Stefano Cingolani, pagina99 7/5/2016, 7 maggio 2016
I CAPITANI CORAGGIOSI DI ANDREA BONOMI, SIGNORE DEI DANE’
Gli mancano una banca (anche se ci ha provato e per tre anni ha presieduto la Banca Popolare di Milano) e un giornale (per ora, perché nel Corriere della Sera ha messo lo zampino e Mediobanca vorrebbe tirarlo dentro fino in fondo). Altrimenti potrebbe avere davvero tutto Andrea Bonomi, nipote della mitica Anna, la Lady Finanza che si inventò Postalmarket, e figlio di Carlo espropriato in una delle più feroci battaglie di borsa degli anni ’80.
Dai sanitari di Artsana (Chicco, Pic, Control) alla Aston Martin di James Bond (un vero sfizio per Andrea appassionato di auto), dalle scarpe Sergio Rossi strappate niente meno che a François Pinault, alla Ducati poi girata alla Volkswagen per un miliardo di euro, dai villaggi turistici di Valtur agli immobili di lusso, con il suo fondo Investindustrial gestisce asset per oltre cinque miliardi di euro ed è diventato uno dei finanzieri più dinamici, anzi aggressivi, e più liquidi in questa Italia così povera di finanza privata e di capitali, ma che comunque cerca di rimettersi in moto.
Gli exploit di Bonomi fanno parte di una nuova effervescenza che sta attraversando il capitalismo tricolore prostrato dalla lunga recessione e da una ancor più lunga stasi: dura ormai dall’inizio del secolo con poche eccezioni come le scalate del 2005 nell’estate dei furbetti del quartierino e le megafusioni bancarie del 2007, operazioni queste ultime dall’impronta soprattutto difensiva. Per il resto, le cronache sono piene di grandi imprese italiane in rotta, di storici capitalisti che vendono all’estero (ai cinesi la Pirelli, ai tedeschi la Italcementi dei Pesenti), di principi del lusso che mollano come Bulgari e Loro Piana, di “multinazionali tascabili” fagocitate da multinazionali vere (Parmalat in Lactalis). Fanno eccezione la Fiat che si è presa la Chrysler, la Ferrero che è uscita da Alba per entrare nel gran mondo globale, i Benetton nei servizi autostradali, la Salini-Impregilo nelle grandi opere. Per il resto domina il racconto di comprati e svenduti.
I sommovimenti nelle telecomunicazioni, nella tv e nei giornali (Telecom, Mediaset, Vivendi, Repubblica-Stampa, l’ultima battaglia di via Solferino per il Corriere della Sera) e il terremoto nel mondo bancario in seguito alla trasformazione delle popolari in società per azioni, fanno pensare che anche l’italica foresta pietrificata possa venire scossa da un nuovo ciclo di crescita. E in molte novità di questi ultimi tempi, si ritrova il pie’ veloce Andrea.
Ma facciamo un passo indietro perché il suo è uno di quei casi in cui i natali contano, eccome. Torniamo così alla mitica Anna, figura carismatica e anticipatrice (una donna regina di piazza Affari non s’era mai vista prima). Nata a Milano nel 1910, la Bonomi aveva sposato nel 1929 Dino Campanini, dal quale ha avuto tre figli (Carla, Alfredo e Carlo), per poi unirsi all’avvocato Giuseppe Bolchini dopo l’annullamento del primo matrimonio da parte della Sacra Rota. Figlia di una portinaia milanese e di Carlo Bonomi, proprietario di immobili di lusso nel capoluogo lombardo, e scapolo impenitente, si deve proprio alla “regina di denari” la costruzione del Pirellone, simbolo stesso dell’epoca in cui si è mossa la Bonomi. Suoi anche altri complessi immobiliari a Parigi, a Montecarlo e a Città del Messico, e la realizzazione della prima città satellite del capoluogo lombardo, Milano San Felice.
Alla morte del padre naturale, nel 1940, Anna ne eredita le enormi sostanze assumendo direttamente la presidenza della società Beni Immobili Italia che diverrà BI Invest con l’ingresso in Montedison. Negli anni ’60 con Postalmarket introduce un nuovo sistema di vendita. Fanno capo a lei marchi come Brioschi, Durban’s, Saffa, Miralanza acquistata con una ispirazione improvvisa mentre sta facendo il bagno nella vasca di casa sua. Il balzo nel mondo della finanza porta la famiglia Bonomi, della quale Carlo prende le redini, a diventare azionista chiave della Montedison. Nel 1985 l’amministratore delegato del grande gruppo chimico, Mario Schimberni, decide di diventare padrone di se stesso e scala BI Invest prendendo tutti di sorpresa, persino Enrico Cuccia.
Due anni dopo Schimberni verrà scalato a sua volta da Raul Gardini che s’impadronisce della Fondiaria, la compagnia di assicurazioni che deteneva un pacchetto chiave di Mediobanca. È allora che Gianni Agnelli disse: «BI. Invest humanum, Fondiaria diabolicum est». I Bonomi hanno incrociato i loro destini anche con Michele Sindona e con Roberto Calvi. Lady Finanza è uscita dalle inchieste giudiziarie solo con un patteggiamento. Quando muore a 92 anni, nel 2003, il figlio Carlo vive già a Londra dove si è autoesiliato e in silenzio come suo costume ha cominciato a ricostruire le sue fortune. Non più l’impero della mamma, la Signora dei danè, ma un consistente pacchetto di immobili e azioni (nella Saffa).
La vera rivincita in questa saga familiare che merita un film più alla Dino Risi che alla Oliver Stone, è adesso nelle mani di Andrea, 46 anni e tre figli, studi all’estero e tanta voglia di crescere in Italia. La grande operazione poteva essere la conquista della Banca Popolare di Milano. Con un pacchetto di quasi il 9% ne diventa primo azionista e poi presidente del consiglio di sorveglianza dal 2011 al 2014. Si scontra subito con il nucleo d’acciaio che ruota attorno ai sindacati, ma pensa che l’appoggio di Alberto Nagel, amministratore delegato di Mediobanca, possa fargli da stampella. Invece, viene sconfitto e si deve ritirare. La Bpm, presieduta ora dall’economista Nicola Rossi, dovrà fondersi con il Banco popolare e diventare una spa, operazione nient’affatto facile.
Nagel, con il quale c’è un legame che va oltre gli affari, sta cercando di usare Bonomi come cavaliere bianco per contrastare la scalata di Urbano Cairo al Corriere della Sera. Manovra ancor più funambolica di quella tentata nella banca, perché c’è il peso di un grosso, grasso debito (400 milioni di euro) e un variegato gruppo di azionisti senza leadership né strategia i quali si oppongono debolmente all’offensiva di Intesa Sanpaolo, che ha scelto Cairo come cavallo di Troia. È una partita che comporta l’impiego di molti denari con un alto rischio di sconfitta, almeno allo stato attuale.
Bonomi finora si è mosso con determinazione e agilità di un finanziere all’americana. La volontà di riscatto in patria lo ha fatto incappare nella spietata logica del capitalismo consociativo (alla Bpm) o di relazione (alla Rcs) che è al tramonto, come si dice sempre più spesso, ma comunque si prepara a un lungo e doloroso addio. Andrea Bonomi dovrà scegliere se vuol fare il signore dei danè sulle orme della nonna o l’ospite tardivo del salotto buono. Per la verità di strapuntini l’Italia non ha più bisogno, di denari, invece, di capitali freschi, è in fervida e disperata attesa.