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 2016  maggio 13 Venerdì calendario

UN CERCHIO MAGICO TANTO ARISTOCRATICO DIETRO LO SCANDALO PROFUMO

Lo incontravo ogni tanto alla fermata dell’autobus di Sloane Square, nei primi anni Novanta. Sempre solo, elegantissimo in cover coat, cravatta regimental e ombrello arrotolato, non alto ma magro e dritto come un fuso, il quinto barone John, alias Jack, Profumo (titolo della corona sarda, non riconosciuto da quella britannica) faceva la sua figura, nell’indifferenza dei passanti. Il fatto poi che dai velluti del Parlamento e dell’alta società fosse sceso, sia pure per alcune ore al giorno, nei meandri dickensiani degli ostelli dell’East End, dove serviva i pasti e puliva i gabinetti, non poteva non colpire l’immaginazione di chi conosceva un poco la sua storia.
E lì ero rimasto, finché diversi anni dopo, morto nel frattempo il novantenne Profumo nel 2006, ho letto il bel libro che gli ha dedicato il figlio David. Un racconto che raggiunge lo scopo opposto a quello prefisso: perché volendo riabilitare il padre, delinea il ritratto di un personaggio affascinante, ma cinico e manipolatore, prima, durante e anche dopo la sua fine politica. E sì che dalla vita, Profumo aveva ricevuto tutto. Il nonno, trasferitosi intorno al 1880 da Torino a Londra, aveva fondato una florida società di assicurazioni, i cui proventi permisero agli eredi di affrontare senza problemi le prove dell’esistenza. Educato a Oxford, ma poco portato agli studi e amante della bella vita, ambizioso, attraente e simpatico, Jack decise di entrare in politica e divenne il più giovane parlamentare nell’Inghilterra churchilliana avviata alla sua “ora più grande”, nel 1940. Si distinse anche in guerra, promosso e decorato più volte sul fronte italiano. Al ritorno, riprese a farsi strada nei ranghi dei conservatori, facilitato dal fatto che nessuno dei big del partito lo riteneva un concorrente temibile. Alle sostanze familiari univa le amicizie giuste ed era ben visto a Corte. Unico neo: le donne gli piacevano molto, ma non aveva ancora trovato la compagna adatta per puntellare la sua ascesa. Questo avvenne nel 1947, a un ballo di beneficenza la cui madrina era Valerie Hobson, uno dei volti nuovi del cinema britannico. “Val” era una donna di classe e grande presenza fisica ma un po’ legnosa e fredda, che nonostante una cinquantina di pellicole anche di pregio, non riuscì a emulare le coetanee Vivien Leigh o Deborah Kerr. Era allora sposata con il suo pigmalione e produttore, dal quale aveva avuto un figlio, gravemente menomato.
Lei si lanciò a capofitto nell’avventura, forse consapevole che la sua carriera ristagnava e che tanto valesse girare pagina per sempre. Lui, come sempre, fu più guardingo e calcolatore. Quando Val, separata ma ancora sposata, rimase incinta, Jack la fece abortire perché un figlio illegittimo non era compatibile con il successo in politica. Non le pagò neanche il taxi per la clinica, «per non provare rimorsi».

