Maria Pirro, Panorama 5/5/2016, 5 maggio 2016
IO, CHE PARLO CON GLI ORCHI [Intervista a Antonella Bozzaotra, psicologa] – Fortuna e gli altri bambini perduti di Napoli
IO, CHE PARLO CON GLI ORCHI [Intervista a Antonella Bozzaotra, psicologa] – Fortuna e gli altri bambini perduti di Napoli. Dopo due anni di silenzi, il 29 aprile è arrivata la svolta nell’indagine per la morte di Fortuna Loffredo, gettata giù dall’ottavo piano di un palazzo del quartiere di Caivano: uccisa, e costretta a subire, più volte, violenze sessuali. Protagonista di una storia orribile, ma non isolata: «Perché ancora oggi prevale l’idea che abusare di un minore non sia poi tanto grave» afferma, con dolore, Antonella Bozzaotra, psicologa con 37 anni di esperienza e presidente dell’Ordine degli psicologi in Campania. Bozzaotra conosce i risvolti agghiaccianti della vicenda, attraverso i racconti dei pedofili. «Mi occupo, su incarico del tribunale, di tracciarne i profili, verificare la capacità genitoriale, se occorre, e rispondere ad altri quesiti sollevati dai magistrati». Non deve essere facile incontrare gli orchi, neanche per uno psicologo... Sì, è molto dura. L’ultimo che ho visto è un nonno, accusato di aver violentato una bimba di 9 anni. Ma non spetta a me condannarli o assolverli: il mio compito è fare in modo che affrontino il problema, e per questo devo innanzitutto ascoltarli. Nelle zone degradate, l’incidenza della violenza sessuale è più alta? Non direi. Il dramma è trasversale nella società, diffuso in tutti i ceti sociali, anche tra insospettabili, sono le relazioni umane a essere degradate. Però un’indagine promossa dal Garante per l’infanzia rileva che 3640 bimbi e adolescenti violentati sono seguiti dai servizi sociali in tutta Italia, e un picco di casi è al Sud. Per quale motivo? I modelli familiari nel Mezzogiorno sono più appiattiti su un’idea del possesso: questa può essere una spiegazione. Ma ai casi noti vanno sommati i tanti altri che restano ancora oggi nascosti. C’è un collegamento tra la violenza sulle donne e quella sui minori? Può esserci. In entrambi i casi, l’altro è considerato meno che niente. Quali tipi di abusi sono più frequenti? Quelli che avvengono all’interno del nucleo familiare: le molestie tra fratelli, o cugini, che non hanno molti anni di differenza tra loro. E poi gli abusi da parte dei genitori o compagni, con conseguenze diverse e più gravi. Quali? Danni enormi. Le vittime soffrono spesso di depressione e disturbi dell’umore, ed è necessario un trattamento psico-terapeutico per fare in modo che l’abuso subìto sia considerato come una parte della vita e non l’intera esistenza. Le molestie da parte di un parente sono anche più difficili da far «tirare fuori». Perché è così? Il bambino si fida dell’adulto: all’inizio considera normale quanto avviene, e ritiene che sia così ovunque. Solo quando si confronta con i compagni di scuola o altre famiglie capisce di essere diverso, e subentrano sentimenti come la vergogna, il senso di colpa e la paura. Fino a che età un bambino non ne ha percezione? Può rendersi conto anche a due anni e mezzo, manifestando il disagio in tanti modi: ho seguito diversi casi del genere. Ma come si può abusare di un bimbo? Il presupposto di un abuso è sempre una disparità di posizione, uno sbilanciamento nella relazione, per cui l’altro viene considerato e trattato come un oggetto per esaudire i propri desideri. Ma questo comportamento si struttura nel tempo, non scatta all’improvviso: di solito, chi agisce così è stato a sua volta maltrattato o abusato. È frequente che le madri non credano ai figli, soprattutto se accusano il padre. Perché è difficile credere che il compagno di una vita si comporti in questo modo. Poi ci sono le donne complici degli aguzzini: perché accade? Per paura e subalternità: quasi sempre queste donne si sentono talmente annientate nella relazione con il coniuge che tendono a mettere in discussione anche le proprie percezioni. Non credono ai propri occhi. Alcune offrono i figli come sacrifici umani: c’è una spiegazione anche per tanta crudeltà? Si è madri in tanti modi, anche in modi atroci. Come si possono curare le vittime? La cosa più importante è garantire loro continuità nell’assistenza, e anche di una giustizia e un risarcimento adeguato per quello che hanno subìto. Tutti gli abusi sui bimbi sono gravi, e vanno considerati gravi. Tuttavia accade che i pedofili tornino ad abitare nei paraggi. Uno studio realizzato da Giuliana Olzai, una ricercatrice che ha analizzato processi e sentenze depositate al tribunale di Roma dal 2000 al 2003, mostra che le condanne si aggiravano sui due anni. Poi il recepimento della normativa europea nel 2014 per fortuna ha molto inasprito le pene. È doloroso per tutti sapere che un reato così grave sia stato così poco punito, ma non basta: andrebbe istituzionalizzato un sistema omogeneo di raccolta dati e di monitoraggio sui casi di maltrattamento. È mai capitato che un «abusatore» chiedesse aiuto spontaneamente a voi psicologi? Non mi è mai capitato: da me arrivano tutti tramite il tribunale. Tutti quelli che ha incontrato hanno ammesso il reato e accettato di parlarne? Parlano subito, anche perché sanno che ne sono al corrente e sono già inquadrati in un percorso di recupero. Risultati? Credo nella possibilità di cambiamento, ma i reati possono essere reiterati. E per evitare questi e altri maltrattamenti, le mamme vogliono le telecamere a scuola: in una, a Bari, sono addirittura annunciati controlli hi-tech sulle presenze dei bimbi per avvisare i genitori in tempo reale. Mi sembra eccessivo: non si può eliminare tutto per evitare il male. L’unica forma vera d’intervento e prevenzione è ascoltare i bambini e promuovere modelli relazionali diversi in tutti i luoghi di socializzazione. Intanto il presunto aggressore di Fortuna è stato picchiato in carcere. Ma anche lui va protetto.