Andrea Greco, Affari&Finanza – la Repubblica 3/5/2016, 3 maggio 2016
IL LUNGO VIAGGIO (NON FINITO) VERSO LA GOVERNANCE MONISTICA
Milano
Fatta la governance monistica, ora Intesa Sanpaolo deve fare dirigenti e cultura “monistici”. Bella sfida, perché si tratta di traghettare la “banca di sistema”, dei territori, e in definitiva delle Fondazioni in un gruppo leader nei i mercati creditizi d’Italia ma che pensi e operi in modo internazionale. E così realizzi l’augurio del moderno fondatore Giovanni Bazoli, di «rafforzare la presenza in Europa». Non basterà imparare meglio l’inglese in Ca’ de Sass: andrà coltivata la qualità massima delle persone, dal top management ai consiglieri, alle strutture. L’assemblea che mercoledì ha votato con amplissima maggioranza il nuovo modello monistico – basato sul cda unico che incorpora le funzioni di controllo, svolte da un apposito Comitato interno – manda in soffitta un decennio di governance duale, di cui Intesa Sanpaolo è stata tra pioniera con Mediobanca. Quel tempo è finito, non serve più comporre gli interessi tra Milano e Torino aumentando le poltrone, pratica peraltro sempre più avversata da regolatori e investitori. Andare “verso il monistico”, dunque, era una strada sensata e invitante per la maggiore banca italiana; anche se, come ha detto lo scorso settembre Bazoli (mentore del duale), si sarebbe ben potuto proseguire coi due consigli, ma «c’è stata l’impossibilità di trovare applicazione per l’assenza di figure femminili di vertice»; nel senso che nel consiglio di gestione tutto di manager la banca avrebbe avuto difficoltà a osservare i minimi di legge sulle sopraggiunte quote rosa. L’assemblea 2016 s’è svolta in modo tranquillo, con il placet degli investitori istituzionali, un terzo dei quali ha votato la lista di maggioranza, a riprova del sostegno all’ad Carlo Messina e ai nomi scelti dalle Fondazioni. Il buon esito dell’operazione attesta la sua minuziosa preparazione da parte dello stesso Bazoli e del suo entourage; forse memori dell’incidente del 2013, quando il 26% dei fondi esteri registrati in assemblea con lo studio Trevisan votò contro il presidente e i due vice, trovando poco trasparente il metodo di scelta e presentazione dei nomi. Stavolta è andata in altro modo: già la scorsa primavera la Compagnia di San Paolo, primo socio, aveva reclutato Georgeson per studiarsi la governance più efficace per la banca, e il consulente tecnico delle Fondazioni aveva sondato gli investitori istituzionali sull’ipotesi del monistico. Un lavoro simile lo ha fatto Sodali nelle ultime settimane, ma per conto di Intesa Sanpaolo. Altro segnale di “attenzione” è l’osservanza pressoché totale delle raccomandazioni che Nedcommunity, in una nota del 25 novembre 2015, suggeriva di inserire negli statuti delle società interessate ad adottare il monistico (fino ad allora c’erano solo Chl ed Engineering). Tra queste: lasciare all’assemblea la nomina e la revoca dei componenti il Comitato di controllo e la determinazione del loro compenso; riservare alle minoranze almeno due posti di “controllore”, tra cui la presidenza (per la banca toccherà a Marco Mangiagalli, in passato cfo dell’Eni ed ex consigliere di sorveglianza, nominato per i fondi insieme al commercialista Alberto Maria Pisani); infine parametrare i compensi «alle funzioni assegnate» ai controllori, e infatti i membri del comitato di controllo guadagneranno 200mila euro, il doppio rispetto ai consiglieri Intesa Sanpaolo. Serviranno dei mesi per valutare il funzionamento del monistico in Ca’ de Sass, e per vedere se anche in questo Intesa Sanpaolo sarà portabandiera, sdoganando il modello più diffuso nei paesi anglosassoni (gli esperti segnalano la scarsa convenienza dei gruppi retti dal cda di passare al monistico, mentre le residue società con il duale Ubi banca e Bpm, avranno più motivi per valutare un simile cambiamento). Quel che già ora risalta, però, è che molti dei 19 consiglieri riflettono più le logiche di appartenenza e di territorio delle Fondazioni (14 membri) che non quelle di un organo di caratura internazionale: nessuno è straniero, pochi hanno esperienze in società non italiane, pochi “leader” carismatici per colmare il vuoto che lascia Bazoli. Sempre sia da colmare: perché il presidente emerito «avrà il compito di coadiuvare la nostra governance», come ha detto il successore Gian Maria Gros-Pietro. La natura non fa salti, men che meno la natura bancaria. Sarà più probabilmente il cda al rinnovo nel 2019 a dare la proiezione internazionale della banca misurandone le ambizioni europee. 1 2 Marco Mangiagalli (1), uno dei due consiglieri di minoranza al Comitato di controllo sulla gestione e Livia Pomodoro (2) consigliere
Andrea Greco, Affari&Finanza – la Repubblica 3/5/2016