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 2016  maggio 10 Martedì calendario

HANNIBAL E I SUOI FRATELLI

Non è necessaria una laurea in psicologia per sapere quanti punti di contatto esistano tra il sesso e il cibo, e un’ulteriore prova del legame sta nelle ricerche sulle opere letterarie, dove più del 90 per cento delle storie di seduzione è preceduto o seguito da pranzi e cene. Senza contare che le neuroscienze ci hanno dimostrato come un’adeguata stimolazione del lobo limbico, tra ipotalamo e amigdala, sia in grado di scatenare un grande appetito e insieme una furia selvaggia.
Lo sapevano gli antichi romani, pur privi di laboratori di neuroimaging, tanto che per loro non era sconveniente servire come antipasto una lotta all’ultimo sangue tra gladiatori, anzi! Quanto fosse stimolante la crudeltà, lo testimonia Seneca, quando racconta l’abitudine di uccidere lentamente la portata principale sotto gli occhi dei commensali: «Vengono portate in tavola triglie in vasi di vetro, per vederle mutare di colore mentre muoiono. Mentre si dibattono per la mancanza d’aria, la loro pelle assume le più svariate sfumature... Non c’è niente di più affascinante di una triglia morente. Lasciatemi reggere il vaso di vetro dove il pesce salta e freme nella sua lotta per la vita. Vedete come la pelle si infiamma di rosso, più vivo di qualsiasi vermiglione! Guardate come palpitano le vene! Guardate! Il ventre sembra un grumo di sangue! E l’azzurro lucente che si riflette sulla fronte! Ora, mentre passa dalla vita alla morte, il corpo s’impallidisce in infinite gradazioni di colori sfumati».
Altra considerazione riguarda il rapporto tra aggressività e consumo di carne; nel suo Emilio, dato alle stampe nel 1762, Jean Jacques Rousseau afferma che «gli uomini che mangiano carne sono di solito più crudeli e più feroci degli altri uomini; ciò vale per tutti i luoghi e per tutti i tempi».
Il filosofo riporta una convinzione diffusa all’epoca, estesa anzi, in una prospettiva sociologica ben più ampia, alla contrapposizione di nazioni i cui i piatti di carne venivano serviti allo stato naturale, con quelli in cui crudità e sangue erano dignitosamente mascherate dall’impiego di raffinate salse.

Vittima volontaria
In ogni caso, gli studi scientifici moderni hanno negato esista alcun collegamento tra un filetto al sangue e un killer efferato. Con qualche eccezione...
Difficile scordare l’insana passione per la carne umana del dottor Hannibal Lecter, quella che porta lo psichiatra cannibale de Il silenzio degli innocenti a raccontare: «Uno che faceva un censimento, una volta, tentò di interrogarmi... Mi mangiai il suo fegato con un bel piatto di fave e un buon Chianti».
Ma veniamo alla realtà, e a un paio d’inquietanti personaggi con le loro bizzarre ossessioni gastronomiche. La prima storia riguarda Armin Meiwes, un informatico tedesco di 43 anni, accusato d’aver mangiato, nel 2001, l’ingegner Bernd-Juergen Brandes.
Lui, Armin, ha sempre sostenuto d’essere innocente, perché l’uomo che aveva ucciso si era offerto volontario, chiedendogli d’essere ammazzato e poi gustato.
Tutto era cominciato con un annuncio su Internet, una richiesta in cui si cercava un uomo robusto e disponibile a trasformarsi in cibo, cui avevano risposto decine di candidati.
Ma uno solo aveva superato la selezione ed era stato invitato per cena. «Ogni volta che mangiavo un pezzo della sua carne – ha raccontato Meiwes a una sbigottita giuria – mi ricordavo di lui. È una bella sensazione sapere che adesso è diventato parte di me».
Chiamati a dire la loro, psicologi e psichiatri si sono dati battaglia: i più accaniti hanno sostenuto che il cannibalismo di Meiwes fosse il risultato di un trauma sperimentato nell’infanzia. Lo svezzamento, il venir meno della disponibilità del seno della madre, gli avrebbe causato una profondissima ansia da separazione, spingendolo alla fantasia di divorarla. Una soddisfazione negata, che però sarebbe ritornata per essere soddisfatta nell’età adulta da una vittima sostitutiva.
Se a questo punto pensate che psicologi e psichiatri siano capaci di trovare una giustificazione per tutto, avete perfettamente ragione. Il fatto è che non sempre le teorie degli esperti hanno valore assoluto. Davanti a storie come questa sarebbe meglio fermarsi, e accettare che l’uomo possa scegliere l’abisso, senza per questo essere folle.
Certo è curioso che l’uomo abbia più volte testimoniato come da piccolo fosse rimasto impressionato dall’ascolto della fiaba di Hansel e Gretel; una storia, quella dei fratelli Grimm, che ha certamente tratto origine da racconti del Medioevo, quando le carestie e la fame trasformavano l’infanticidio in una pratica comune, condannabile ma comprensibile.
Un anno dopo la sua condanna all’ergastolo, alla morbosa domanda di un giornalista, Armin Meiwes ha risposto: «La carne umana? Ha lo stesso sapore di quella di maiale».

