Michele Neri, Vanity Fair 11/5/2016, 11 maggio 2016
SNAPCHAT
Una domanda, nel settore «ricchi c.... degli altri» della mia testa, dal novembre di tre anni fa aspettava una risposta. Com’era mai stato possibile che l’allora 23enne americano Evan Spiegel avesse rifiutato, prima, un miliardo di dollari offerto da Facebook, e il giorno dopo – sempre a sentire il bene informato Wall Street Journal – avesse detto no a quattro miliardi proposti da Google per l’acquisizione di Snapchat?
Questo è il nome della app di messaggistica creata da Spiegel: allora permetteva soltanto di inviare fotografie che, al massimo dopo dieci secondi, si cancellavano dallo smartphone del destinatario. Mettevi il timer, sceglievi il numero di secondi, spedivi, e la foto, obbediente, all’istante prescelto si estingueva davanti agli occhi di chi l’aveva ricevuta.
Erano tantissimi soldi per una cosa effimera: anche il simbolo della app, un irridente fantasmino giallo, non deponeva sulla solidità dell’impresa.
La risposta l’ho trovata in questi giorni, dopo aver scaricato la versione aggiornata di Snapchat, e grazie a una chiacchierata con mia figlia ventenne, che dell’applicazione, come tutte le sue amiche, è utente affezionata. Non è un fatto soltanto generazionale: i felici snapchatter sono oltre cento milioni, e tra questi troviamo Paris Hilton, Lady Gaga o Gigi Hadid, ma anche Hillary Clinton, Jared Leto, Jeb Bush, Miranda Kerr (che tra l’altro ha motivi di famiglia: è fidanzata con Spiegel).
Qualche ragione me l’ero già data in passato. Evan Spiegel doveva aver intuito qualcosa dei suoi coetanei e dei più giovani. Le prime ipotesi erano le più semplicistiche. Si era pensato che Snapchat, in virtù di quel meccanismo alla Houdini di occultare le prove, fosse lo strumento ideale per chat intime, con scambio di spudorate immagini di sé: il famigerato sexting.
Ragazzi e psicologi esperti del malcostume digitale degli adolescenti da me interpellati, però negavano. Il valore della piattaforma, intanto, saliva.
Il grande salto è avvenuto nel 2014, quando Snapchat ha aggiunto il servizio «Storie». Consente all’utente di creare compilation di video e immagini che diventano un racconto personale, e sono disponibili per 24 ore a tutti gli «amici». All’aspetto transitorio è ancora dato grande valore: ogni contenuto, a 24 ore dalla creazione, è cancellato dai server della società.
In tempi di selfie assillanti, mi era venuta in mente una seconda parola chiave: leggerezza, facilità di liberarsi dei pesi inutili. Dopo anni in cui i ragazzi si erano trovati sommersi sotto montagne di contenuti – foto, video, animazioni, audio – e che accumulandosi ingombravano la loro coscienza virtuale, ecco un modo per esprimersi senza lasciar impronte. Effimero: una parola disprezzata che ritrovava il proprio valore.
Ma i giovani non amano disperdere al vento i propri dati. Sono più in gamba di quanto crediamo.
Il mondo di oggi parla per immagini. Spiegel aveva forse immaginato che la generazione che se non scatta non esiste avesse bisogno di uno strumento non tanto per fare e conservare più foto, ma per dare a quel gesto il senso che aveva: un test, le prime prove di chi apprende il nuovo vocabolario delle immagini.
Ho scaricato la app aggiornata. E sono subito stato coinvolto in un doppio vortice giocoso. Posso mascherarmi in modi insensati, cambio faccia, mi travesto, e creare poi una veloce storia grezza, mettendo insieme tanti spezzoni così come sono. Non ci si deve preoccupare di sembrare in un certo modo. Il contrario: ci si può occupare di non sembrare così, non avere un’immagine omologata come sugli altri social.
Poi non so cosa fare del mio volto con le orecchie da coniglio, le possibilità creative che mi assalgono sono superiori alle mie capacità. Finisco per trovarmi pieno di snapolavori che non so a chi mandare.
Sono però gli amici aggiunti a darmi la vera Snapchat experience. Amici nel senso di Hillary Clinton, Jessica Alba, Ariana Grande, Paris Hilton... Le loro «storie» scorrono una dopo l’altra sul mio smartphone: ho 24 ore per vederle.
Non posso dire che m’incanta seguire Jessica Alba mentre mette l’eyeliner, o l’ereditiera Hilton che cammina nella magione di Manhattan, davanti a un caminetto acceso così bene da sembrare, questo sì, una fotografia su una rivista di arredamento; né le istantanee noiose delle tappe della campagna di Bernie Sanders per la nomination democratica.
Non è il cosa. Siamo già pieni di cosa. È il come. Offre una ventata di spigliatezza, di realtà rozza. Le persone sono loro e basta. Anche il canale di «Storie» che si chiama Discover e raccoglie i dispacci, foto e video di numerosi media internazionali – Cnn, People, Daily Mail – che usano Snapchat per raggiungere nuovi utenti, è una valanga di contenuti impulsivi, frenetici. Dai filmati dell’incendio in Canada a Ted Cruz annichilito che si chiama fuori dalla corsa elettorale tra i repubblicani, fino ai 40 secondi in cui è spiegato Ace Ventura.
L’obiettivo è mantenuto così vicino al soggetto che, per la prima volta, noto l’elasticità della pelle sul collo di Jessica Alba.
Arriva mia figlia a salvarmi. Mi spiega perché lei e i suoi coetanei «sono» su Snapchat (in Italia gli utenti sono circa 700 mila, la maggioranza assoluta tra i 16 e i 24 anni).
«Le foto e i video, sia degli amici che dei personaggi, danno l’idea della vita così com’è, del procedimento in corso, con tutti gli errori. Qui le cose brutte o venute male non sono nascoste, come invece succede su Instagram, dove c’è il risultato perfetto. L’accesso alla vita delle star sembra più vero».
È mia figlia, ma esprime un concetto confermato dagli esperti di social network: grazie al fatto che i contenuti sono cancellati, Snapchat permette alle celebrità di essere più liberamente se stesse. Le loro «storie» sono intime snaparazzate. Senza «like», o alcun tipo di conteggio di seguaci, la libertà è maggiore.
L’accesso a feste, concerti, palestre e compleanni, ma anche ai viaggi da un comizio all’altro dei politici, o alla tragica fine di un Navy Seal ucciso da Isis in Iraq, risulta così coinvolgente e diretto. Il ballo del Met Gala di New York attraverso lo sguardo di Paris Hilton, o il concerto di Rihanna nel «reportage» di Kylie Jenner (King Kylie su Snapchat è una delle regine) offrono un’esperienza immersiva. E i media si attrezzano: Nbc e Snapchat si sono messi d’accordo per trasmettere così i momenti clou delle Olimpiadi di Rio.
Se le star si esprimono con maggior libertà, è anche perché siti e blog di gossip non sono ancora riusciti a trovare il modo per fare un link di questi contenuti invitanti, o per pubblicarli sulle loro pagine. Ma ora che sempre più vip, una per tutte Kim Kardashian, hanno aperto un profilo su Snapchat, i siti dovranno attrezzarsi per averli. Una fuga dal regno libero del fantasmino, o un maggior controllo sui contenuti trasmessi, è prevedibile.
La valutazione di Snapchat è arrivata a 16 miliardi di dollari. Ogni giorno i video visti sono 10 miliardi (un anno fa erano 4). C’è il rischio che anche i politici italiani scoprano il mezzo. Fossi Spiegel, venderei.