Michele Neri, Sette 6/5/2016, 6 maggio 2016
IL TELEFONO NON È PIÙ LA MIA VOCE. ORA DIGITO, QUINDI SONO
Perché il piccolo tasto verde fa così paura? Sono passati meno di quarant’anni, da una celebre pubblicità della Sip, «Il telefono, la tua voce»; ora al posto di gelide cabine con pesanti apparecchi grigi a disco, ci sono dispositivi tascabili, tecnologicamente raffinatissimi, dalle possibilità illimitate, eppure le telefonate stanno scomparendo. L’ironia che colpì subito la pubblicità, trasformando la “voce” in “croce”, è ancora valida, ma non riguarda le tariffe. Il problema è diventato comporre un numero, rispondere, esprimere pensieri, vaghezze, richieste, critiche e gioie con un suono che proviene da sé, e in corrispondenza sincrona con l’altro in ascolto.
I dati non lasciano dubbi. WhatsApp, il metodo più comune di messaggistica istantanea, ha superato il miliardo di clienti; nel 2015 gli abbonamenti per il solo traffico di dati (quindi niente telefonate) sono aumentati, a livello mondiale, del 26%; nello stesso anno (dato della società di consulenza Deloitte); il 25% degli utenti dei mercati sviluppati ha abbandonato le chiamate vocali, il doppio del 2014. Da anni, i principali provider di telecomunicazione assistono al calo delle telefonate e favore del traffico di dati.
C’è chi non ha dovuto rinunciare, perché non aveva iniziato: gli adolescenti. La percentuale di teenager che telefona non supera, a livello mondiale, il 19% contro il 55% di chi chatta (fonte: Pew Research Center).
Una ragazza americana, intervistata dal sito americano Business Insider, espone le sue ragioni: «Telefonare è un gesto presuntuoso e intrusivo, dato che esistono metodi più rispettosi per comunicare». Nelle altre risposte, il gesto è giudicato “superato”, oppure “fastidioso”; è rivendicato il diritto di rispondere quando uno se la sente.
L’Italia non fa differenza. Siamo, lo dice Deloitte, i primatisti europei della dipendenza da Smartphone, eppure nel 2015 le chiamate sono diminuite di circa il 12% in ogni fascia d’età.
Scompariranno i numeri di telefono, come ha predetto Mark Zuckerberg, soddisfatto degli 800 milioni utenti di Messenger, la chat di Facebook? La telefonata seguirà il destino delle lettere?
Sarà evidente a molti che, pur circondati da umani con Smartphone incorporato, restiamo spesso avvolti nel silenzio, mentre attività ed emozioni, sembrano confinate dentro app e chat, nel muto scivolare dell’indice sulla superficie touch dello schermo, il luogo più privato dove esprimersi, dotato di uno status sensoriale che va oltre il tatto.
A metà febbraio sono stati resi noti i risultati di una ricerca di Telefono Azzurro e Doxakids. Nessuna grande sorpresa, per chi ha un adolescente nei dintorni: il 17% dei ragazzini intervistati dice di non riuscire a staccarsi da Smartphone e Social Media. Il 78% chatta quasi tutto il giorno su WhatsApp.
Adolescenti, millennial, generazione Z: sono cresciuti nel culto della tecnica; spesso per loro non si tratta di una rinuncia. Non chiamano, non rispondono perché sono pratici, maestri nel dosare tempi e modi della propria disponibilità. “Farsi vivi” è il risultato di molte variabili.
Un effetto sottostimato di vent’anni di messaggi di testo, passati dagli sms che non entravano nello schermo alle app efficienti di oggi, è la possibilità di correggere, editare la propria comunicazione: non spedire niente, fino a quando non si è sicuri di contenuto e forma.
Il risultato è che le aspettative sulla qualità di una conversazione sono aumentate. A voce si perdono ironie, battute, i doppi sensi che con lo scritto sono facili. Le telefonate appaiono quindi approssimative, imprecise: non sono abbastanza brillanti, e non rispecchiano la personalità di chi le fa.
Senza la possibilità di correggersi, costretti all’improvvisazione, i ragazzi si sentono vulnerabili. È anche per questo, che in tanti rinunciano a telefonare, ma inondano amici e conoscenti di messaggi vocali registrati. La mancanza di sincronia, un paradosso nell’epoca della perfezione tecnica, aiuta i timidi.
Letizia, già un po’ troppo grande, per essere considerata una millennial: «Mi piace la possibilità di lasciare e ascoltare messaggi vocali, per esempio su WhatsApp».
Qual è la differenza rispetto a chiamare?
«È che posso pensarci. Mi dà calma, lo puoi riascoltare. So che si perde in spontaneità: per mandare un messaggio vocale mi preparo, imposto anche la voce».
Generazioni vicine e lontane. Una ragazza di 25 anni, Zoe, evita di chiamare, preferendo i messaggi, perché «Il telefono mi sembra un’invasione dell’intimità dell’altra persona».
La prassi rispetto alla voce è uno spartiacque tra generazioni, che cambiano sempre più rapidamente.
Amelia, trentacinquenne. «Uno dei motivi per cui non riuscivo ad andare d’accordo con un ragazzo più giovane di me di qualche anno, è che per lui esisteva soltanto WhatsApp. Non concepiva la possibilità di sentirsi. Soltanto scrivere, scrivere: ho sentito il disagio di essere più vecchia di lui soprattutto per questo».
