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 2016  maggio 19 Giovedì calendario

DAL CINEPANETTONE AL SENTIMENTALE

Chi l’avrebbe mai detto? Christian De Sica, re incontrastato della farsa cinematografica all’italiana, gloriosamente ribattezzata «Cinepanettone» e da più di 30 anni sulla cresta dell’onda della «curva sud» di ogni cinema, si ritrova faccia a faccia e, a sorpresa, in totale armonia con Lucia Mascino, da vent’anni in tournè sui palcoscenici del colto Filippo Timi, bella quarantenne lanciata dalla serie web Una mamma imperfetta.
Un duo da scintille, e in effetti all’inizio capita così nel film Fräulein, una fiaba d’inverno dell’esordiente Caterina Carone. Per Christian, insomma, un cospicuo slalom dalla pista innevata del mitico Vacanze di Natale di Carlo Vanzina del 1983 al fiabesco lago ghiacciato dell’Alto Adige del film di oggi; dai lussi borghesi di Cortina alla gasthaus tirolese decaduta, con l’inquietante tempesta solare che incombe su tutto e tutti annunciando l’aurora boreale.
E a chiudere il cerchio, l’incontro con la fräulein Lucia Mascino, quella che tutti in paese chiamano «la zitella», scorbutica e selvatica proprietaria dell’hotel, che di accogliere ospiti, ma soprattutto Christan alias Walter Bonelli, non ne vuol sapere.
Per De Sica, il maschilista stracult di ogni vacanza all’estero raccontata dai Vanzina e da Neri Parenti, questa è la prima volta con una regista donna e anche la prima volta in cui la protagonista è di stoffa ruvida e resistente, anziché un’amante bionda da esibire come trofeo. Il mondo alla rovescia? «Senza contare» confessa ridendo Christian a Panorama «che nel cast tecnico ci sono tre donne, tutte debuttanti: la regista, la montatrice, la direttrice della fotografia. E che il film è prodotto da Carlo Cresto Dina, uno che ha vinto a Cannes con Le meraviglie di Alice Rohrwacher. E che il film uscirà in 25 copie, roba per palati raffinati, immaginate lo choc per uno come me abituato alle 700 copie. A spingermi su questa strada è stata Silvia, mia moglie (la sorella di Carlo Verdone, ndr): “Ho letto un copione delizioso” mi ha detto. Aveva ragione. Ed è una storia così lontana dai film di Natale che avrebbe potuto scriverla solo una signora, non è la scontata relazione tra un sessantenne e la donna più giovane, ma il racconto di un amicizia tra un vedovo che rimpiange la moglie perduta e una tipa solitaria e inacidita che man mano si sgela. Non ci scappa neppure un bacetto. Con questo film ho capito che l’amicizia tra uomo e donna può esistere, ma a raccontarla e crederci può essere solo una donna. Caterina è stata bravissima e astuta nel fare evolvere il racconto: io arrivo vestito come nei cinepanettoni, colbacco esagerato e giaccavento gialla, decisamente sovratono. Poi ripiglio l’aspetto di un borghese tranquillo, buffo ma anche gonfio di maliconia e tenerezze».
Lucia Mascino, che sta per tornare sul set di I delitti del BarLume dov’è il commissario Vittoria Fusco, personaggio premiato dal pubblico, è al lavoro nelil nuovo film di Francesca Comencini Nella battaglia, storia di un amore lacerato e di memoria ricostruita pezzo a pezzo nel dolore, nella guerra tra sessi e generazioni, altro che le divagazioni nazionalpopolari del grande Christian. «Eppure» dice lei «alla fine del set in Alto Adige, dopo quasi due mesi di lavoro insieme, a Christian ho scritto una lettera d’amore. Insomma sì, un po’ d’infatuazione c’è stata da parte mia, era così protettivo con noi tutte, sempre all’ascolto, lui quando recita ti guarda negli occhi, vede l’altro, cerca l’incontro. E nonostante il cognome importante e la carriera che ha costruito non parla di sè, non si lascia andare al narcisismo letale degli attori. In realtà non conosce del tutto la sua bravura, sotto lo smargiasso dei film vibra l’insicurezza».
