermare che la formazione del mio spirito ha seguito lo sviluppo della mia pubertà» (Verlaine).
Quando scrisse Fêtes galantes aveva già iniziato a bere assenzio, «l’atroce sorcière verte».
Sua madre non lo rimproverava mai quando lo vedeva ubriaco. Solo una volta, mentre lui smaltiva nel sonno, col cilindro ancora in testa, una notte di baldoria, come rimprovero gli mise davanti uno specchio, affinché al risveglio vedesse in quale stato si era ridotto.
Dopo un breve intermezzo universitario, Verlaine, d’accordo con la famiglia, decise di scegliere una professione borghese, e, come la maggior parte dei giovani scrittori francesi, entrò nell’amministrazione statale.
Grazie all’eredità paterna, godeva di una piccola rendita.
Quando morì la cugina Elisa, per due giorni non toccò cibo. Però bevve ininterrottamente e si presentò ubriaco in ufficio (era funzionario all’Hôtel de Ville). Affogò i rimproveri dei superiori in altro assenzio.
Il giovane Verlaine, brutto, impacciato, timido e lascivo al tempo stesso, solito consumare avventure mercenarie agli angoli delle strade, in visita a casa di un suo amico vide per la prima volta la sedicenne Mathilde Manté, bionda, pallida, graziosa. S’innamorò. Per lei smise di bere e diventò un bravo pretendente. Le scriveva versi e lettere che finirono nella raccolta La bonne chanson.
Si sposò durante la guerra franco-prussiana. Lo volle la moglie per evitare una possibile chiamata alle armi.
Mai interessato alla politica: l’aneddoto secondo cui avrebbe voluto assassinare Napoleone III era stato da lui inventato per impressionare gli amici. Nei giorni della Comune, però, si lasciò convincere ad assumere un ruolo: leggere gli articoli dei giornali per stabilire se fossero favorevoli o no ai comunardi. Non recandosi più in ufficio per il suo vero lavoro, fu licenziato.
Sempre più insofferente, riprese il vizio del bere. Da ubriaco picchiava la moglie. Nacque il loro figlio.
Nel 1871 ricevette da Charlesville, cittadina di provincia, la lettera di un conoscente che gli chiedeva il parere sui versi scritti da un quindicenne. L’autore era Arthur Rimbaud. Gli scritti piacquero molto a Verlaine, che inviò al giovane lettere piene di ammirazione. Infine lo invitò a Parigi.
«Shakespeare enfant», disse Hugo dopo aver letto le poesie di Rimbaud.
Rimbaud, «un provinciale dalle gigantesche mani rosse e dal curioso volto di bambino precocemente corrotto».
Verlaine accolse amichevolmente il ragazzo. Sua moglie, invece, non nascose mai l’avversione. Presto l’amicizia tra i due poeti si fece sempre più stretta e un giorno, nel 1872, Verlaine abbandonò moglie e figlio per andarsene con Rimbaud.
«Indiscutibilmente erano entrambi uomini per cui il “peccato” non esisteva, erano anche entrambi iniziati ai rituali delle passioni perverse, come dimostra una poesia scritta in comune e inserita nella raccolta Hombres di Verlaine (mai pubblicata ufficialmente)».
Vagabondarono per il Belgio, per la Germania e l’Inghilterra, quasi sempre senza un soldo. Si fermarono a Londra per un po’, mantenendosi con lezioni di lingua e interessandosi di politica.
A Londra Verlaine cominciò a rimpiangere la casa, il figlio, la moglie. A lei, tramite sua madre, fece sapere di voler tornare a vivere insieme, in una proprietà di campagna. Lasciò da solo Rimbaud, senza un soldo, per andare a Bruxelles in attesa di una risposta dalla moglie. Quando questa gli mandò a dire di non voler più stare con lui, Verlaine spedì un telegramma a Rimbaud per chiedergli di raggiungerlo a Bruxelles.
A Bruxelles Rimbaud si disse disposto a tornare con lui, chiedendogli del denaro in cambio. Verlaine, ubriaco, tirò fuori di tasca la rivoltella e gli sparò due volte, ferendolo lievemente. Rimbaud fuggì in strada e Verlaine, sconvolto dal suo stesso gesto, gli corse dietro per scusarsi. Lo raggiunse: Rimbaud, pensando che gli avrebbe sparato di nuovo, chiese aiuto. Verlaine fu arrestato, condannato a due anni di carcere per «lesioni corporali». Fu rinchiuso nel carcere di Mons.
Fu rilasciato il 16 gennaio 1875. Ad attenderlo non c’era nessuno, eccetto la vecchia madre.
