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 2016  maggio 06 Venerdì calendario

IL MIO ORIENTE DA INVIATO ALL’AVVENTURA


Quando abbiamo cominciato a viaggiare non andavamo verso il Nord Europa a imparare l’inglese: già lo sapevamo. Ci dirigevamo dalla parte opposta, dove si apriva il meraviglioso mezzogiorno: terra incognita che nelle mappe leghiste sarebbe apparsa con la scritta Hic Sunt Terrones. Gli ultimi padani a visitarla erano stati i Mille: quasi tutti carabinieri genovesi, borghesi bresciani, studenti bergamaschi, fiorentini, veneziani, più qualche romano e pochi siciliani tra cui Crispi. Poi per cento anni l’ex Regno delle due Sicilie era stato abbandonato a se stesso, diventato italiano solo di facciata.
Come alternativa a questo viaggio c’era l’Oriente, una volta chiamato Levante, dai confini incerti e dal fascino ineguagliato. Erano territori che non avevano paragoni per ricchezze, architetture, paesaggi in cui il deserto color arancia si trasformava in montagne dal colore turchiniccio: una sorta di grande Wunderkammer. Dove trovare un altro posto che avesse siti archeologici come l’Egitto, la Valle dei Re, le Piramidi, Luxor, Karnak, Ninive, Ur dei Caldei, i monasteri dei Copti? Oppure Persepoli, fiumi come l’Eufrate e il Tigri e una mitologia che passava dai Sumeri ai Babilonesi agli Assiri, trasformata in opere che hanno reso famosi i più grandi musei d’Europa?
Molti anni fa sono arrivato nella pianura di Konya, in Anatolia, dove un archeologo inglese aveva scoperto il più antico sito neolitico che si conosca, Çatalhöyük. Sulle mura si poteva vedere rappresentato un landscape che aveva il punto di fuga molto in alto e mostrava tutta la parte dell’Anatolia fino al mare e poi anche l’Egeo, con un isolotto che doveva essere Santorini. Come abbiano fatto quegli uomini del Neolitico a disegnare un’immagine vista da un’altezza di 500 metri che raffigurava un’isola distante 600 chilometri è uno dei classici misteri dell’archeologia, simile alle linee di Nazca nell’America del Sud. A Çatalhöyük erano dediti al culto della Dea Madre, diffuso in tutto il Mediterraneo e precedente agli dèi dell’Olimpo. Le raffigurazioni della Dea Madre scomparvero improvvisamente per riaffiorare settemila anni dopo nei kilim anatolici tessuti da artigiani musulmani che non sapevano nulla dei motivi che andavano componendo. Un caso famoso di sopravvivenza degli antichi dei.
Prima della partenza, scrutando le carte geografiche non avevamo che l’imbarazzo della scelta: andare all’Oasi di Siwa in Egitto, circondata dal grande mare di sabbia, a bagnarci nelle pozze calde e a cercare lo smeraldo dei Garamanti, una pietra verde molto rara che si trovava solo in quella zona? Oppure sbarcare a Leptis Magna, in Libia, con le rovine romane meglio conservate e più vaste di quelle del Foro di Roma? Una volta trascinai un gruppo di amici in una spedizione a sud dell’Egitto alla ricerca del porfido laterizio. Le istruzioni di Bruno Caruso, il pittore, uno dei pochi a sapere che cosa fosse il porfido laterizio, erano state: «Tu devi prendere la strada che porta dal Mar Rosso a Luxor, a metà esci e ti infili in un wadi chiamato Hammamat. Non esistono miniere di questa pietra ma solo massi erratici. A mezzogiorno, quando il sole è più alto, dando le spalle a Bir Umm Fawakhir, ti metti a guardare in avanti. Quando vedi che qualcosa brilla in lontananza, quelli sono i massi erratici che riflettono la luce con corpuscoli di giada». Non starò a raccontare le vicissitudini di questa ricerca. Le pietre pesavano 120 chili: riuscii a portarle con un camion fino al Cairo e poi a spedirle in Italia in aereo, ma prima ebbi la precauzione di stringere la mano foderata da un biglietto di cento dollari al direttore dell’aeroporto del Cairo. Quando ritirai la mano il biglietto non c’era più, ma le pietre erano state imbarcate.