Una “power couple”. Riuscirono a convolare a nozze nel 1954 e l’anno dopo nacque l’agognato erede. Tutto sembrava andare a gonfie vele per Jack, ormai lanciato, come sottosegretario alle Colonie e agli Esteri. Poi, nel 1960, la grande svolta, a capo di quello che era ancora denominato Ministero della Guerra. I Profumo, grazie alle sostanze di lui e all’avvenenza di lei, erano una delle coppie più ricercate della swinging London nascente dei primi anni Sessanta. Non vi era ballo a Corte, prima teatrale, serata alla moda in cui non fossero invitati, ossequiati, fotografati. A Val, che aveva i piedi per terra e un doloroso lascito del primo matrimonio, tutto questo bastava e non le faceva rimpiangere la rinuncia alle scene. Lui coltivava invece un lato oscuro, nascosto ai più ma noto agli intimi e probabilmente anche alla moglie: una passione incontrollabile per le fanciulle di modesta virtù, attricette, spogliarelliste, call girls dei localini di Soho. Perché, avendo sposato una delle donne più belle e ammirate di allora, avesse bisogno di simili diversivi, Dio solo sa. Forse soltanto quelle frequentazioni erano in grado di dargli un brivido forte. L’uomo è una macchina misteriosa, oltre che imperfetta.
Non fu dunque uno sprovveduto quello che, in un fatale weekend del luglio 1961, a Cliveden, s’imbatté in una graziosa brunetta seminuda, che si esibiva in piscina per la gioia degli ospiti. Cliveden non era solo una delle dimore storiche dei dintorni di Londra, ma la residenza principale degli Astor, ricchissima e influente famiglia di banchieri di origine americana (ma più lontanamente, tedesca) che aveva espresso nel 1919 la prima donna parlamentare ai Comuni. Lady Nancy Astor, dal carattere di ferro che anticipava di mezzo secolo la signora Thatcher, aveva esercitato un’influenza notevole sulla politica inglese tra le due guerre, e Cliveden set designava il gruppo che si riuniva periodicamente per fare e disfare governi e maggioranze: oggi lo chiameremmo, più rusticamente, “cerchio magico”. Il nomignolo prese poi un significato dispregiativo, perché gli affiliati erano sostenitori del premier Chamberlain e della politica di appeasement nei confronti della Germania nazista. L’astro di Nancy Astor svanì con la nuova guerra e la splendida residenza passò al primogenito, William, alias Bill, uomo d’affari di successo, allevatore di purosangue e compagno di merende di Profumo. Tutto questo, quando scoppierà lo scandalo, gli conferirà agli occhi di un’opinione pubblica ancora poco avvezza ai segreti d’alcova dei potenti, il fascino di unire lusso a lussuria.
I fine settimana di Cliveden continuavano nel dopoguerra a essere frequentati dal fior fiore dell’aristocrazia, della politica e della finanza internazionale. Bill aveva imprestato uno chalet nel parco al personaggio chiave della vicenda. Si chiamava Stephen Ward, figlio di un pastore anglicano, era salito rapidamente nella scala sociale grazie a due doni che gli avevano aperto le porte del bel mondo: era un ottimo osteopata e un abile ritrattista che, come i disegnatori di Piazza Navona, sapeva rendere modelle e modelli (tra cui il principe consorte Filippo e suo zio, Lord Mountbatten, poi lambiti dallo scandalo) più aitanti che dal vero. Dotato di “personalità dominatrice”, come fu detto al suo processo, Ward era un affabulatore, capace di spacciarsi come membro clandestino della disciolta British Union of Fascists, o mediatore tra americani e sovietici nella crisi dei missili di Cuba. Ma era molto richiesto anche per una terza caratteristica: la scuderia di ragazze disinibite che rinnovava periodicamente, e distribuiva generosamente ad amici e conoscenti. Le sue due più note puledre, la bionda Mandy Rice-Davies e Christine Keeler, la brunetta in piscina, finirono rispettivamente nelle braccia di Bill Astor e Jack Profumo, oltre che di numerosi altri. Tra questi, Ward che amava le combinazioni spericolate, a letto e nella vita, introdusse anche il vice addetto navale sovietico, Evgenij Ivanov, il quale sacrificò il suo onore di casto bolscevico e sposo devoto alle confidenze raccolte sul talamo (anche se pare fosse troppo ubriaco per concludere). Come poi appurò l’inchiesta, segreti di Stato non furono divulgati, ma il fatto che il ministro della Guerra e un militare sovietico condividessero la medesima amante non era proprio il massimo, in piena guerra fredda.

Il suicidio di Ward. Trascorsero quasi due anni, fino alla primavera-estate del 1963. Messo alle strette dagli accertamenti dei Servizi, Profumo fu chiamato a smentire solennemente ai Comuni qualsiasi «impropriety»: una formula che ha poi trovato proseliti, varcando l’Atlantico, anche se tra la Keeler di allora e la Lewinsky di poi, c’è veramente, sul piano storico ed estetico, un oceano.
Smascherato dalle rivelazioni della ragazza forse manovrata dai suoi avversari, dentro e fuori il partito, Profumo dovette dimettersi, abbandonò la politica, e si diede a un lungo apostolato tra gli emarginati e i bisognosi. L’impavida Val rimase al suo fianco fino alla morte, nel 1998. Le cospicue rendite familiari permisero alla coppia di mantenere un grande stile di vita, e pare che Jack non abbia perso neanche in tarda età il piacere di certe frequentazioni. Ivanov fu rispedito in patria in ventiquattr’ore a dirigere (ufficialmente) un allevamento di storioni in Siberia e non ha più dato notizie di sé. Astor si trasferì prudentemente per un po’ negli Stati Uniti, sua seconda patria. Le fanciulle sparirono verso poco luminosi destini. Abbandonato da tutti, Ward si uccise, all’indomani di una discussa condanna che lo bollava come prosseneta e unico colpevole del caso. Lasciò la sua Jaguar con un biglietto: «Cambiare l’olio del cambio. Thanks. Bye».
Si è scritto e ripetuto fino ai giorni nostri che lo scandalo Profumo fece “tremare” un Regno e mise la classe dirigente “in ginocchio”. Perfino David Profumo (o il suo editore) ha intitolato il suo libro Bringing the House Down, nei due sensi di “casa” per famiglia e Comuni. Avvenne esattamente il contrario. Dopo un primo choc, non cadde proprio nulla, anzi Regno ed establishment ne uscirono più forti di prima. Il cattivo si era tolto di mezzo, il colpevole era pentito e redento, le donnine di facili costumi circondate da generale, ipocrita obbrobrio, l’amore coniugale trionfava, la sicurezza dello Stato era salva, il Parlamento, purgato dal membro mendace. È vero che il premier Macmillan, minato dal cancro e dagli intrighi di corrente, dovette dimettersi e che il suo successore, Douglas-Home, perse l’anno dopo per un soffio le elezioni contro i laburisti di Wilson. Ma lo scandalo Profumo fu solo un ingrediente minore di una campagna dominata dalle questioni economiche. Il Regno Unito restava geloso, esclusivo custode dei propri destini. Era, si sentirà mai parte di un’Europa unita? Buona domanda, alla vigilia del referendum su Brexit.