Notizie tratte da: Ambra Laurenzi, Ravensbrück, il lager delle donne, Produzione Aned, Punto Marte Editore, Soligo (Tv), pagg. 120, € 26,00, 15 maggio 2016
LIBRO IN GOCCE NUMERO 90 (Ravensbrück, il lager delle donne) Vedi Biblioteca in scheda: manca Vedi Database in scheda: manca PRIGIONIERE CON COLORI DIVERSI – Donna
LIBRO IN GOCCE NUMERO 90 (Ravensbrück, il lager delle donne) Vedi Biblioteca in scheda: manca Vedi Database in scheda: manca PRIGIONIERE CON COLORI DIVERSI – Donna. «Considerate se questa è una donna / Senza capelli e senza nome / Senza più forza di ricordare / Vuoti gli occhi e freddo il grembo / Come una rana d’inverno / Meditate che questo è stato» (Primo Levi) Ravensbrück. Nel campo di concentramento femminile di Ravensbrück, attivo tra il 1939 e il 1945, furono imprigionati circa 130mila donne e bambini di 40 nazioni, 20mila uomini in un campo limitrofo e 1.200 ragazze nello Jugendlager (Lager della gioventù), che negli ultimi mesi del 1944 divenne campo di eliminazione anche per le donne del campo principale. Tragende. Tragende (La portatrice), la scultura di Will Lammert immagine-simbolo della solidarietà, che si erge su un alto piedistallo vicino alle sponde del lago Schwedt, rappresenta una donna che porta, tra le braccia, un’altra donna senza forze. Pezzi. Blocco quattro. Ogni blocco non un nome ma un numero. Ogni blocco abitato da centinaia di Stücke, non donne ma pezzi. Triangoli. Le prigioniere hanno cucito addosso un triangolo: rosso per le politiche, verde per le ladre e le prostitute, giallo per le ebree, viola per le Testimoni di Geova, rosa per le omosessuali, nero per le rom e le asociali. Appello. «L’appello si svolge, per tutta la durata, in posizione di attenti, sotto la pioggia, la neve o il vento. All’appello è proibito muoversi, parlare con le compagne, accoccolarsi quando le gambe non reggono più, battere i piedi per scaldarsi, appoggiarsi con la schiena per sostenersi, avere il petto coperto con un pezzo di carta rubata per difendersi dal freddo. L’appello è un mezzo, fra i tanti, studiato apposta per mettere le prigioniere in condizione di non pensare, per disumanizzarle, per distruggerle» (Lidia Beccaria Rolfi, prigioniera N. 44140). Siemens. Nel 1942 la ditta Siemens-Werke di Berlino fece costruire un vero e proprio campo con 20 capannoni per la produzione di materiale bellico di alta precisione e le baracche per le deportate sottoposte a lavoro coatto nella fabbrica. Nein. «Un giorno, a Natale, i dirigenti della Siemens ci hanno chiamate e volevano darci un regalo. Un regalo! Volevano darci, ricordo, un sacchetto di sale come regalo, ma poi decisero di darci due marchi, che dovevano servire per procurarci sale, appunto. Ci siamo messe in file davanti a questi, che si erano schierati di fronte a noi, e abbiamo detto: “Nein!”. Non accettammo niente» (Mirella Stanzione, prigioniera N. 77415). T ariffa. La tariffa per il noleggio delle detenute variava dai 4 ai 7 marchi al giorno, da pagare all’amministrazione delle SS. Gravidanze. Al Revier c’è una sala parto. Quando nel ’42 lo scopo del campo diventa il rendimento, e il lavoro assume una funzione essenziale, le donne incinte, che devono lavorare, sono obbligate ad abortire affinché la gravidanza non disturbi la produzione. L’aborto è praticato fino all’ottavo mese e il feto, che spesso è un bambino già vivo, è bruciato in una stufa, mentre la madre è rinviata immediatamente in fabbrica. Nel 1943 arriva un nuovo direttore sanitario SS, il dottor Treite, e il regolamento viene ancora modificato: le gestanti possono continuare la gravidanza e partorire, ma i neonati appena vengono al mondo sono strangolati o annegati in un secchio d’acqua davanti alla madre. Fiori. «In meine Heimat… blühen die Blumen» (canzone intonata dai bambini, in fila per cinque, diretti verso il forno crematorio). Hans. «Mio figlio si chiama Hans, l’ho avuto in carcere, quello di Barnimstrasse a Berlino. Me lo hanno fatto partorire, me lo hanno fatto allattare e poi mi hanno uccisa. Hanno aspettato che io finissi, poppata dopo poppata… allattare era un mio diritto di madre. Il potere è sempre stato stupido e preciso. Le regole naziste non ammettono eccezioni…» (Storia di Hilde Coppi tratta da “Perché i vivi non ricordano gli occhi di…”). Giorgio Dell’Arti, Domenicale – Il Sole 24 Ore 15/5/2016