Ormai divorziato dalla moglie, Verlaine in carcere aveva continuato a corrispondere con Rimbaud. Si era convertito e cercava di convincere l’amico: «Aimons-nous en Jésus Christ».
Così Verlaine raccontò la conversione avvenuta in cella: «Non so cosa o Chi mi sollevò improvvisamente, mi scaraventò fuori dal letto, senza che avessi il tempo di vestirmi e mi costrinse a inginocchiarmi in lacrime, singhiozzando ai piedi del Crocifisso e dell’immagine supererogatoria, evocatrice della più strana, ma, ai miei occhi, della più sublime devozione della Chiesa cattolica nei tempi moderni». Il giorno successivo chiese di vedere un prete e confessò i suoi peccati. Nei due anni di carcere compose il libro Sagesse.
Verlaine Non si firmava mai con il secondo nome “Marie”. Cominciò a farlo dalla conversione.
Quando uscì dal carcere, andò a trovare Rimbaud a Stoccarda per portarlo alla fede. Finì con loro due ubriachi, a picchiarsi con i bastoni da passeggio sulla riva del Neckar. L’altro alla fine gli assestò un colpo in testa e se ne andò, lasciandolo a terra privo di sensi. Fu il loro ultimo incontro.
«L’assoluta spontaneità, la meravigliosa fragranza delle sue prime poesie religiose – poesia del sentimento allo stato puro – svanì presto; si diede alla fabbricazione in serie di versi devoti, poesie per le occasioni festive, allegorie religiose, pubblicando le raccolte presso editori cattolici. Allo stesso tempo, dava alle stampe diverse opere pornografiche e licenziose. La sua conversione aveva fatto scalpore: era ormai calato nel ruolo e si sentiva obbligato a non discostarsene».
Nell’autobiografia scritta per la rivista “Les hommes d’aujourd’hui”, diceva di sé: «La sua opera, a partire dal 1880, si divide in due parti ben distinte e il piano dei suoi libri futuri mostra che ha la precisa intenzione di continuare così e di pubblicare, se non proprio contemporaneamente […], quantomeno parallelamente, opere di concezione assolutamente diversa – per essere più precisi, libri in cui la fede cattolica dispiega la sua logica e le sue lusinghe, le sue blandizie e i suoi terrori, e altre puramente mondane: sensuali e di un indisponente buonumore, traboccanti dell’orgoglio della vita».
Al suo ritorno a Parigi, era stato ormai dimenticato. I suoi libri giacevano invenduti, i vecchi amici non lo salutavano perché sarebbe stato sconveniente. Ma diventò un mito per i poeti della nuova generazione.
Nel 1885 sua madre, allora settantacinquenne, acquistò un podere dove andare a vivere insieme a lui. Ma la convivenza non era possibile: quello, sempre ubriaco, la picchiava. Fu condannato dal tribunale di Vouziers a un mese di prigione per averla ferita e minacciata di morte. Quando uscì di prigione stavolta non trovò neppure sua madre (che morì un anno dopo).
Spesso ricoverato in qualche ospedale, un turbante bianco arrotolato sulla testa calva, riceveva giovani letterati e giornalisti, scriveva i suoi versi sopra ricette mediche e pezzi di carta bisunti. Quando stava meglio, passava da un caffè all’altro, pontificando, bevendo e accompagnandosi con prostitute (che ostentava quando si accorgeva che qualcuno lo stava osservando).
Spinto dal bisogno economico, nell’ultimo periodo della vita vendeva le sue poesie a cento soldi l’una.
Negli ultimi anni uscirono anche le due raccolte Femmes e Hombres, non pubblicate ufficialmente ma vendute sottobanco in cinquecento copie numerate. Grazie a esse Verlaine divenne uno dei più grandi pornografi di tutti i tempi.
«Dal punto di vista estetico sicuramente nessun poeta è caduto più in basso; questa pubblicazione (anche se clandestina) non ha niente che possa giustificarla. Frutto della tragica depravazione di un vecchio che, con scrittura malferma, mette in rima i suoi peccati e la sua nudità avvizzita su un ricettario d’ospedale, solo per guadagnare qualche franco con cui pagarsi un bicchiere d’assenzio».
«Le seul vice impardonnable», l’unico vizio imperdonabile, come lo stesso Verlaine definì la sua mania di bere.
Morì nel gennaio del 1896, in una mansarda parigina, nel letto della prostituta Eugénie Krantz, la quale gli aveva sottratto l’ultima parte del poco denaro che ormai possedeva.