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 2016  maggio 04 Mercoledì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - TRUMP VINCE IN INDIANA SARà PER FORZA LUI IL CANDIDATO DEI REPUBBLICANI


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La battaglia fra Donald Trump e Ted Cruz è finita ieri sera: quella fra il tycoon newyorkese e buona parte dell’elettorato repubblicano inizia adesso. Trump non è mai piaciuto all’establishment del partito, ma neanche a buona parte dei suoi elettori tradizionali: la classe media conservatrice non si riconosce nella violenza delle sue parole. Molte donne nelle sue posizioni sessiste. I repubblicani più religiosi, che in molti stati del Midwest e del Sud degli Usa sono quelli che decidono le elezioni e per due volte sono stati determinanti nell’elezione di George W. Bush, non condividono il suo stile di vita pacchiano e libertino.

Da oggi questi elettori non hanno scelta: il fatto che Trump sarà il candidato repubblicano nella corsa alla Casa Bianca di novembre è ormai certo. Le uniche possibilità che restano a chi non lo ama e non lo appoggerà sono quella di non andare alle urne o di scegliere il voto di protesta, appoggiando Hillary Clinton. Uno scenario totalmente inimmaginabile solo un anno fa: “Stiamo assistendo al suicidio di un partito politico con 160 anni di storia alle spalle”, ha sintetizzato ieri sera parlando sulle tv Usa Henry Olsen, un analista del think tank conservatore Ethics and Public policy center.

Le due tendenze che sin dai primi minuti dopo il voto sono diventate chiare sui social network: #NeverTrump è uno degli hashtag più popolari negli Stati Uniti da ieri sera. “Questa è una giornata triste per i conservatori. Resto uno di quelli che dicono no a Trump. Congratulazioni presidente Hillary”, tweetava ieri sera una lettrice del New York Times usando l’hashtag. “Non ha nessuna connessione con la base elettorale dei repubblicani”, rispondeva un altro aggiungendo un altro popolare hashtag, #imademocrat.

La scelta a riconoscersi nel “nemico” è evidente anche oggi guardando Twitter: sono tanti i repubblicani che tweetano usando come “etichetta” #democrat o #Imademocrat #todayimademocrat o sigle simili. Moltissime sono le donne, che a novembre potrebbero scegliere di votare Clinton invece che rimanere a casa sposando la questione di genere, la sfida di portare per la prima volta alla Casa Bianca una donna. La sfida dei prossimi mesi per Donald Trump sarà provare a conquistare questi elettori e queste elettrici: a giudicare dalle reazioni di queste prime ore la sua battaglia sarà ardua.

ZUCCONI SU REP.IT


Chiusa la corsa Rep con la resa di Ted Cruz e l’ormai irresistibile ascesa del Donald, il poco di interesse che circonda ancora le Primarie resta appeso alla tenace resistenza di Sanders, il Grinta che riesce a vincere l’Indiana grazie al voto degli elettori Indipendenti, quelli non iscritti alle liste Dem che in alcuni stati come questo possono votare per l’uno o per l’altro partito. Ma di fatto, Sanders non potrà più, a questo punto, raggiungere il numero di 2.383 delegati alla Convention Dem necessari per avere la candidatura semplicemente vicendo le Primarie e i Caucus ancora da disputare. La sola speranza per il senatore del Vermont è strappare a Hillary la maggioranza di quei 719 "superdelegati" scelti dalla dirigenza del partito e non votati che si sono dichiarati per 9 a 1 a favore dell’ex Segretaria di Stato. L’ipotesi sarebbe realizzabile soltanto se Sanders riuscire da ora all’ultimo voto nella città di Washington a vincere tutte le elezioni rimanenti e superarla nei delegati eletti. per convincere i "super" a voltare gabbana Ma, come qui abbiamo cercato di ricordare settimana dopo settimane, la Primarie Dem assegnano i partecipanti alla Convention in maniera proporzionale, dunque anche perdendo, Hillary Clinton avrebbe comunque un numero sufficiente di delegati eletti per avere la maggioranza.

Neppure conquistando il 100 per cento dei delegati nelle competizioni di maggio e giugno - Guam, West Virginia, Kentucky, Oregon, Virgin Islands, Puerto Rico, California, Montana, New Jersey, New Mexico, North Dakota, South Dakota, and the District of Columbia - cosa assolutamente impossibile, Sanders riuscirebbe a tagliare il traguardo dei 2.382: ne ha infatti 1.399 e il totale in palio è di 933 (totale 2332).

Ma la cruda realtà dell’aritmetica non nasconde la verità politica di una Hillary Clinton che non riesce a scrollarsi di dosso Sanders ed è costretta soprattutto negli ultimi Stati importanti, West Virginia, Kentucky, New Jersey e la California, a combattere una guerra su due fronti, una di retroguardia contro Bernie e una di attacco contro Trump ormai lanciato. Clinton non ha trazione politica oltre il recinto degli iscritti alle liste elettorali democratiche (da non confondere con le nostre "tessere di partito") è un’automobile potente che slitta sul terreno e fatica a conquistare quegli Indipendenti che oscillano, soprattutto i più giovani, fra il Grande Imbonitore di New York e il Pifferaio Magico della Sinistra. Una brutta notizia per lei, come per tutti i candidati a elezioni nelle quali si vince non con il voto dei "nostri", ma portando via voti agli "altri".