Dal carcere ai talk show
Per Issei Sagawa invece assomiglia al sushi di tonno.
È l’11 giugno 1981 quando Renée Hartevelt, una bella studentessa olandese di 25 anni, bussa alla porta dello studio di Sagawa; lui ha 32 anni, ed è a Parigi per approfondire le sue conoscenze di letteratura francese alla Sorbona. Ha convinto Renée ad andare a trovarlo per ripassare insieme le lezioni di poesia, ma appena la ragazza entra in casa le spara con un fucile calibro 22.
Poco importa entrare nei dettagli, salvo per dire che alla fine delle sue operazioni, Sagawa va a letto, pienamente felice e appagato dall’esperienza.
Lo arrestano il 17 giugno, sei giorni dopo l’omicidio. E a questo punto la storia del cannibale giapponese diventa ancora più bizzarra. Dopo 21 mesi di carcere e 14 passati in una struttura psichiatrica, i legali della difesa riescono a ottenere il permesso di trasferire il killer nel suo paese d’origine.
Issei viene così ricoverato in una clinica giapponese nel maggio del 1984, ma già a settembre viene dimesso; o meglio, chiede di poter uscire, e nessuno può opporsi alla sua decisione, perché si scopre che non è stato emesso alcun provvedimento di custodia nei suoi confronti.
Che la colpa sia della Francia o del Giappone, a scandalizzare non è soltanto l’impunità, ma la visibilità mediatica regalata al cannibale.
Sagawa giura che non l’ha cercata lui, che anzi, dopo aver lasciato la clinica, ha cercato un lavoro; prima ha provato a dare lezioni di francese, poi addirittura ha trovato un posto da lavapiatti; ma la cosa non ha funzionato.
Ma quando, nel 1983, esce Letters from Sagawa, il suo autore, Juro Kara, riceve il più importante premio letterario giapponese, mentre il cannibale viene conteso da giornali e talk show.
Nello stesso anno i Rolling Stones dedicano una canzone alle sue macabre imprese: si chiama Too much blood, ed è contenuta nell’album Undercover.
Un’ulteriore iniezione di popolarità arriva con l’arresto del serial killer di Kobe, Tsutomu Miyazaki: chi infatti meglio di Sagawa può spiegare ai lettori e ai telespettatori come funziona una mente criminale? E lui se la cava alla grande, con risposte di solito più furbe che intelligenti.
Ma non basta. Si lancia nella critica gastronomica, visitando e scrivendo recensioni dei migliori ristoranti per una rivista specializzata; poi gli chiedono di curare i dialoghi di un film che parla di un ragazzo che disseppellisce cadaveri per scuoiarli, e creare con la loro pelle eleganti borsette. E lui, a vedere il suo nome tra i collaboratori, si sente straordinariamente gratificato.
Ma la sua famiglia non è altrettanto entusiasta: il padre è costretto a rinunciare alla presidenza di un’industria meccanica, e di lì a poco viene colpito da un ictus che gli impedisce per sempre di parlare; la madre sviluppa tutta una serie di disturbi psichici, mentre la sorella va incontro a problemi respiratori.
La cosa tuttavia non pare rattristare molto Sagawa, che nel 2001 pubblica un libro di disegni, una sorta di graphic novel in cui rappresenta crudelmente tutti i dettagli del suo omicidio, smembramento e cannibalismo compresi.
In un’intervista del 2009, ha raccontato di pensare spesso al suicidio; è terribile, ha detto, vivere ogni giorno con il pensiero d’essere un efferato assassino. Dubito che la cosa abbia recato un minimo conforto ai parenti e amici della povera Renée.