«Fräulein» conferma De Sica, reduce da una trionfale tournèe teatrale di Il principe abusivo con Alessandro Siani «ha fatto uscire la verità: nella vita non assomiglio a quello dei cinepanettoni, ai misogeni, maschilisti, maleducati, prepotenti. Io quelli li ho presi per sempre per i fondelli, ho imparato dal grande Alberto Sordi, il mio faro. Se mi pesa aver nobilitato i peggiori? Guardate che rendere simpatiche le carogne non è facile per niente, però, sì, meglio interpretare il demonio che San Francesco, anche perchè San Francesco non fa ridere. No, non mi pesa, perchè ho raccontato la borghesia italiana di quel periodo, tra gli anni Settanta e Novanta. Il cinepanettone è la formula che meglio racconta non solo la volgarità dell’epoca, ma le illusioni e il sogno interrotto degli italiani, tutto il nostro provincialismo: dovrebbe entrare, entrerà, nei testi di Storia, almeno del costume».
Nel film i personaggi sono tutti maturi, nessuna concessione alla moda «teen» («E meno male!» esclama De Sica), si avverte bene la malinconia dell’età che avanza, anche se nella scena del ballo l’attore è scatenatissimo e dimostra 30 anni di meno. «Ballo da sempre e lo so fare bene, ma bisogna sapersi fermare alla soglia del ridicolo: ho incaricato i miei figli di avvertirmi quando esagero con il golfino stretto o la “scarpa de plastica” troppo young. Meno male che Silvia non me ne fa passare una. Questo film è una scelta precisa di carriera, bisogna rigenerarsi, fare tutto, ma non strafare. Il segreto me l’hanno insegnato i grandi: la pigrizia e il disincanto di Roberto Rossellini; il distacco di mio padre che il quarto Oscar non andò neanche a ritirarlo perché, disse, «poi ti fai anche dei nemici, lascia perdere...»; o il grande Nino Manfredi che mi diceva sempre “bisogna fare solo un film all’anno”. E allora io cerco di alternare un cinepanettone a un libro, la tv al teatro che ogni sera ti ripulisce. Gli attori di oggi, invece, arrivano alla notorietà e s’accaniscono: fanno nove film all’anno, vedi Raoul Bova. I film non si distinguono più, sempre lo stesso cast e uno si consuma, si sovraespone».
«Certo è un pericolo che io non ho corso» ride Lucia Mascino, anconetana di origine abruzzese che si gode il momento positivo e racconta divertita il provino per il film: «Finalmente ricevevo molte chiamate e proposte dopo Una mamma imperfetta, quindi mi sono vestita carina, tacco e trucco. La regista mi ha accolta così: “Cerco una zitella montanara di mezza età. Tu sei perfetta”. E in un attimo mi ha fatto ripiombare in quella naturale selvaticheria che cerco di vincere. Perchè faccio il teatro raffinato, ma il mio personale mito è Terence Hill nei fagioli-western, nella scena in cui dopo il bagno si rimette la canottiera zozza. Trasandatezza per andare all’essenziale».
Rivelazione: in ogni attrice, anche la più intellettuale, freme un’anima nazionalpopolare, quella che De Sica non ha mai rinnegato dai fasti della coppia con Massimo Boldi alla rottura con Aurelio e Luigi De Laurentiis, a ogni latitudine della sua lunghissima carriera. Alla domanda se mai si rifarà coppia con «Cipollino», Christian sfugge con un’elegante divagazione, ma poi: «No, con Boldi no, ma tornerò con un nuovo film di Natale prodotto da Wild Side e scritto con Fausto Brizzi, un passo avanti nella commedia-farsa. Ma non rinnego nulla. È vero, avevo detto che di cinepanettoni non ne avrei più fatti e invece quest’anno per Neri Parenti ho fatto Vacanze ai Caraibi. Il risultato ha sfiorato 8 milioni al botteghino: c’è ancora un pubblico che non molla, tant’è vero che, dissolto il cinepanettone classico, tutti si son messi a fare la commedia di Natale, che non è poi così distante. Vorrà pur dire qualcosa, no?».
