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 2016  maggio 11 Mercoledì calendario

INTERVISTA A MORANDI – Roma, maggio Non è da tutti, nel mondo dello spettacolo, saper infondere allegria, serenità e buon umore

INTERVISTA A MORANDI – Roma, maggio Non è da tutti, nel mondo dello spettacolo, saper infondere allegria, serenità e buon umore. Non è da tutti rimanere in pista per più di cinquant’anni, alternando alti e bassi con sapiente distacco e per di più rimanendo sempre umili, curiosi e accessibili. Il successo di Gianni Morandi ha una spiegazione chiara: semplicità. Semplice è il suo modo di fare, semplice è il suo stile di vita, semplice il suo canto libero. L’anno scorso sul palcoscenico di Facebook, di cui oramai è opinion leader indiscusso, ha pubblicato un post che sembra racchiudere in poche parole di che pasta è fatto questo straordinario fantasista della musica leggera italiana: «Siate felici, siate sereni, vivete le cose belle della vita e se capita qualcosa di negativo dobbiamo cercare di superarlo». Ha capito subito, grazie alle sue antenne divine che dagli inizi della carriera sono sempre perfettamente in sintonia con il gusto popolare, che il filone «Morandi’s Life» sarebbe piaciuto alla gente. Così, a 71 anni, Gianni non solo è tornato in vetta alle classifiche grazie al progetto Capitani Coraggiosi condiviso insieme all’amico Claudio Baglioni, non solo è riuscito a tornare a riempire i palazzetti di tutta italia con il tour omonimo, ma con la Rete si diverte come un ragazzino, cliccatissimo anche dagli under 21 per la sua umanità, per la sua normalità che ipnotizza, per la sincerità e il buon senso da padre, per le sue pillole di disarmante saggezza. È ormai un divo Internet e lui lo fa per sorriderne, non certo per vantarsene. L’intervista che segue, lo ammetto, non è il prodotto delle mie curiosità o delle mie provocazioni, ma è soprattutto una confessione sincera e inaspettata di un uomo talmente attaccato alla vita da provare perfino imbarazzo nell’essere depositario di tanta gioiosa vitalità. Il 23 aprile scorso ha finito di girare l’Italia con Baglioni. È tornato a occuparsi dell’orto? «Sono tornato alla mia vita regolare, quindi anche a prendermi cura del piccolo orto che abbiamo davanti a casa, dove coltiviamo un po’ di tutto: insalata, radicchio, cipolle, prezzemolo, verza, una pianta di basilico, una di salvia, pomodori e patate. Ho girato quasi tutto il Paese, è stato molto gratificante ma anche bello tosto. Tornare alla vita di tutti i giorni mi fa piacere». Lei è stato il cantore dell’amore pulito, l’uomo che nei musicarelli cinematografici, campioni d’incassi negli Anni 60, faceva le serenate sotto casa alle donne che amava. Adesso è tra i fenomeni più cliccati su Facebook. «Io ho sempre comunicato nello stesso modo: in maniera positiva e sorridente. Oggi sono solo cambiati gli strumenti. Ho sempre cercato di essere me stesso e ora, attraverso la Rete, ho scoperto che questa mia normalità la posso condividere con tantissime persone che hanno voglia di entrare in contatto con me. Pubblico cose molte semplici e quotidiane, un po’ come fanno tutti. Ho scoperto Facebook quasi per caso, su suggerimento di una mia storica fan che mi ha chiesto di provare e di vedere cosa sarebbe successo se avessi iniziato a pubblicare dei post. Non mi sarei mai aspettato di ricevere così tanta attenzione. Mi piace avere un rapporto diretto con la gente, perché la curiosità per l’altro, fortunatamente, non è mai venuta meno. Ovviamente la giornata è fatta di 24 ore, e il tempo che dedico ai social non è più di un’ora al giorno. Se vado a fare un giro nel bosco, magari mi viene voglia di fare una foto e condividerla con chi mi segue. Se nel mio orto è pronto il raccolto, mi diverte comunicarlo ai miei fan. Ma non passo certo tutta la giornata davanti al computer. Credo di sapere come usare il mezzo senza perdere il contatto con la realtà e senza ledere la mia privacy. Pubblico quello che desidero e vivo il rapporto con la Rete come fosse un bel gioco. Faccio tante altre cose durante il mio tempo libero: vado al cinema, leggo, corro, parlo con i miei amici, mi guardo