Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  maggio 12 Giovedì calendario

RADIOGRAFIA DEL PALAZZO DEGLI ORRORI

Ma in quale mondo un uomo prende una bambina per un braccio e la scaraventa giù dall’ottavo piano perché la piccola si oppone all’ennesimo tentativo di violenza sessuale? Ma in quale comunità gli adulti, perfino le madri e le nonne, pur sapendo quello che è successo, non parlano, non denunciano e anzi fanno addirittura di tutto per ostacolare le indagini? Ma in quale contesto sociale una mamma lascia che il proprio compagno abusi di tutte le figlie, compresa la più piccina che ha tre anni, mentre la vicina del piano di sotto finisce in carcere per aver violentato la sua, di figlia, dopo che il marito è già stato arrestato per lo stesso reato nei confronti della stessa bambina?
È una porta sbattuta sulla faccia quella che Panorama ha deciso di aprire sul palazzo C del «Parco verde» di Caivano, il comprensorio napoletano dove una bambina di 6 anni, Fortuna Loffredo, detta Chicca, è stata uccisa il 24 giugno 2014 dopo che un altro bambino di 3 anni, Antonio, l’anno prima era morto con una dinamica simile, in quel caso spacciata per incidente.
Così, per provare a capire come sia stato possibile quanto affermano le indagini giudiziarie sul caso, Panorama fatto un viaggio in quello che i vecchi di Caivano chiamano sprezzantemente «il palazzo dei cani malati». Ne ha salito gli otto piani (vedere lo schema completo alle pagine 68 e 69), è entrato nei suoi 31 appartamenti analizzando nomi e fedine penali. Ha così contato 108 inquilini, per l’esattezza 32 minorenni e 76 adulti, 39 dei quali hanno precedenti penali. Più della metà degli abitanti di quell’edificio, insomma, sono pregiudicati per reati dalla rapina all’estorsione, dal furto all’evasione dal carcere, dalla violenza sessuale al tentato omicidio, dalla ricettazione alla minaccia, alla violenza a pubblico ufficiale. La guida senza patente è talmente diffusa da essere quasi la norma.
In realtà non è stato facile venire a capo di questo mondo confuso, dove capita che donne con meno di trent’anni abbiano già fatto tre figli con tre uomini diversi, peraltro abitanti nello stesso palazzo. Dove a volte i bambini non abitano tutti con i genitori perché uno o due vengono lasciati nell’appartamento dei nonni. Dove gli sparuti assistenti sociali raccontano che molti piccoli hanno problemi di balbuzie (pare fosse così anche per Fortuna Loffredo): un sintomo di disagio. Dove una donna fa due figlie con un uomo, ma poi i due si lasciano e allora lei convive con un altro e ci fa una terza figlia, che però viene registrata all’anagrafe con il cognome del precedente compagno. Il quale lo sa e comunque tollera: perché, tanto, un figlio in più o uno in meno non è un suo problema. Peccato che intanto il nuovo compagno della donna sia accusato di violentare tutte le bambine, compresa la sua.
L’attività economica prevalente al «Parco verde» di Caivano è lo spaccio (un altro tra i reati più diffusi nel palazzo da cui è stata fatta cadere Fortuna). Quello della droga un mercato organizzato quasi su base industriale, con il capo-caseggiato che affitta la piazza dai clan, sistema le sue «vedette» agli angoli delle strade per tenere a bada «le guardie», cioé i carabinieri: in questo caso quelli della compagnia di Caivano, che hanno impiegato corpo e anima per cercare di far luce su queste tragedie.
Gli adulti che vivono qui sono in larga parte analfabeti: come i quattro ultimi arrestati, compreso il presunto assassino di Fortuna, Raimondo Caputo, che stava già in carcere per le violenze sessuali sulle figlie quando il 29 aprile ha ricevuto la nuova ordinanza di custodia per l’omicidio della piccola Chicca. L’uomo ha pensato di chiedere aiuto nella comprensione del provvedimento giudiziario ai suoi compagni di cella. E proprio la lettura collettiva del documento ha portato alla scoperta da parte degli altri reclusi delle nuove accuse. Paradossalmente, è stato dopo quelle «consulenze» che Caputo è stato aggredito fisicamente dagli altri detenuti: perché, questa è la barbara usanza del carcere, dietro le sbarre i reati sessuali contro i minori e contro le donne vengono puniti con le botte.
Negli edifici del «Parco verde», invece, gli abusi venivano paradossalmente tollerati da mamme che a volte non ricordano nemmeno la data di nascita dei loro figli. Indovinano l’anno, spesso il mese, ma il giorno esatto è in molti casi una domanda troppo difficile, cui non sanno rispondere neppure gli stessi bambini. Forse perché vivere infanzie come le loro porta a rimuovere il momento in cui sei nato.