Francesco, ventenne, studente. «Faccio sempre più fatica a parlare al telefono con i miei colleghi in Università e con i conoscenti. Se li chiami, pensano che sia successo qualcosa. Due mesi fa ho chiamato un mio collega di studi, per fargli gli auguri di compleanno, mi dice: “Uè Fra! Successo qualcosa?!”. E io: “No volevo soltanto farti gli auguri...” Se poi provo a mandare un sms a quelli più giovani di me, mi prendono per un “matusa”. Loro conoscono soltanto WhatsApp o Telegram. Figuriamoci se premono il tasto verde...».
Si è anche verificata un’inversione nel significato della comunicazione, come riassume Lucia, una diciottenne che non accetta quasi mai le chiamate in entrata.
«Il telefono non lo considero nemmeno. Se non ricevo un messaggio su WhatsApp o Facebook, penso che non sia successo niente d’importante».
Genitori avvisati.
Mia, vent’anni, descrive l’altro vantaggio di non parlare. «Al telefono non ci si concentra, si finisce per discutere di tutto. Mentre con la chat hai subito la risposta che vuoi. Ho smesso di chiamare perché ci sono gli Smartphone. Ora si vede tutta la conversazione sullo schermo; anzi, ne puoi seguire più di una in contemporanea...».
Alcune ragioni del crollo delle telefonate non sono imputabili a consuetudini umane. Nel passaggio dalle chiamate da fisso, ai cellulari, e da questi agli Smartphone che sfruttano il Wi-fi, si è perduta qualità, stabilità del segnale digitale; spesso questo cade, buon pretesto per non rispondere.
Ricordi perduti. Per anni i telefoni fissi, pubblici o privati, sono stati confinati nei luoghi più tranquilli di alberghi e ristoranti, in camere da letto, in studio, riparati sia dall’invasione del rumore di fondo, che da orecchie estranee. Dalla comparsa del telefonino, le chiamate arrivano nel luogo o nel momento inopportuno. Per qualche anno abbiamo sopportato l’invadenza; qualcuno continua a inquinare l’ecosistema sonoro, urlando cose senza grande senso per i presenti: per queste, un messaggio silenzioso è un progresso.
I ragazzini sono anche più pratici di noi adulti, rassegnati al progressivo deterioramento della qualità di microfono e altoparlante, nel passaggio dagli accoglienti terminali dei vecchi apparecchi analogici, ai piccoli e poco funzionali aggeggi nascosti nei nuovi Smartphone. I costruttori non mentono: da quanti anni non si sente una pubblicità che promuova la qualità acustica di un nuovo modello?
Per Federico Tonioni, psichiatra e responsabile area dipendenze del Policnico Gemelli di Roma, gli adolescenti danno grande importanza alla voce, perché «Il tono usato modifica i contenuti di quanto diciamo. Nella comunicazione scritta, da un lato, gli adolescenti avvertono la mancanza del lato fisico, dello stato d’animo, e quindi rimediano come possono, dagli emoji in avanti. Dall’altro, non si piacciono quasi mai, non sopportano, per esempio, di arrossire in una conversazione; sono giudici severissimi di loro stessi. La manipolazione, il ritocco continuo di un testo, permette di non andare allo sbaraglio, di correggersi, e non perdere il controllo».
La fuga dal telefono è uno dei numerosi segnali dei ritirati sociali, i cosiddetti “hikikomori”.
Secondo Tonioni una delle cause del ritiro degli adolescenti, un problema sempre più grave, soprattutto nei maschi, è anche un nuovo tipo di assenza genitoriale, quella che si manifesta nell’eccessivo uso di babysitter digitali. «Gli si riempie già il tempo di silenzio; c’è carenza di condivisione. L’assurdo è che poi, quando i figli diventano adolescenti, è allora che scoppia la voglia, nei genitori, di condividere, proprio quando è molto meno facile».
Un altro risultato della ricerca già citata di Telefono Azzurro allora non sorprende: quattro genitori intervistati su cinque dichiarano di usare i social media per comunicare con i figli, WhatsApp in testa.
Possibili effetti collaterali della progressiva scomparsa delle telefonate.
L’aumento delle “conversazioni” ibride, tra uomo e intelligenza artificiale, per ora limitata a sistemi elementari come “Siri”. L’evoluzione futura, ben rappresentata dal film “Her” di Spike Jonze, non è lontana. Una conseguenza “leggera” è un fatto che molti avranno notato: lasciare un messaggio vocale nella segreteria telefonica è giudicato ormai un’intromissione, fastidiosa come subire il lungo racconto di un sogno.
I rapporti personali sono i primi a essere modificati da questa rivoluzione nella comunicazione. Non sono i soli. Negli Stati Uniti, per esempio, si delinea una nuova linea di confine: per far carriera, devi essere in grado di sostenere interazioni “live”. Se non te la senti di superare la “telefonofobia”, non ti muovi. Potrai usare i messaggi per ordinare la pizza o organizzare la cerimonia del tuo matrimonio, ma per vendere qualcosa ai clienti, non basta.
C’è già chi lucra sull’incapacità di dire le cose giuste, in fretta, e nella sequenza necessaria. L’ex consulente d’azienda canadese Marie Jane Copps si occupa di insegnare a superare l’ansia da telefonata. Dal suo sito Telephonelady.com offre corsi confezionati a chi deve vendere telefonicamente. Costo: mille euro al giorno.