intorno, scrivo il mio diario». Ha un diario come quello degli adolescenti? «Sì, la differenza è che il mio diario ha una cinquantina d’anni. Lo aggiorno tutte le sere, perché sono abituato a curare le cose a cui tengo fino allo sfinimento. Ho saltato solo qualche anno quando facevo il militare, ma l’ho sempre considerato il mio appuntamento di fine giornata. Prima scrivevo sopra le agende che ti regalavano le banche, poi sulle Moleskine, poi su dei quaderni. Insomma, c’è tanta roba. È un’abitudine che mi ha trasferito mio padre quando ero ancora piccolo: non sono andato a scuola, mi sono fermato alla quinta elementare e mio padre voleva che mi esercitassi con la scrittura e la lettura. Oggi sono ancora qui a raccontare la mia giornata sopra un foglio di carta anche se poi alcune cose finisco per condividerle su Facebook». Scrive più di sé o degli altri? «Scrivo un po’ di tutto, quindi anche molto delle persone che incontro. Sono molto curioso degli altri, anche di quelli che a volte potrebbero risultare troppo assillanti nei miei confronti. C’è sempre qualcosa da scoprire dietro una persona che ti stima, che ti stringe la mano o che vuole parlare con te. Anche se siamo tutti uguali, c’è una diversità enorme in ognuno di noi e a me diverte scoprirla, ascoltarla e raccontarla. Ognuno di noi è un prototipo, un numero uno, un atto unico». Non c’è niente che la innervosisce negli altri? «Certo. La maleducazione, ad esempio. Ma anche la volgarità e la prepotenza. Però le persone semplici, che incontri per la strada, hanno sempre qualche cosa di buono da darti o da insegnarti. Poi, osservare la vita della gente è una cosa bella: io lo faccio da un punto di vista privilegiato, perché ho avuto incontri speciali e grandi occasioni. Sono un uomo super fortunato e vedere che c’è gente che fa molta fatica a vivere o a sopravvivere mi spinge a incuriosirmi ancora di più del mio prossimo». Di notte, dopo aver aggiornato il diario, che pensieri fa prima di addormentarsi? Quali sono le immagini del passato ricorrenti? «Mio padre ce l’ho sempre abbastanza presente. Anche se sono passati molti anni, la sua memoria è viva in me. È morto nel 1971, a 49 anni, era con me in Venezuela e lì se ne è andato per un infarto. In quegli anni giravo molto il mondo. Con Adriano Aragozzini andammo a fare uno spettacolo a Caracas nel giorno di Ferragosto: mio padre non era mai stato in America e non aveva mai preso l’aereo. Aragozzini gli propose di venire con noi, anche perché mio padre all’epoca si occupava molto di me, mi accompagnava anche a fare le serate. A lui sembrava quasi una cosa impossibile attraversare l’Oceano e andare in America, la culla del capitalismo. In un periodo in cui, in Italia, erano nette le differenze tra un’idea politica e l’altra, tra chi stava dalla parte dei lavoratori e chi da quella dei padroni, per mio padre quel viaggio significava andare alla scoperta di qualcosa molto distante dalla sua cultura: lui era un appassionato e convinto militante di sinistra, con una scala di valori solida e radicata. Sta di fatto che io tornai due giorni dopo in Italia perché avevo una serata in Sicilia, mentre Aragozzini e mio padre mi avrebbero raggiunto qualche giorno più avanti: volevano vedere New York prima di ritornare. Purtroppo mi arrivò una telefonata all’improvviso: mio padre era morto di infarto durante la notte. La sua figura, ancora oggi, torna prepotentemente nei miei ricordi, ma mai nel momento della sua scomparsa. Lo rivedo durante la mia infanzia, con me e mia sorella. Poi purtroppo ho un buco enorme, perché quando cominciai a cantare in giro per l’Italia, ero così giovane che oggi ricordo solo una gran confusione. Certo, qualcosa ancora rimane intatta nella memoria: la gente ai miei primi concerti, le serate al Cantagiro con la folla oceanica che ancora non era abituata ai grandi eventi di piazza… Ma non ricordo molto di più». La generazione di suo padre ha creduto nelle ideologie e nella lotta di classe. Quel tempo è andato e il post-ideologismo si è impossessato della politica. Ha nostalgia di quegli anni e dei valori tanto cari a suo padre? «Quella stagione non solo è andata ma non