Daria Galateria, il venerdì 6/5/2016, 6 maggio 2016
Il GRAN BAZAR DELL’ESOTISMO MADE IN FRANCE Nel 1704 comparvero, nella Francia rococò, Le mille e una notte
Il GRAN BAZAR DELL’ESOTISMO MADE IN FRANCE Nel 1704 comparvero, nella Francia rococò, Le mille e una notte. L’orientalista Antoine Galland si era basato su un manoscritto siriano, tra i più antichi allora conosciuti; ma doveva ai racconti orali di un rapsodo conosciuto a Parigi, Hannà, maronita di Aleppo, tra le fiabe più care all’infanzia, Aladino e Ali Babà. La turquerie comprendeva allora solo 350 notti, e le sultane parlavano un po’ come dame di Versailles; qualche passo impudico era stato edulcorato; ma tutta l’Europa andò in visibilio per quel tesoro novellistico forse il più bello del mondo – e l’Illuminismo non tardò a fame tesoro. Il creatore della democrazia Montesquieu usò lo sguardo di Persiani in viaggio per raccontare come esotica la nostra stessa civiltà, e fustigarla sorridendo (Le lettere persiane); e i romanzieri libertini, borghesi che denunciavano i costumi licenziosi dell’oziosa classe aristocratica, la colorirono spesso con l’orientalismo alla moda, rappresentandola nell’effervescenza sensuale di sultani pigri e lascivi. Intanto l’intraprendente Lady Mary Montagu, moglie dell’ambasciatore inglese a Istanbul, visitava con la favorita del sultano l’harem, e gustava, nei bagni di Sofia, le dolcezze della vita femminile: «Nessuna donna ha il permesso di circolare senza veli; così non si può distinguere una gran dama dalla sua schiava; mascherate, hanno libertà totale di seguire le loro inclinazioni senza essere scoperte, neanche dai loro stessi galanti. Hanno i propri beni che mantengono in caso di divorzio... nell’insieme, le donne turche sono le sole libere dell’Impero». Lady Montagu esplora l’Impero Ottomano riportando in Europa, ben prima della vaccinazione di Jenner, la pratica circassa dell’immunizzazione contro il vaiolo; in portantina, scortata da due giannizzeri, un’altra nobile inglese, Lady Elizabeth Craven, percorre Istanbul, giungendo alle stesse conclusioni: «In nessun paese le donne possono godere altrettanta libertà»: sotto il cumulo dei veli «è facile per un uomo introdursi negli harem». Sono le antesignane delle viaggiatrici – Isabelle Eberhardt, Freya Stark, Vita Sackville-West – che a inizio Novecento perseguiranno nel deserto il sogno della libertà dalle convenzioni dell’Occidente. Nell’orientalismo romantico – nutrito dall’avventura napoleonica in Egitto, dalle imprese risorgimentali di George Byron e dai viaggi del cattolico Chateaubriand e poi di Gérard de Nerval in Egitto, Libano e Turchia – c’è la fascinazione delle civiltà sconosciute, ma certo, come denunciava il classico saggio del 1978 di Edward Said Orientalismo, anche stereotipi, mistificazioni e interessi economici, generatori del colonialismo. Il tardo Settecento aveva prodotto le incantevoli incisioni di Vivant Denon – che, tra gli Asini (gli scienziati) al seguito di Napoleone, aveva disegnato la stele di Rosetta; ma l’Ottocento rende estetizzante l’orientalismo in pittura, dalle algide odalische nude di Ingres alle dolcezze sensuali di Delacroix e Gérome. Nel 1871, fu l’egittologo Auguste Mariette, scopritore della necropoli di Saqqarah, a suggerire a Giuseppe Verdi i costumi e gli scenari per l’Aida in scena al Cairo. Nel 1863 – il romanzo Salambò di Gustave Flaubert era uscito l’anno prima – la contessa Rimsky-Korsakova era comparsa a un ballo in maschera («incredibilmente nuda», si era stupito Tolstoj) avvolta solo nei veli della figlia di Amilcare trapunti d’oro e trattenuti in vita da un serpente; i maggiordomi dell’Imperatore Napoleone III la avevano discretamente riaccompagnata all’uscita. Dopo il processo a Madame Bovary, il corrusco romanzo cartaginese, ambientato nel III secolo, aveva consacrato Flaubert; dai pulpiti delle chiese si tuonava contro il corruttore dei costumi; lo prendevano di mira i caricaturisti, e le satire teatrali; per Flaubert, era la fama. Si era preparato al capolavoro con la solita, epica diligenza: sui testi storici, e poi con un viaggio a Tunisi, replica di un lungo soggiorno in Oriente a metà secolo. Le lettere restituiscono con crudezza il fascino di un mondo perlopiù percepito come primordiale: «Si ormeggia la barca, c’è sempre qualche tempio seppellito nella sabbia... Siamo stati truffati di trecento piastre per vedere ballare i froci – tre o quattro bambini. Con la pederastia, chiuso – bisogna, come per molte cose di questo mondo, accontentarsi di rimanere sulla soglia». Nel 1912, a un altro gran ballo parigino, dedicato alle Mille e una notte, il dandy gay Montesquiou si vestì da Harun al-Rashid, il califfo che usciva di notte a incontrare in segreto i suoi sudditi. La nuova edizione completa, di duemila pagine, includeva ormai passaggi scabrosi – il poeta Abu Nuwas innamorato di efebi, e uomini e donne fustigati, che Proust usò nella Recherche per l’erotismo masochista di Charlus. Era opera del levantino dottor Mardrus; sua moglie, detta «la mandorla» perché interamente depilata secondo l’uso egiziano, faceva parte a Parigi del gruppo saffico di Natalie Clifford Barney: l’Oriente favoloso diventava il luogo mentale di tutte le libertà e le indulgenze, per gli stupefacenti anche, e molti letterati predilessero da allora, come Paul Bowles, il tè nel deserto. Lawrence d’Arabia, perché i nativi dimenticassero che era uno straniero, indossò il loro costume e trascurò l’igiene; sognò una forza pan-araba, invano; l’Europa aveva altro in mente. Scriveva D’Annunzio all’Italia dell’impero: «Tu sorridi alla terra che tu predi».