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 2016  maggio 13 Venerdì calendario

LO “SCERIFFO” DI PALERMO CHE COLPÌ AL CUORE LA MAFIA

Nell’anno orribile dell’antimafia, mentre magistrati e imprenditori antiracket vengono indagati per mazzette, affari opachi e intrallazzi su beni confiscati, avvicinandosi al 23 maggio, forse non c’era modo migliore per ricordare la strage di Capaci se non ritornare a figure di veri eroi da raccontare senza retorica. A cominciare dalla storia di Boris Giuliano. Come fa la Rai, con un film in due puntante in programma per il 23 e 24 maggio. Un omaggio al capo della mitica Squadra Mobile di Palermo attiva alla fine degli anni Settanta. Un’efficace ricostruzione firmata da Ricky Tognazzi con Adriano Giannini nei panni di Boris Giuliano, un poliziotto a Palermo e un cast di primo piano, da Nicole Grimaudo (la moglie Maria Leotta) a Ettore Bassi, Antonio Gerardi, Luigi Maria Burruano, Toni Sperandeo, Enrico Lo Verso, Fabrizio Bracconeri, Guia Jelo, Sebastiano Lo Monaco, Francesco Montanari, Vincenzo Ferrera.

Nodi irrisolti. Al centro, lo “sceriffo” ucciso dalla mafia nel 1979 e addestrato a Quantico con i detective del Fbi, ma attorno a lui gli uomini di quella squadra che dichiarò guerra ai Corleonesi. Una squadra fatta adesso, nel 2016, di prefetti, dirigenti ministeriali e questori con i capelli bianchi, qualcuno ancora in servizio, la maggior parte in pensione. Tutti convocati per suggerire e consigliare. E tutti pronti a porre una condizione assoluta a regista e sceneggiatore, come dice per tutti Paolo Moscarelli, l’allora segugio dell’antidroga: «Restituire al nostro primo capo di quella Squadra, a Bruno Contrada, la dignità offesa nei tribunali». Ecco un nodo irrisolto dei travagli di Palermo davanti a quel che resta di una squadra affiatata e compatta. Con due unità umiliate da irrevocabili condanne per mafia in Cassazione. La prima subita da Contrada, eppure da quei colleghi ancora considerato il “gemello” di Giuliano. La seconda da Ignazio D’Antone, suo successore. Drammatiche contraddizioni di vicende devastanti che si miscelano con i dubbi di Vincenzo Speranza, ex questore di Trento e Bari, di Vittorio Vasquez, a lungo vice di Giuliano, di Guglielmo Incalza, il funzionario Sisde che catturò Pippo Calò da vice dirigente della Mobile di Roma, del prefetto Vincenzo Boncoraglio, per anni questore a Milano, di tanti altri, fino a Tonino De Luca che non c’è più e a Moscarelli, determinato nella difesa di «una storia travolta da errori giudiziari», come afferma certo della sua verità. In sintonia con le parole lasciate come testamento da De Luca, il capo della “Omicidi”: «A Palermo si uccide anche con la calunnia». E Speranza, anche lui nel mirino di pentiti poi smentiti dalle sentenze: «Siamo stati costretti tutti a difenderci». Deluso come Boncoraglio: «Ombre ingiuste sulla nostra storia». E tutti in coro: «I magistrati avrebbero dovuto ascoltare noi». E questo hanno ripetuto allo sceneggiatore della fiction, Angelo Pasquini, raccontando sia la guerra combattuta contro Corleonesi e colletti bianchi, avvocati ed esattori, sia l’umanità di Boris Giuliano tratteggiata anche dalle sequenze con mogli e figli, dalle festicciole, dalle canzoni accompagnate alla chitarra dallo “sceriffo” o dallo stesso Moscarelli, una passione allora segreta perché componeva «da autore sotto copertura» le più belle canzoni di Peppino di Capri. Proprio a casa di Moscarelli si riunirono tutti un giorno di due anni fa con Pasquini, come ricorda il padrone di casa spiegando perché dalla fiction è totalmente scomparsa la figura di Ignazio D’Antoni, libero da un paio d’anni: «Lo sceneggiatore ci disse che raccontare la squadra con più di tre, quattro personaggi avrebbe disorientato il pubblico. Ne prendemmo atto. Spiegandolo a Ignazio, che abbiamo invitato alla conferenza di presentazione il 18 maggio a Roma. Ma Contrada nel film doveva esserci e con la sua vera storia, come ho ripetuto a Ricky Tognazzi e a Simona Izzo. Anzi, adesso il produttore, Sergio Giussani, pare voglia fare un film su Bruno, invitandolo comunque alla proiezione di Palermo, subito dopo Roma...». Non mancherà qualche imbarazzo e lo intuisce Vincenzo Boncoraglio, il prefetto che fu anche a capo della Sicurezza alla Regione Lazio: «Come abbiamo detto a sceneggiatore e regista, non si può parlare di Boris, senza parlare di Bruno. Ma è necessaria una precisazione. Noi siamo stati educati al rispetto assoluto e totale di qualsiasi sentenza espressa in nome del popolo italiano. Questo non c’impedisce di avere nostre convinzioni. Io sono uno dei 300 testimoni convinto dell’innocenza di Contrada. Voglio un sacco di bene a lui, alla moglie, ai figli, ma questo è il film sulla vita di Giuliano. Il rispetto assoluto delle regole ci porta anche a dire che a volte non è il nostro turno. E che non c’è bisogno di parlare troppo di noi. A parte qualche riferimento, non è un film per riscattare Contrada. Bisogna tenere distinte le cose. Il produttore può fare un’altra fiction su Contrada, lui che è più indipendente di noi».

L’eredità di Alessandro. La trama è un racconto degli orrori di quell’epoca combattuta con poche armi, senza pentiti, con qualche informatore. E nel racconto è ben descritta la dimensione più intima di Boris Giuliano, a cominciare dall’amore per la sua Maria e per i tre bambini che non ha potuto veder crescere. Due giovani donne oggi, Selima e Manuela. E Alessandro con il quale si chiude il film mentre, ancora ragazzo, testimonia nel 1986 al maxi processo contro gli assassini del padre. Nei titoli di coda il riferimento al suo ruolo di capo della Mobile di Milano, incarico appena lasciato a 49 anni perché promosso questore, anch’egli “laureato” nella stessa base americana di Quantico. Staffetta che fa sperare di potere esorcizzare l’anno orribile, magari aggrappandosi all’epitaffio letto dal neo questore sul monumento eretto a Washington a memoria di tutti i poliziotti caduti: «Su quella pietra campeggia una frase che bisognerebbe conoscere: “La grandezza di questi uomini non sta nel modo in cui essi sono morti, ma nel modo in cui essi hanno vissuto”». E, il film di Tognazzi, l’esempio di quegli uomini “vivi” prova a riproporlo il 23 maggio.