ritornerà più. Nelle famiglie si respirava un’aria militante e netta nelle posizioni: c’erano quelle missine, quelle democristiane, socialiste, socialdemocratiche, repubblicane, liberali e poi, quelle come la mia, orgogliosamente di sinistra. Tutto era ben definito. Nel mio paese alcuni dell’Msi facevano perfino fatica a salutarsi con quelli che votavano Pci. Mio padre veniva da una famiglia di contadini, faceva il ciabattino, vendeva l’Unità e viveva di ideali. Tutti noi credevamo che ci fosse solo una possibilità per migliorare la qualità della vita dei lavoratori: essere di sinistra. Ideali che anch’io ho sempre avuto dentro, anche negli Anni 60 del boom economico. Sognavamo che il mondo potesse andare verso un’unica direzione: il bene per tutti, la pace tra i popoli, il miglioramento della qualità della vita per le classi più povere. Poi, quando crollò il Muro di Berlino, e il mio papà già non c’era più, mi sono chiesto che cosa avrebbe detto lui, come avrebbe vissuto il crollo delle ideologie». E cosa penserebbe suo padre se potesse vedere l’evoluzione del suo amato Pci, che oggi si fa chiamare Partito Democratico, guidato da un leader, Renzi, che oltre alle ideologie ha mandato in soffitta anche i suoi più autorevoli rappresentanti? «Chi lo può sapere… Scoprirebbe che quelli che ieri erano i suoi avversari, oggi sarebbero i suoi quasi alleati. Scoprirebbe che si è perso tutto di quella stagione. Oggi avere dei riferimenti o avere qualcosa in cui credere è molto difficile. Io mi ritrovo solo nel pensiero cristiano. E pensare che mio padre, questo pensiero, all’epoca neanche lo condivideva. Per lui esisteva il marxismo-leninismo e per me oggi esistono solo le parole di Papa Francesco: l’unica persona in cui credo e che seguo. Ai tempi di mio padre c’erano grandi politici, oggi come fai a credere a quello che ti dicono? Mio padre, se si risvegliasse oggi, rimarrebbe molto sorpreso e molto deluso, perché credeva nei valori dell’uguaglianza, della fraternità e della pace. Pensava di lottare per un mondo migliore. Aveva speranza. Mentre oggi invece…». Anche lei ha perso la speranza? «Io non posso permettermi di non averla. Come faccio proprio io a lamentarmi? Anche se ogni tanto non dovessi stare bene, sto comunque meglio della maggior parte delle persone. Sono un uomo molto fortunato e sono consapevole che la vita mi ha regalato molte gioie. A volte penso perfino che siano troppe. Ho una moglie fantastica: l’ho incontrata alla soglia dei cinquant’anni ed è stato un incontro bellissimo. È un donna positiva, sempre sorridente, ed è stata una grandissima lavoratrice. Come faccio, con tutta questa fortuna e questi privilegi, a non aver speranza nel futuro? Certo, mi aspetto che prima o poi qualcuno paghi per tanta felicità: se uno sta sempre bene come me, prima o poi credo che arriverà un momento, all’improvviso, in cui ne pagherà il conto. A volte penso che la vita mi ha regalato troppe cose, mi accorgo di aver ricevuto troppo, quindi non ho mai motivo di lamentarmi veramente. Ho dei figli che sono bravi, che amo e con cui ho un ottimo rapporto, ho nipoti, amici, e faccio un lavoro che, dopo 54 anni di discografia, ancora riesce a darmi grandi soddisfazioni. Sono ancora qua che mi chiamano, che mi cercano, che mi invitano, che mi apprezzano, che comprano un biglietto per venire a vedermi dal vivo. Cosa devo volere di più? Lei cosa direbbe?». Che la curiosità è un buon modo per sdebitarsi. E lei ce l’ha. «A volte vado a trovare alcuni ragazzi disabili e vedo la fatica che fanno. Eppure mi dicono perfino che si sentono fortunati, perché c’è molta gente che gli vuole bene. Forse ha ragione lei: la curiosità, nella vita, è la cosa più bella che c’è. Ascoltare, sentire, farsi attraversare dalla storia e dal racconto dell’altro. Io non sono di certo un santo, ma perfino i momenti meno felici della mia carriera ho sempre trovato la forza di trasformarli in occasioni positive, educative e formative. Dopo un grandissimo successo passare all’anonimato ti aiuta moltissimo, perché ti invita a metterti in discussione. Sono un uomo felice e non nascondo di provare un certo imbarazzo ad ammetterlo».