E pensare che aveva cominciato «da aristocratico», come dice lui: «Una breve parte in Blaise Pascal di Rossellini grazie all’intercessione della figlia Isabella, con cui ero fidanzato. Avevo 18 anni, tante serate e comparsate, e infine la svolta: scelsi d’istinto d’interpretare Sapore di Sale, per il quale mi offrivano 600 mila lire, anziché Il Conte Tacchia, che mi avrebbe fatto quadagnare oltre venti volte di più. È cominciata così e non è mai finita. Ho fatto una vita bellissima. Non non so se sono un attore bravo o mediocre, ma l’affetto che mi dimostrano i ragazzi dell’età dei miei figli, sicuramente, ai miei colleghi manca. Sai la soddisfazione di sentirti chiamare per strada: «A’ bella Chri, sei forte!». Ci sono decine di fan-club ed è sempre stato così, come Totò e Peppino. Totò contro Maciste mica era meglio dei nostri film, ma poi anche lì scattavano quei cinque minuti di follia, esilaranti. E dici poco? Per questo son diventati culto».
Fräulein segnala il disgelo tra il cinema d’autore italiano e De Sica, che pure ha recitato con Pupi avati e girato in proprio bei film come Faccione e Uomini uomini uomini? «Rappresenta piuttosto il mio disgelo come attore» precisa lui. «Quando fai la farsa reciti per stereotipi; nel cinepanettone è tutto finto, dal coito alla vincita al totocalcio, alla droga. Qui invece ho cercato di esser me stesso asciugando gli effetti, devi pensare a ciò che dici e a ciò che senti, che è la virtù del cinema realista».
«Alcune scene, come quella della cena, le abbiamo riviste insieme» aggiunge Lucia Mascino. «Le abbiamo adattate ai nostri sentimenti, alle nostre sensibilità». E svela anche che, forse, lei e De Sica torneranno a lavorare assieme per la regia di Caterina Carone: «Abbiamo in mente una coppia bizzarra, lui guardiano a Cinecittà e lei aspirante attrice. Molta musica e balli, almeno nelle intenzioni».
Ma il cinema cerca Christian De Sica o è ormai un’icona così forte da vivere imprigionato nella maschera? «Proposte diverse il nostro cinema non me le fa, o almeno è raro. Del resto, il successo del cinepanettone è una macchina infernale e quando ci sali sopra rischi di perdere occasioni di cambiamento. Così ho perso L’uomo delle stelle, che Giuseppe Tornatore aveva scritto per me, e Nine, dove Bob Marshall mi aveva riservato tre numeri musicali: ma ero a Rio per una delle tante Vacanze al cinema, e non potevo assolutamente interpretarlo».
De Sica, però, non si lascia andare ai rimpianti: «Ho avuto e ho una vita bellissima» ripete. E nel conto mette una scoperta emozionante, accaduta alla morte del padre Vittorio («che a forza di giocare al Casinò ci aveva lasciati quasi senza soldi a me e a mia mamma Maria Merdader»): «Siamo venuti a sapere che a Bruxelles, sotto terra, in una sorta di capsula del tempo, sono sepolte tre cose per chi vorrà capire cos’è stato il Novecento: la partitura di Saga della Primavera di Stravinski, una riproduzione di Guernica di Picasso e una copia di Ladri di biciclette. Quanti possono dire di avere ricevuto una tale eredità? E quanti possono raccontare di un padre che al figlio che partiva per Caracas in cerca di successo come cantante, anziché le solite paternali stile «non drogarti» e «non mettere incinte le ragazze», dopo un lungo silenzio, mentre mi avviavo alla scaletta dell’aereo, all’ultimo istante, urlò: “Christiaaan!, Christiaaan! Mi raccomando, prima di entrare in scena, un’ombra di rimmel sulle palpebre”?».