Ora The Donald ha il via libera per lanciarsi contro Hillary e mentre i Dem continueranno a dilaniarsi fra "moderati" e "liberal" secondo la tradizione del riformismo del centrosinistra, la Destra comincerà - ha già cominciato - a turarsi il naso e a scoprire le finora ignote virtù di un Trump che può arrivare alla Casa Bianca. E niente unifica come il profumo del potere.

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27
apr
2016
La doppia vittoria di Donald

Sicuro e doppio vincitore dell’ennesimo Super Martedì elettorale americano è Donald Trump, il nuovo idolo americano di Matteo Salvini. Doppia vittoria perchè non soltanto ha demolito, cinque su cinque Stati, i suoi avversarsi, alleati in un inefficace e risibile azione di "Stop Trump" e ha ampiamente superato la soglia cruciale del 50% dei voti Rep, ma perchè nel campo avversario Hillary Clinton, pur aumentando ancora il suo già ampio vantaggio nel conteggio dei delegati eletti e vincendo nello Stato più succulento e importante, la Pennsylvania, non riesce a scollarsi l’ombra di Sanders. Hillary vince ma non convince, come si dice nel gergo del calcio. Dunque la signora, che a questo punto dovrebbe - e vorrebbe - cambiare rotta e lanciare a tutto motorre la campagna elettorale contro Donald deve continuare a consumare tempo e risorse per tenere a distanza un Sanders che può ancora illudersi, e illudere i suoi entusiatici fan, di raggiungerla e superarla. Neppure gli ormai 300 delegati in più che lei ha conquistato coi voti, e gli 800 che ha, calcolando anche i "superdelegati" che la portano alle soglie della maggioranza assoluta necessaria per l’incoronazione al Congresso del Partito, sembrano dissuadere il "Grinta" del Vermont dall’insistere nella gara. Trump ha già cominciato a sparare su Clinton, con battute oscene come "se lei non fosse un donna non prenderebbe il 5% dei voti". Clinton deve continuare a coprirsi le spalle dall’irriducibile sconfitto, ma senza attaccarlo per non alienarsi i milioni di Sanderistas.

Il Partito Democratico sta dunque vivendo uno dei classici momenti politici che i partiti di Sinistra vivono dall’anno della catastrofica e imprevista sconfitta contro Berlusconi, il Trump italiano e Forza Italia nel 1994, nella scissione dopo la svolta di Achille Occhetto alla Bolognina. E’ il momento nel quale l’elettorato che si considera più a sinistra e il vero depositario dei valori e delle istanze progressiste e che rifiuta il moderatismo degli altri per affermare giustamente le proprie convinzione, cerca il "più migliore" e rischia di far vincere alla fine il "più peggiore". Mentre le destre americane, recalcitrando, protestando, vergognandosi, cominciano a riunirsi sotto il ciuffo del miliardario superpalazzinaro di New York, le sinistre si avvitano e si sbranano attorno alle loro perenni contraddizioni. Per poi piangersi addosso, e accusarci a vicenda fra fazioni di più puri e meno puri, sulle vittorie dei George W Bush e dei Berlusconi.

CORRIERE.IT
ANNALISA GRANDI
Se gli Stati Uniti votassero oggi per eleggere il successore di Barack Obama alla Casa Bianca, vincerebbe Hillary Clinton. Secondo i sondaggi della Cnn l’ex first lady, staccherebbe il multimilionario di ben 13 puti percentuali. Il tutto mentre i rivali di Trump per la nomination repubblicana abbandonano il campo.

«Clinton avanti di 13 punti»

Stando ai dati rilevati dall’emittente Usa, la Clinton ad oggi raccoglie il 54% delle preferenze dei cittadini americani, contro il 41% di Trump. E per la moglie dell’ex presidente americano è il dato migliore dallo scorso luglio ad oggi. Dato che arriva all’indomani del trionfo alle primarie in Indiana di Donald Trump, che hanno visto invece Hillary sconfitta da Sanders. Clinton in vantaggio su Trump, ma di poco più di 6 punti percentuali, anche per il sondaggio pubblicato dalla Bbc e realizzato da RealClear Politics: Hillary ad oggi conquisterebbe il 46,7% dei voti, contro il 40,5% del tycoon.

Dalla gara di bevute ai soprannomi10 cose che non sapete di Hillary Clinton

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Ha battuto John McCain in una gara di bevute

«Hillary più qualificata e affidabile»

Sempre secondo le rilevazioni della Cnn la Clinton risulta agli occhi degli americani la candidata più qualificata e affidabile su quasi tutte le questioni considerate centrali per il nuovo presidente, dalla politica estera al terrorismo. Con una sola eccezione, quella dell’economia, secondo il 50% degli americani Trump sarebbe più in grado di gestire la situazione dell’ex first lady.

Anche Kasich si ritira

Fra le fila dei repubblicani, intanto, il tycoon rimane di fatto l’unico in corsa per la Casa Bianca: dopo il trionfo in Indiana era arrivato l’annuncio del ritiro da parte del senatore del Texas Ted Cruz. E all’indomani del voto abbandona la corsa per la nomination anche il governatore dell’Ohio John Kasich. Fra le fila dei democratici resta ancora in corsa invece, oltre ovviamente alla ex first lady, il rivale Bernie Sanders.