Michele Masneri, pagina99 23/4/2016, 23 aprile 2016
NÉ CON PUTIN NÉ SENZA. VITA DI UN OLIGARCA RILUTTANTE
Come si diventa un grande oligarca partendo dall’Ucraina degli anni Sessanta, da una famiglia ebraica che sembra uscita da un romanzo di Philip Roth (o anche un po’ Joseph Roth?), arrivando a diventare il secondo uomo più ricco di Russia con un impero dei telefoni cellulari su cui non tramonta (quasi) il sole? Chiedere a Mikhail Fridman, cinquantuno anni, azionista principale di Wind, tra le altre cose, e dunque, se Wind si fonderà con Tre, boss dei telefonini italiani. Ma non solo.
Banchiere, petroliere, oligarca riluttante, mai troppo vicino al potere, putiniano con juicio, tanto da non rimanerne scottato. Quella di Fridman è figura peculiare. «Per anni è stato demonizzato dalla stampa occidentale come simbolo di tutto quanto era negativo nel mondo del business russo», ha scritto il Financial Times recentemente in un profilo. Eppure a differenza di molti suoi colleghi lui non è mai andato in galera, non è stato ammazzato, forse perché frequenta il Cremlino con moderazione.
Nato in una famiglia ebrea a Leopoli, Ucraina, nel 1964, campione di matematica e fisica al liceo, figlio di due ingegneri. Non trova spazio nelle migliori scuole e si è accontentato dell’Istituto siderurgico di Mosca, ma subito ha pensato a come guadagnare, nello specifico comprando biglietti dei musei e degli spettacoli moscoviti e rivendendoli ai turisti come bagarino; poi, con le prime liberalizzazioni volute da Gorbaciov e la prima timida idea di economia di mercato ha messo su un’impresa di pulizie di vetri, intesa come finestre. Guadagni veloci, imprevisti. Sempre al Ft ha detto che «quando mia madre ha visto che guadagnavo 1.000 rubli al mese, una cifra pari a 7 volte il suo stipendio da ingegnere, mi ha avvertito che sarei presto andato in galera».
Non ci è andato, in galera, e anzi nel 1989 ha messo su, insieme ai suoi soci German Khan e Alexei Kuzmichev, Alfa Group, destinato a diventare uno dei maggiori conglomerati russi, comprando e rivendendo greggio. Notazione: Khan, oligarca in purezza, che considera Il Padrino un manuale di vita è colui il quale ha comprato, si dice per conto di Putin, la villa La Cacciarella all’Argentario, 1.900 metri quadri, già dimora Feltrinelli, poi più prosaicamente Ricucci (si ricorda un indimenticabile servizio con Anna Falchi e delle galline, su Vanity Fair). Anche Fridman, oligarca più riflessivo, ama l’Italia, e ogni estate viene in Toscana a fare le vacanze. Non gli piacciono però i gran lussi: non gli piacciono le barche, non investirà in una squadra di calcio, insomma non ha i passatempi classici dei moderni oligarchi, e anche in questo è differente.
Ha la passione per la musica, fin da ragazzo, quando mise su, ancora al liceo, una discotechina, che si chiamava Strawberry Field; i suoi denari li spende piuttosto per i figli, quattro, sparsi tra Yale e alcune fondamentali boarding school; e per il Russian Jewish Congress, che ha fondato nel 1996: è molto impegnato infatti nella difesa dell’identità degli ebrei della diaspora.
Nel 2013 ha festeggiato una delle sue migliori operazioni, forse la migliore, con una tre giorni di pellegrinaggio in Israele accompagnato da miliardari locali e una carovana di cammelli. Aveva ceduto il 50 per cento del colosso petrolifero Tnk-Bp ai concorrenti di Rosneft. Tnk-Bp, storia contrastata, storia di capitalismo di relazione putiniano, era un colosso petrolifero siberiano, comprato decotto da Khan nel 1997, associandolo poi agli inglesi di British petroleum, facendo profitti stellari per anni e vendendolo appena il greggio ha cominciato a scendere. «Per avere successo negli affari non devi essere intelligente ma fortunato», ha detto riferendosi a questa vendita che gli ha fruttato 28 miliardi di dollari con tempismo assai sospetto.
Coi proventi della vendita di Tnk si è trasferito a Londra, come molti suoi colleghi, però non sfoggia lussi sibaritici, tiene un profilo basso, i suoi soldi li spende in sfizi più chic, come investire 200 milioni di dollari in Uber. Soprattutto ha messo su la finanziaria LetterOne group, che modestamente sta diventando un semimonopolista delle tlc in Europa. Di suo infatti Fridman aveva acquisito la maggioranza di VimpelCom, primario gestore di telefonini russo; e Turkcell, numero uno del mobile in Turchia: ma negli anni L1 si è diffusa come un califfato del telefonino, con particolare attenzione all’Italia: dal 2010 Vimpelcom controlla infatti al 100% Wind, e in vista delle nozze tra la stessa Wind e 3 Italia (controllata da Hutchison-Whampoa) è attualmente al vaglio della Concorrenza europea. Creerebbe non solo il terzo player dei telefonini in Italia – telefonini a quel punto russi – dietro a Tim e Vodafone.
Il suo segreto è che non parla mai di politica, si tiene distante – ma dialogante; il suo motto è: «Sempre amichevoli e leali col governo, mai troppo vicini». Mette ex ministri vicini a Putin nei suoi consigli di amministrazione, ma lui non ci si avvicina, al presidente. Né tantomeno pensa di fare carriera politica in proprio.
«Con quel cognome che hai non puoi andare al governo» gli ha detto sempre la mamma, forse riferendosi alle origini ebraiche, e questo probabilmente gli ha salvato la vita e la carriera: è certo che la sua, di carriera, ha incrociato quella fucina di futuri capitalisti che è stato il Kgb; durante gli anni dell’università ha incontrato il futuro ideologo del Cremlino, Vladislav Surkov.
Voci di legami stretti con la criminalità si diffonderanno durante la sua scalata al successo, ma niente di serio; anzi qualche incidente che denota il personaggio: una casa comprata dallo Stato nel 2005 a un prezzo considerato di favore; casa immediatamente restituita e scandalo rientrato. La sua lontananza dalle cose russe è anche la chiave per spiegare il raggio d’azione globale di questo oligarca diverso dagli altri: interessi nella finanza, nell’energia, nei telefoni, sempre più lontano da Mosca. Anche perché Mosca è in crisi, e la sua filosofia è sempre stata: lontano dal potere, ma vicino ai soldi. Filosofia che l’ha portato dov’è oggi. Il rischio di diventare un Khodorkovsky, il magnate talmente vicino a Putin da finire poi in un carcere siberiano, l’ha sempre scongiurato così. Fridman è un uomo ricco, è un uomo vivo.