Quando arrivavi negli alberghi del Levante, come il Pera Palace a Istanbul oppure il Baron Hotel ad Aleppo, eri accolto con calore, sempre proporzionato alla quantità di mance, bakshish, distribuite: i tempi di mamma li turchi o dei giannizzeri che avevano spellato vivo Marcantonio Bragadin erano molto lontani. E i musulmani dell’epoca non avevano più voglia di combattere gli occidentali, ma di aggregarsi al loro modo di vita. La valuta dei turisti stranieri era essenziale all’economia di tutto il Medioriente che si basava sul suk. Alla fine della giornata i ragazzini che ti facevano da guida ti portavano finalmente dal padre mercante e lì cominciava una trattativa che sarebbe durata ore. Un mercante di suk si sarebbe vergognato di vendere senza una vera contrattazione e disprezzava chi non era capace di avere le finezze del buon negoziatore. Oggi i figli di quei ragazzini vanno a scuola di jihad trascinandosi dietro kalashnikov più alti di loro: non mi sembra un passo in avanti.
Il mio albergo preferito è sempre stato il Saint George a Beirut, quello di St John Philby, l’esploratore che aveva attraversato da solo il Rub’ al-Khali, il deserto più pericoloso del mondo. Era il padre di Kim, la famosa spia. C’erano tempi nei quali, se eri fortunato, al bar trovavi anche Glubb Pascià, il comandante inglese creatore dell’Arabian Legion che si era battuta molto bene nel ’48 contro gli israeliani impedendo loro di prendere Gerusalemme. Gli uomini dell’Arabian Legion venivano tutti dalle tribù degli Howeitat, i cui padri avevano combattuto sotto Lawrence al comando di Awda Abu Tayi, diventando famosi per la carica ad Aqaba in groppa ai mehari da guerra.
Andavamo in Oriente anche per trovare un antidoto alla celebrazione eccessiva della Grecia, che molti storici avevano raffigurato come la capitale morale dell’Occidente in contrasto con l’Oriente tirannico, ma Atene è stata sempre molto più orientale di quanto non immaginasse Winckelmann. Uno studioso inglese, tempo fa ha scritto un libro, Atena nera, in cui si spiegava come tutto il pensiero greco fosse in realtà un sottoprodotto della cultura egizia, l’impero più longevo di qualsiasi altro. Era una ricostruzione da Barnum, ma è vero che gli scrittori eurocentrici hanno sempre raffigurato una Grecia che non è mai esistita, la famosa democrazia di Pericle è durata pochissimo ed era in realtà una sorta di istituzione assembleare vociante e dedita ai tradimenti, rissosa e vendicativa, che aveva messo a morte il suo più grande filosofo, Socrate, e mandato in esilio il suo più grande soldato, Temistocle.
L’ultima volta che sono stato in Libano ho raggiunto Baalbek passando per le montagne e la valle della Bekaa. Gli hezbollah si erano ritirati dopo sette anni di regime fanatico e quando entrammo in paese ci venne incontro un gruppo di mercanti che piangevano e ridevano. Dicevano: «Benvenuti, benvenuti entrate nei nostri negozi e prendete quello che vi pare, è il regalo che facciamo ai primi arrivati». Io entrai in qualche negozio comprando pochi oggetti e pagando, naturalmente, seppure a un prezzo basso. Tornando a Beirut portai i reperti a un antiquario amico di fiducia per saperne il valore. Lui diede appena uno sguardo e disse: «Tutti falsi». Dopo sette anni di hezbollah i mercanti non avevano perduto le loro vecchie abitudini e ci avevano rifilato un bidone.